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Sorveglianza alle frontiere, droni e militarizzazione del Mediterraneo

Antonio Mazzeo 07/12/2020

Relazione al Convegno Guerre, migrazioni e diritti nel Mediterraneo, organizzato il 20 novembre 2020 dall’Associazione Diritti e Frontiere (ADIF) in collaborazione con l’ANPI (Associazione nazionale partigiani d’Italia) e il Dipartimento di Scienze della formazione dell’Università degli Studi di Palermo.

Le frontiere sono essenziali per dividere e invisibilizzare, negare corpi ed identità, cancellare sogni e speranze, annullare i diritti e la cittadinanza. Per delimitare i confini e separare gli uni dagli altri sono indispensabili le guerre e gli eserciti ed è imprescindibile trasferire quotidianamente sempre più risorse finanziarie dal welfare al complesso militare-industriale. Sono necessarie armi tecnologicamente sofisticate, meglio ancora se chirurgiche ed invisibili, che siano in grado di uccidere comunque ed ovunque. Che colpiscano senza che chi le usa possa essere colpito. Dispositivi bellici che occultino crimini, orrori ed errori. Che possano vedere senza essere visti e che possano spiare senza essere spiati. Velivoli, veicoli, imbarcazioni e sottomarini del tutto automatizzati, controllati a distanza, centinaia e migliaia di chilometri lontano.

Quella scatenata contro i migranti e le migrazioni è una guerra per la “difesa” delle frontiere, moderna e globale. E ha sempre più bisogno di sistemi di intelligence ed annientamento rapidi ed indolori (per chi li usa), iperautomatizzati per narcotizzare le coscienze e la democrazia degli Stati belligeranti, deresponsabilizzare i carnefici e occultare i corpi e le storie individuali e collettive delle vittime. I droni in mano all’Unione europea, alle sue flotte aeronavali e alle agenzie di “controllo” dei confini terrestri e marittimi, sono l’ultimo atto del progressivo e inarrestabile processo di trasformazione del continente in un’inespugnabile città-fortezza del neoliberismo, degli egoismi, delle ingiustizie e delle disuguaglianze. Non bastava l’orgia di cannoniere e cannoni, fili spinati, videocamere elettroniche, pattuglie superarmate e cani lupo addestrati a mordere e ad odiare. Sono necessari sensori in grado di captare dall’alto, silenziosamente, l’ultimo respiro di chi affoga disperato in mare, di immortalare il volto straziato della madre che invoca il figlio inghiottito dalle onde. L’uso dei droni per sorvegliare le tragedie migranti evidenzia la corrotta tele-necrofilia che alimenta scelte ed azioni degli strateghi della difesa dell’identità bianca. Sono uno dei simboli peggiori del processo di disumanizzazione di un’intera generazione (i matusa-europei), incapace di prendere coscienza della propria inesorabile fine.
La guerra ai migranti con i droni d’Israele
Il 20 ottobre 2020, il quotidiano britannico The Guardian ha reso noto che Frontex, l’Agenzia europea della guardia di frontiera e costiera (European Border and Coast Guard Agency) ha affidato al colosso aerospaziale Airbus e a due società israeliane il servizio di “sorveglianza aero marittima” con l’utilizzo di droni per intercettare le imbarcazioni di migranti che attraversano il Mediterraneo. Le operazioni dovrebbero prendere il via dai primi mesi del 2021 dopo una serie di prove tecniche che i contractor effettueranno nell’isola greca di Creta. Due i contratti sottoscritti, entrambi del valore di 50 milioni di euro: il primo con il consorzio Airbus – Israel Aerospace Industries (IAI), il secondo con l’azienda privata Elbit Systems Ltd. di Haifa.[1]

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