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Quello che dobbiamo sapere sull’indagine della Corte Penale Internazionale sui crimini di guerra israeliani nella Palestina occupata

12/05/2020 DI INVICTA PALESTINA
La questione è ora nella competenza della camera pre-processuale della CPI.

Di Ramzy Baroud e Romana Rubeo – 11 Maggio 2020
Fatou Bensouda, procuratore capo della Corte Penale Internazionale (CPI), ha definitivamente risolto i dubbi sulla giurisdizione della Corte per indagare sui crimini di guerra commessi nella Palestina occupata.
Il 30 aprile, Bensouda ha diffuso un documento di 60 pagine che stabilisce diligentemente le basi giuridiche per tale decisione, concludendo che “la Procura ha esaminato attentamente le osservazioni dei partecipanti e rimane dell’opinione che la Corte abbia giurisdizione sul Territorio palestinese occupato”.
La spiegazione legale di Bensouda era di per sé una decisione preventiva, risalente al dicembre 2019, poiché il Procuratore della CPI deve aver anticipato una reazione coordinata da Israele contro le indagini sui crimini di guerra commessi nei territori occupati.
Dopo anni di contrattazione, nel dicembre 2019 la CPI aveva deciso che; “esiste una base ragionevole per procedere a un’indagine sulla situazione in Palestina, ai sensi dell’articolo 53, paragrafo 1, dello statuto”.
L’articolo 53, paragrafo 1, descrive semplicemente le fasi procedurali che spesso conducono o non conducono a un’indagine della Corte.
Tale articolo è soddisfatto quando la quantità di prove fornite alla Corte è così convincente da non lasciare alla CPI nessun altra opzione se non quella di procedere con un’indagine.
Infatti, Bensouda aveva già dichiarato alla fine dell’anno scorso che era; “Soddisfatto del fatto che; primo: i crimini di guerra siano stati commessi o siano in corso in Cisgiordania, compresa Gerusalemme Est e la Striscia di Gaza; secondo: i casi potenziali derivanti dalla situazione sarebbero ammissibili; e terzo: non vi sono motivi sostanziali per ritenere che un’indagine non sia utile agli interessi della giustizia”.
Naturalmente, Israele e il suo principale alleato occidentale, gli Stati Uniti, si infuriarono. Israele non è mai stato ritenuto responsabile dalla comunità internazionale per crimini di guerra e altre violazioni dei diritti umani in Palestina. La decisione della CPI, specialmente se l’indagine procedesse, sarebbe un precedente storico.Ma, cosa devono fare Israele e gli Stati Uniti quando nessuno dei due è uno Stato aderente alla CPI, non avendo quindi alcuna effettiva influenza sul procedimento interno del tribunale? Bisognava trovare una soluzione.
In un’ironia storica, la Germania, che ha dovuto rispondere a numerosi crimini di guerra commessi dal regime nazista durante la seconda guerra mondiale, è intervenuta per fungere da principale difensore di Israele presso la CPI e per proteggere i criminali di guerra israeliani accusati della responsabilità legale e morale.
Il 14 febbraio, la Germania ha presentato un ricorso alla CPI chiedendo un “amicus curiae”, che significa “amico della corte”. Ottenendo questo status speciale, la Germania è stata in grado di presentare obiezioni, a sostegno, contro la precedente decisione della CPI per conto di Israele.
La Germania, tra gli altri, ha poi sostenuto che la CPI non aveva alcuna autorità legale per discutere i crimini di guerra israeliani nei territori occupati. Questi sforzi, tuttavia, alla fine non produssero alcun risultato.
La questione è ora nella competenza della camera pre-processuale della CPI.
La camera pre-processuale è composta da giudici che autorizzano l’apertura di indagini. Solitamente una volta che il procuratore decide di prendere in considerazione un’indagine, deve informare la Camera pre-processuale della sua decisione.
Secondo lo Statuto di Roma, l’articolo 56, lettera b), “la Camera pre-processuale può, su richiesta del procuratore, adottare le misure necessarie per garantire l’efficienza e l’integrità dei procedimenti e, in particolare, la tutela dei diritti della difesa”.
Il fatto che il caso palestinese sia stato portato a tal punto può e deve essere considerato una vittoria per le vittime palestinesi dell’occupazione israeliana. Tuttavia, se l’indagine della CPI procederà secondo il mandato originale richiesto da Bensouda, rimarranno gravi lacune legali e morali che scoraggiano coloro che difendono la giustizia per conto della Palestina.
Per esempio, i rappresentanti legali delle vittime palestinesi residenti nella Striscia di Gaza hanno espresso la loro preoccupazione, a nome delle vittime, in merito “alla portata apparentemente ristretta dell’indagine sui crimini subiti dalle vittime palestinesi di questa circostanza”.
La “ristretta portata dell’indagine” ha finora escluso crimini gravi come i crimini contro l’umanità. Secondo la squadra legale di Gaza, l’uccisione di centinaia e il ferimento di migliaia di manifestanti disarmati che partecipano alla “Grande marcia del ritorno” è un crimine contro l’umanità che deve essere indagato.
La giurisdizione della CPI, naturalmente, va oltre la decisione di Bensouda di investigare solo sui “crimini di guerra”.
L’articolo 5 dello Statuto di Roma, il documento istitutivo della CPI, estende la giurisdizione della Corte per indagare sui seguenti “reati gravi”: (a) Crimine di genocidio; (b) Crimini contro l’umanità; (c) Crimini di guerra; (d) Crimine di aggressione.
Non dovrebbe sorprendere che Israele sia qualificato per essere indagato su tutti e quattro i punti e che la natura dei crimini israeliani contro i palestinesi tende spesso a costituire una miscela di due o più di questi punti contemporaneamente.
L’ex relatore speciale delle Nazioni Unite sui diritti umani palestinese (2008-2014), il prof. Richard Falk, ha scritto nel 2009, subito dopo una micidiale guerra israeliana contro la Striscia di Gaza assediata, che:
“Israele ha avviato la campagna di Gaza senza un’adeguata base legale o una giusta causa, ed è stato responsabile della stragrande maggioranza delle devastazioni e dell’intera sofferenza dei civili. L’affidamento di Israele su un approccio militare per sconfiggere o punire Gaza era intrinsecamente “criminale” e come tale dimostrativo di entrambe le violazioni della legge di guerra e della commissione di crimini contro l’umanità”.
Falk estese la sua argomentazione legale oltre ai crimini di guerra e ai crimini contro l’umanità in una terza categoria. “C’è un altro elemento che rafforza l’accusa di aggressione. La popolazione di Gaza era stata sottoposta a un blocco punitivo per 18 mesi quando Israele ha lanciato i suoi attacchi”.
Che dire del crimine dell’apartheid? Si adatta ovunque nelle precedenti definizioni e giurisdizioni della CPI?
La Convenzione internazionale del novembre 1973 sulla repressione e la punizione del crimine di apartheid definisce l’apartheid come:
“Un crimine contro l’umanità, e che gli atti disumani derivanti dalle politiche e pratiche di apartheid e politiche e pratiche analoghe in materia di segregazione razziale e discriminazione, come definite nell’articolo 2 della Convenzione, sono reati che violano i principi del diritto internazionale, in particolare gli scopi e i principi della Carta delle Nazioni Unite e costituisce una grave minaccia per la pace e la sicurezza internazionale”.
La Convenzione è entrata in vigore nel luglio 1976, quando è stata ratificata da venti paesi. Per lo più potenze occidentali, tra cui gli Stati Uniti e Israele, che si opposero.Particolarmente importante riguardo alla definizione di apartheid, come dichiarato dalla Convenzione, è che il crimine di apartheid è stato liberato dal limitato contesto sudafricano e reso applicabile a politiche razziali discriminatorie in qualsiasi stato.
Nel giugno 1977, il Protocollo 1 aggiunto alle Convenzioni di Ginevra dichiarò l’apartheid “una grave violazione del Protocollo e un crimine di guerra”.
Ne consegue che esistono basi giuridiche per sostenere che il crimine di apartheid può essere considerato sia un crimine contro l’umanità che un crimine di guerra.
L’ex relatore speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani palestinesi (2000-2006), il prof. John Dugard, lo ha affermato subito dopo l’adesione della Palestina alla CPI nel 2015:
“Per sette anni, ho visitato il territorio palestinese due volte all’anno. Ho anche condotto una missione conoscitiva dopo l’Operazione Cast Lead a Gaza nel 2008, 2009. Quindi, ho famigliarità con la situazione e conosco bene la situazione dell’apartheid. Ero un avvocato per i diritti umani nel Sudafrica dell’apartheid. E io, come praticamente ogni sudafricano che visita il territorio occupato, ho un terribile senso di déjà vu. Abbiamo già visto tutto questo, eccetto l’essere infinitamente peggio. E quello che è successo in Cisgiordania è che la creazione di un’impresa di insediamento si è tradotta in una situazione molto simile a quella dell’apartheid, in cui i coloni sono l’equivalente dei bianchi sudafricani. Godono di diritti superiori ai palestinesi, e opprimono i palestinesi. Quindi, si ha un sistema di apartheid nel territorio palestinese occupato. E potrei dire che l’apartheid è anch’esso un crimine di competenza del Tribunale Penale Internazionale”.
Considerando il numero di risoluzioni ONU che Israele ha violato nel corso degli anni, l’occupazione perpetua della Palestina, l’assedio di Gaza e l’elaborato sistema di apartheid imposto ai palestinesi attraverso un grande conglomerato di leggi razziste, che culmina nella cosiddetta legge dello Stato-Nazione del luglio 2018; Dichiarare Israele colpevole di crimini di guerra, tra gli altri “crimini gravi”, dovrebbe essere una questione semplice.
Ma la CPI non è esclusivamente una piattaforma legale. È anche un’istituzione politica che è soggetta agli interessi e ai capricci dei suoi membri. L’intervento della Germania, a nome di Israele, per dissuadere la CPI dall’investigare sui crimini di guerra di Tel Aviv è un esempio emblematico.
Il tempo dirà fino a che punto la CPI è disposta a spingersi con il suo tentativo storico e senza precedenti volto, finalmente, a indagare sui numerosi crimini che sono stati commessi in Palestina senza ostacoli, senza appello e senza responsabilità.
Per il popolo palestinese, la giustizia a lungo negata non arriverà mai abbastanza presto.
– Ramzy Baroud è giornalista ed editore di The Palestine Chronicle. È autore di cinque libri. Il suo ultimo è “Queste catene saranno spezzate: storie palestinesi di lotta e sfida nelle carceri israeliane” (Clarity Press, Atlanta). Baroud è un ricercatore senior non residente presso il Center for Islam and Global Affairs (CIGA), Istanbul Zaim University (IZU). Il suo sito web è www.ramzybaroud.net
– Romana Rubeo è una scrittrice italiana e caporedattore di The Palestine Chronicle. I suoi articoli sono apparsi su molti giornali online e riviste accademiche. Ha conseguito un Master in Lingue e letterature straniere ed è specializzata nella traduzione audiovisiva e giornalistica.
Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org