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YEMEN. I separatisti del sud annunciano l’autogoverno

Roberto Prinzi 27 aprile 2020
Nuovo schiaffo ai sauditi che a novembre avevano benedetto gli accordi tra i separatisti dello Yemen del sud (lo Stc, sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti che però denunciano la mossa) e il governo yemenita di Hadi. Intanto, la fragilissima tregua di un mese tra la coalizione saudita e gli houthi non è mai iniziata

Il caos yemenita ha segnato ieri una nuova escalation: il Consiglio transitorio meridionale (Stc) separatista ha annunciato che stabilirà un’amministrazione autonoma nelle regioni sotto il suo controllo nello Yemen del sud. La decisione è stata prontamente denunciata dal governo yemenita sostenuto dalla coalizione saudita che ha parlato di “conseguenze catastrofiche” rispetto al piano di pace siglato tra le due parti lo scorso novembre. Secondo quell’accordo benedetto allora a Riyad dal principe ereditario bin Salman, lo Stc (sostenuto dagli Emirati Arabi Uniti), insieme ad altri gruppi separatisti meridionali, dava l’ok per la formazione di un nuovo governo di unità nazionale riconosciuto internazionalmente che avrebbe dovuto coordinare anche tutte le organizzazioni armate.
L’intesa sembrava aver riportato la tranquillità tra le due parti dopo i violenti scontri di agosto quando gli uomini dello Stc presero il controllo di Aden, la “capitale ad interim” del governo yemenita. Furono giorni di tensione e sangue a cui seguirono complessi negoziati durati mesi. Poi (novembre) fu annunciato l’accordo: al centro dell’agenda politica si ritornò a parlare di priorità alla lotta contro gli houthi, i ribelli sciiti sostenuti dall’Iran che dal 2014 controllano ampie regioni nel nord dello Yemen (inclusa la capitale Sana’a) e contro i quali la coalizione saudita ha iniziato una guerra nel marzo 2015 nel tentativo di reinsediare il presidente yemenita Hadi. Una campagna militare brutale che in cinque anni ha causato la morte di oltre 100.000 persone e una crisi umanitaria devastante. Una guerra che è stata un gran fiasco per gli alleati yemeniti dell’Arabia Saudita che finora sono riusciti a recuperare solo alcune parti del territorio.
L’annuncio fatto ieri dallo Stc di “autogovernare” la città chiave è emblematico del fallimento saudita. Ma dietro la decisione dei separatisti non c’è solo la “corruzione” e il “mal governo” di Hadi da loro denunciato: il Stc – grazie al sostegno degli Emirati Arabi Uniti, ufficialmente diminuito negli ultimi mesi – cerca infatti da tempo di rimettere in piedi lo stato indipendente meridionale che esisteva nel sud dello Yemen fino al 1990. Un piano che è ovviamente guardato con enorme preoccupazione da Hadi (e dai suoi protettori sauditi) e che ieri è stato denunciato come “chiaro colpo di stato” anche dalle autorità delle province yemenite di Hadramout, Abyan, Shabwa, al-Mahra e l’isola di Socotra. Se le forze di sicurezza di Shabwa hanno ribadito in un comunicato che solo il presidente Hadi ha l’autorità per dichiarare l’emergenza e l’amministrazione dell’Hadramout (la più grande provincia del Paese) ha parlato di una “violazione di legittimità e degli accordi di Riyad” da parte dello Stc, quelle di Abyan e Socotra hanno esortato i cittadini ad essere fedeli ad Hadi. La provincia di al-Mahra ha invece sottolineato come il passo compiuto dai separatisti rischia di far precipitare ancora di più la crisi politica e umanitaria nel Paese.
Ma lo stato di emergenza dichiarato ieri dal Stc non è casuale: da mesi le tensioni tra questo gruppo e il governo yemenita anti-houthi sono altissime. Ciascuna delle parti ha infatti accusato l’altra di non rispettare i termini dell’accordo di pace di novembre e di riorganizzare le forze militari in vista di una ripresa dei combattimenti interni. La dichiarazione di ieri è sicuramente una sconfitta per i sauditi che su Hadi avevano puntato tutte le loro speranze di dominio in Yemen e ora si trovano scavalcati dagli amici-rivali di Abu Dhabi: il presidente ha perso ormai qualunque legittimità, qualora ne avesse avuta mai una nel suo Paese. Hadi è un leader senza alcun sostegno popolare ed è tenuto in vita solo dall’appoggio della comunità internazionale.
Le divisioni interne al fronte anti-houthi risalgono a molto prima dello scorso agosto: nell’aprile del 2017 Hadi licenziava il governatore di Aden Aidarous al-Zubaidi, figura cara ai separatisti. Quella decisione causò proteste di migliaia di persone e fu seguita dalla decisione di Zubaidi di sfidare le autorità yemenite proclamando un’autorità parallela (lo Stc) per governare le province meridionali. La tensione aumentò quando nel gennaio 2018 una forza seperatista prese il possesso di quasi tutta la “capitale ad interim” Aden e circondò il palazzo presidenziale. Nacquero scontri violenti durante i quali 38 persone furono uccise. Il gruppo autore dell’azione militare furono le “Forze della cintura di sicurezza”, sostenute dagli Emirati, teoricamente alleati dei sauditi nella battaglia contro gli houthi. Dopo alcune mediazioni, i separatisti rimossero l’assedio sulla città portuale. Ma la situazione non era affatto pacificata come hanno dimostrato gli scontri di agosto che, durati 4 giorni, causarono la morte di 40 persone e ne ferirono più di 260 (dati Onu). Hadi puntò il dito allora contro Abu Dhabi accusandola di sostenere il golpe. Poi piano piano iniziarono le trattative che portarono agli accordi di novembre. L’intesa fu celebrata dal principe ereditario saudita bin Salman con gioia. “L’accordo – disse in modo poco profetico – aprirà un nuovo periodo di stabilità per lo Yemen. Il regno dell’Arabia Saudita sta con voi”.
Ieri, invece, si è ripiombati di nuovo nel passato sia negli atti che nelle dichiarazioni. “Il cosiddetto consiglio di transizione si assumerà le conseguenze catastrofiche e pericolose di tale annuncio” ha ieri tuonato il ministero degli esteri yemenita, lasciando intendere che lo scontro interno si è ormai riaperto. Prova a fare il pompiere Abu Dhabi che, per bocca del suo ministro degli esteri Anwar Garash, ha fatto sapere oggi che gli Emirati si oppongono alla mossa dello Stc e hanno invitato tutte le parti al rispetto degli accordi di novembre.
Ma l’escalation al momento pare inevitabile. E così una nuova possibile guerra fratricida al sud si potrebbe aggiungere a quella contro gli houthi. Il mese di cessate il fuoco annunciato a inizio mese nel Paese nei fatti non è mai stato rispettato: azioni militari si sono registrate recentemente nelle province di al-Jawf, Bayda e Maarib. Il capo del Consiglio politico supremo houthi Mahdi al-Mashat – fa sapere il giornale filo-saudita al-Sharq al-Awsat – ha ordinato venerdì di dispiegare altri combattenti sui fronti dei combattimenti. I conflitti del Paese vanno a peggiorare il quadro umanitario: alla fame, al colera ora si aggiunge anche la paura del Coronavirus. Uno scenario disarmante per uno stato che dire fallito è poco. Nena News