Un’attivista che racconta la sua storia di lotta contro lo stiramento del seno in Camerun
Buona giornata,
qui di seguito vorrei presentarvi un’importante conferenza di Chi Yvonne Leina, una giornlista e attivista del Camerun.
Il messaggio centrale credo sia quello di parlare, di comunicare, di opporsi verbalmente alla pratica avvolta nel silenzio.
Come ha fatto Chi Yvonne Leina da giovane: si tratta di opporsi verbalmente alla pratica, facendo sentire la propria voce.
E a chi non ha voce, siamo noi a dare voce.
Grazie
Dr. phil. Milena Rampoldi
Redazione di ProMosaik e.V.
Non sapevo che un giorno sarei giunta a New York, tra
tutti questi grattacieli davanti a tutta questa gente […] che mi guardava per
ascoltare la mia storia.
tutti questi grattacieli davanti a tutta questa gente […] che mi guardava per
ascoltare la mia storia.
Sono cresciuta nella regione nord-occidentale del Camerun
e da piccola mi resi conto di tante cose che succedevano alle donne della mia
comunità, che fino ad oggi non posso spiegarmi, ma il fatto è che […] fa parte
della nostra tradizione, della nostra cultura, ma per me questa pratica è
assolutamente inaccettabile.
e da piccola mi resi conto di tante cose che succedevano alle donne della mia
comunità, che fino ad oggi non posso spiegarmi, ma il fatto è che […] fa parte
della nostra tradizione, della nostra cultura, ma per me questa pratica è
assolutamente inaccettabile.
Quando avevo 4 anni, vidi mia nonna effettuare delle
pratiche orrende nel nome di rituali di vedovanza che mi fecero moltissima
impressione. Ho anche visto donne violentate e picchiate dai loro compagni
senza alcuna giustificazione.
pratiche orrende nel nome di rituali di vedovanza che mi fecero moltissima
impressione. Ho anche visto donne violentate e picchiate dai loro compagni
senza alcuna giustificazione.
Ma la cosa che mi ha colpito di più nel profondo del mio
cuore avvenne quando avevo 14 anni e stavo ritornando da scuola per recarmi in
casa di mia nonna. Mi piaceva passare il tempo con lei perché mi permetteva di
giocare come volevo. Mia madre invece voleva sempre che fossi disciplinata come
abitualmente fanno molte nonne. Mia cugina in quella casa era la mia compagna
preferita. Aveva 13 anni e dunque era un po’ più giovane di me, ma il suo seno
stava iniziando a svilupparsi. Mentre mi avvicinavo alla casa di mia nonna, mi
resi conto che quel pomeriggio non udivo le chiacchierate gioiose di mia cugina
che normalmente mi affascinavano in quella casa. Sentivo solamente il canto
degli uccelli. Quando mi avvicinai alla cucina di mia nonna che allo stesso
tempo fungeva da soggiorno notai che mia cugina stava ringhiando. Sbirciando
attraverso il buco della serratura, vidi una cosa che mi traumatizzò fino ad
oggi e per il resto della mia vita. Osservai come mia nonna stava scaldando una
pietra sul fuoco per poi premerla contro il seno di mia cugina. Mia cugina
ringhiava. Non riuscivo a capire che cos’era. Mi misi a spiare per un po’, ma
non riuscendo a sopportare la cosa oltre, me ne andai fuori, rimanendo in piedi
nei pressi. Quando uscirono, nessuno mi disse che cosa era successo e fino ad
oggi mia cugina non mi ha mai raccontato nulla di quell’esperienza. Alcuni mesi
dopo mia nonna mi chiamò nella stessa cucina e mi disse di levarmi la
maglietta. E quando le chiesi il motivo, disse che voleva mettermi a posto. Le
dissi che il mio seno stava spuntando e che mi faceva male e che ogni volta che
la mia mano lo toccava provavo molto dolore. Non voglio che nessuno si avvicini
al mio petto. E non voglio che me lo metta a posto. A quel punto mi disse che
se non lo metteva a posto, sarei stata rovinata. Allora cercai di gridare. Lei
poi mi disse che le bambine brave non gridano, che le bambine brave non parlano
del loro seno, che le bambine brave non gridano per via del loro seno e che le
bambine brave non parlano della loro sfera privata. Poi le dissi che sarei
stata una bambina cattiva, gridando con insistenza. Allora smise e non lo fece.
cuore avvenne quando avevo 14 anni e stavo ritornando da scuola per recarmi in
casa di mia nonna. Mi piaceva passare il tempo con lei perché mi permetteva di
giocare come volevo. Mia madre invece voleva sempre che fossi disciplinata come
abitualmente fanno molte nonne. Mia cugina in quella casa era la mia compagna
preferita. Aveva 13 anni e dunque era un po’ più giovane di me, ma il suo seno
stava iniziando a svilupparsi. Mentre mi avvicinavo alla casa di mia nonna, mi
resi conto che quel pomeriggio non udivo le chiacchierate gioiose di mia cugina
che normalmente mi affascinavano in quella casa. Sentivo solamente il canto
degli uccelli. Quando mi avvicinai alla cucina di mia nonna che allo stesso
tempo fungeva da soggiorno notai che mia cugina stava ringhiando. Sbirciando
attraverso il buco della serratura, vidi una cosa che mi traumatizzò fino ad
oggi e per il resto della mia vita. Osservai come mia nonna stava scaldando una
pietra sul fuoco per poi premerla contro il seno di mia cugina. Mia cugina
ringhiava. Non riuscivo a capire che cos’era. Mi misi a spiare per un po’, ma
non riuscendo a sopportare la cosa oltre, me ne andai fuori, rimanendo in piedi
nei pressi. Quando uscirono, nessuno mi disse che cosa era successo e fino ad
oggi mia cugina non mi ha mai raccontato nulla di quell’esperienza. Alcuni mesi
dopo mia nonna mi chiamò nella stessa cucina e mi disse di levarmi la
maglietta. E quando le chiesi il motivo, disse che voleva mettermi a posto. Le
dissi che il mio seno stava spuntando e che mi faceva male e che ogni volta che
la mia mano lo toccava provavo molto dolore. Non voglio che nessuno si avvicini
al mio petto. E non voglio che me lo metta a posto. A quel punto mi disse che
se non lo metteva a posto, sarei stata rovinata. Allora cercai di gridare. Lei
poi mi disse che le bambine brave non gridano, che le bambine brave non parlano
del loro seno, che le bambine brave non gridano per via del loro seno e che le
bambine brave non parlano della loro sfera privata. Poi le dissi che sarei
stata una bambina cattiva, gridando con insistenza. Allora smise e non lo fece.
Quel giorno mi resi conto quanto potere si celava dietro
la voce. Dimostri potere quando ti opponi verbalmente a una cosa che non ti
piace. E crescendo ho capito che il silenzio nella nostra comunità viene
utilizzato contro le donne. Non ti viene permesso di parlare delle cose the ti
vengono fatte, in particolare se avvengono a casa tua. Così molte donne
soffrono nei cortili, nelle cucine e nelle stanze da letto, ove vengono
rinchiuse da uomini e spesso persino da donne. E succede talmente spesso che
nessuno osa parlarne. Mi sono dunque resa conto che serviva qualcuno che
aiutasse queste donne ed io […] desideravo essere questa persona. Ma era come
se mi trovassi rinchiusa in una scatola, come se non ci fosse alcuna possibilità
per me di ottenere l’educazione che desideravo tantissimo e alcun’occasione per
me di parlare. Ma continuai a insistere e alla fine inizia a studiare
all’università. Un giorno diventai la giornalista che avevo desiderato essere,
studiando anche ricerca femminile e sessuale come materia complementare. Era
tutto quello che amavo fare nella vita e non riuscivo mai a capire come ci ero
arrivata… visto che in Camerun quando fai la giornalista non diventi ricca, ma
sei nemica del pubblico. Sapevo che sarei stata povera, ma ero convinta del
fatto che sarei diventata la voce delle donne senza-voce […] della mia
comunità. Quando iniziai a lavorare come giornalista, non mi concedevano lo spazio
sufficiente per scrivere gli articoli che avrei desiderato scrivere. Volevo
parlare del rituale di vedovanza, dell’appiattimento del seno, volevo parlare
della violenza domestica, ma non c’era spazio perché tutte istituzioni mediatiche
si concentravano sulla politica, incentrandosi su tematiche che interessano gli
uomini e non su cose che colpiscono a livello emozionale. I media per me non
rappresentavano la voce della gente senza voce perché i senza-voce sono proprio
queste donne, maltrattate giorno dopo giorno. Dove sono le storie di queste
bambine, a cui stirano il seno tutti i giorni? Dove sono le signore anziane che
nel nome dei rituali di vedovanza vengono forzate a sedersi per terra, a
camminare scalze, a tagliate i propri capelli, a danzare nude perché hanno
perso il loro marito? Nessuno credeva che sentissi un dolore autentico o che
avessi una storia valida da raccontare, ma io in un certo senso ne ero
convintissima nel profondo del mio cuore, soprattutto quando iniziai ad
apprendere a lavorare con internet. Nell’agosto del 2011 un giorno mi misi a
piangere sul mio letto con il computer. Qualcuno che aveva un collegamento
internet era arrivato a casa mia ed io dissi stupita: “O mio Dio! Ecco qui il
mondo intero, come faccio a raccontare queste storie?” E iniziai a inserire i
seguenti termini di ricerca in google: “raccontare le storie delle donne,
raccontare storie sulle donne”.
la voce. Dimostri potere quando ti opponi verbalmente a una cosa che non ti
piace. E crescendo ho capito che il silenzio nella nostra comunità viene
utilizzato contro le donne. Non ti viene permesso di parlare delle cose the ti
vengono fatte, in particolare se avvengono a casa tua. Così molte donne
soffrono nei cortili, nelle cucine e nelle stanze da letto, ove vengono
rinchiuse da uomini e spesso persino da donne. E succede talmente spesso che
nessuno osa parlarne. Mi sono dunque resa conto che serviva qualcuno che
aiutasse queste donne ed io […] desideravo essere questa persona. Ma era come
se mi trovassi rinchiusa in una scatola, come se non ci fosse alcuna possibilità
per me di ottenere l’educazione che desideravo tantissimo e alcun’occasione per
me di parlare. Ma continuai a insistere e alla fine inizia a studiare
all’università. Un giorno diventai la giornalista che avevo desiderato essere,
studiando anche ricerca femminile e sessuale come materia complementare. Era
tutto quello che amavo fare nella vita e non riuscivo mai a capire come ci ero
arrivata… visto che in Camerun quando fai la giornalista non diventi ricca, ma
sei nemica del pubblico. Sapevo che sarei stata povera, ma ero convinta del
fatto che sarei diventata la voce delle donne senza-voce […] della mia
comunità. Quando iniziai a lavorare come giornalista, non mi concedevano lo spazio
sufficiente per scrivere gli articoli che avrei desiderato scrivere. Volevo
parlare del rituale di vedovanza, dell’appiattimento del seno, volevo parlare
della violenza domestica, ma non c’era spazio perché tutte istituzioni mediatiche
si concentravano sulla politica, incentrandosi su tematiche che interessano gli
uomini e non su cose che colpiscono a livello emozionale. I media per me non
rappresentavano la voce della gente senza voce perché i senza-voce sono proprio
queste donne, maltrattate giorno dopo giorno. Dove sono le storie di queste
bambine, a cui stirano il seno tutti i giorni? Dove sono le signore anziane che
nel nome dei rituali di vedovanza vengono forzate a sedersi per terra, a
camminare scalze, a tagliate i propri capelli, a danzare nude perché hanno
perso il loro marito? Nessuno credeva che sentissi un dolore autentico o che
avessi una storia valida da raccontare, ma io in un certo senso ne ero
convintissima nel profondo del mio cuore, soprattutto quando iniziai ad
apprendere a lavorare con internet. Nell’agosto del 2011 un giorno mi misi a
piangere sul mio letto con il computer. Qualcuno che aveva un collegamento
internet era arrivato a casa mia ed io dissi stupita: “O mio Dio! Ecco qui il
mondo intero, come faccio a raccontare queste storie?” E iniziai a inserire i
seguenti termini di ricerca in google: “raccontare le storie delle donne,
raccontare storie sulle donne”.