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La solidarietà come antidoto alla minaccia di sottomissione volontaria: intervista a Patrizia Cecconi sul Progetto Mascherine per Gaza

Antonietta Chiodo 23/04/2020
In questa intervista l’autrice e attivista per i diritti umani Patrizia Cecconi, ideatrice di svariate iniziative a tutela del popolo palestinese chiarirà che cosa stia realmente accadendo, non attraverso gli occhi dei media ma attraverso quelli della popolazione gazawi.

Sono troppe le lacune in merito a ciò che sta capitando in queste zone, soprattutto chiariremo attraverso le sue parole, le differenze sostanziali che ad oggi si nascondono nel numero di contagiati israeliani e non. 
Questo farà comprendere come, già lo avrete notato se siete interessati a questo tema, le nefandezze della Knesset non si siano fermate neppure di fronte ad una pandemia mondiale, in fondo… perché avremmo dovuto sperarlo? Sarebbe stato in effetti da sciocchi.
Nasce così da poche settimane una raccolta fondi creata appunto da Patrizia, denominata Progetto Mascherine per Gaza, si, perché la striscia di Gaza è un luogo estremamente caro al suo cuore, per questo motivo anche se nato da un’idea in breve tempo il budget è stato raggiunto, dando così la possibilità ad una cooperativa di donne palestinesi di poterle produrre nonostante l’occupazione militare subita quotidianamente.
Il coronavirus va visto in una prospettiva internazionale. Si deve prendere le distanze da una visione eurocentrica della crisi. Che ne pensi di questo?
Veramente mi sembra che neanche ci sia una visione eurocentrica ma una frammentazione di posizioni, di scelte e di misure tra i diversi paesi europei. Comunque, ritengo che il nuovo coronavirus vada visto in una prospettiva internazionale e questo per gli effetti sociali che comportano le scelte dei vari paesi nel mondo oltre che per quelli strettamente sanitari. Mi sembra che il virus stia corrodendo l’essenza di ogni democrazia costituzionale e ciò che è particolarmente preoccupante è che tutto sta succedendo con il plauso della maggior parte delle popolazioni che sembra abbiano scelto di cedere i loro diritti ai gestori del panico.
Il coronavirus è arrivato anche in Palestina e non fa che appesantire l’oppressione del popolo palestinese. Perché e in che modo?
Intanto vorrei premettere che su circa 9 milioni di israeliani ci sono al momento circa 13.500 contagiati, 500 malati di cui 156 gravi o gravissimi e si sono avuti 172 decessi. Nei territori palestinesi, invece, su circa 5 milioni di abitanti, compresi i 2 milioni che vivono accalcati nella piccola Striscia di Gaza, ci sono stati finora 466 contagiati di cui meno di 20 a Gaza e, al momento, i ricoverati sono una settantina e i deceduti 4. Proviamo a capire da cosa può essere data questa enorme differenza in una medesima regione geografia, cioè la Palestina storica. Secondo alcuni biologi non tutte le popolazioni hanno le stesse capacità immunitarie, sia per motivi genetici che per stili alimentari. Visto che la maggioranza degli israeliani proviene da vari paesi d’Europa, mentre i palestinesi sono autoctoni, e visto che nell’alimentazione palestinese c’è un elemento con proprietà anticoagulanti e immunizzanti consumato in grandissima quantità, questi potrebbero essere fatti da indagare. Ma se non sappiamo quanti tamponi sono stati effettuati, questa ipotesi sul numero dei contagiati non ha alcun valore, ma il dato relativo ai ricoverati ed ai deceduti può farci supporre che, nonostante le vessazioni quasi secolari, aumentate in quest’ultimo periodo e nonostante il trattamento differenziato – come da regime di apartheid che è quello praticato da Israele – la popolazione palestinese e in particolare quella di Gaza (probabilmente qui anche per il mare che bagna tutta la Striscia) hanno una straordinaria resistenza al virus. Almeno così sembra fino ad ora.
Ma i palestinesi, più che essere fieri di questa loro ipotetica resistenza immunitaria, sono giustamente molto preoccupati perché le loro strutture sanitarie, se il contagio dovesse crescere e la malattia conclamarsi in molte persone, non potrebbero reggere e sarebbe una strage incontrollabile. Le ulteriori chiusure praticate da Israele e i nuovi impedimenti alla circolazione all’interno degli stessi Territori occupati rendono sempre più difficile, anche dal punto di vista psicologico, semplicemente vivere. A questo va aggiunto che l’esercito occupante prosegue la sua attività repressiva e i fuorilegge degli insediamenti seguitano nelle loro azioni criminali quali l’abbattimento di alberi palestinesi e altre violenze.
Inoltre, il fatto che i palestinesi che lavorano in Israele vengano discriminati, non forniti di dispositivi di protezione, e licenziati e buttati come immondizia al di là del muro dell’apartheid nel caso in cui accusino un colpo di tosse o qualche altro sintomo, è diventato prassi. Sono tutte forme addizionali dell’oppressione dovuta all’occupazione militare e tutte in violazione della IV convenzione di Ginevra e porteranno a un ulteriore aggravarsi della situazione economica di famiglie palestinesi già ridotte in miseria. Per motivi di spazio accenniamo soltanto a un altro crimine, particolarmente odioso data la sua gratuita crudeltà, consistente nella distruzione degli ospedali da campo allestiti dai palestinesi per far fronte alle infezioni da coronavirus.
Il coronavirus non è solo un problema virologico, ma un simbolo dell’ineguaglianza e della violazione dei diritti umani. Che ne pensi di questa tesi riferita alla Palestina?
È la sintesi perfetta per descrivere la situazione palestinese sotto il tallone illegittimo e illegale di Israele.
Parlaci del progetto delle mascherine per Gaza
E’ un progetto molto semplice. Ammesso che le mascherine possano servire realmente a contenere il virus, resta il fatto che un buon numero di persone a Gaza non se le può permettere nonostante il costo di quelle più economiche si aggiri soltanto sui 20 centesimi di euro. Idem per gli igienizzanti e per i guanti. La filosofia di base della nostra associazione consiste nel non fare elemosine (a parte casi particolarissimi) ma nel sostenere l’economia interna in modo tale che cresca l’autostima e che i gazawi possano poi andare avanti con le loro gambe. Inoltre, forse vi stupirete se vi dico che a Gaza entra praticamente di tutto ma è tutta merce israeliana e quindi Israele costringe i suoi assediati a sostenere la sua stessa economia con i sussidi che arrivano dall’estero, altra ragione per la quale noi riteniamo che Gaza debba affrancarsi – per quanto possibile – e ricreare una propria economia.
Quindi abbiamo affidato la produzione di mascherine ad una piccola impresa gestita da una donna, Soad Kalub, che rappresenta la storia di tante donne di Gaza: vedova con tre bambini a soli 26 anni grazie a un cecchino israeliano, seguita a lavorare nella sua piccola sartoria e spera di poter un giorno realizzare il sogno di applicare il suo titolo di studio di stilista. Come ho scritto altrove e come so per esperienza diretta, a Gaza il dolore si inghiotte come un sorso di acqua amara e si va avanti e così ha fatto Soad, e la sua sartoria è cresciuta finché nel 2014 non è stata rasa al suolo dai militari israeliani. Ma il dolore si inghiotte e si va avanti e così Soad poco tempo fa è riuscita ad aprire un altro laboratorio di sartoria in cui lavorano diverse persone e noi abbiamo deciso di affidare a lei la produzione delle mascherine per sostenere la sua piccolissima azienda e il suo sogno. Le mascherine stanno arrivando a chi non avrebbe potuto comprarsele e siccome la raccolta fondi è andata molto bene abbiamo aumentato il numero e aggiunto l’acquisto di altri beni da distribuire alle famiglie più povere in assoluto, a patto che sia tutta merce prodotta a Gaza.
Perché proprio in questo modo ci vuole solidarietà internazionale, nonostante e proprio per via di questo isolamento forzato?
Rispondo semplicemente perché il nemico è comune, non conosce frontiere e non avanza da solo, ma con sciacalli che lo cavalcano strumentalizzandolo per modificare la struttura sociale dei paesi che tocca. L’isolamento forzato, soprattutto in Italia, non si è limitato infatti al contenimento del contagio, altrimenti non avremmo avuto tutti quegli episodi da stato di polizia documentati dai social, episodi in parte indotti da una decretazione governativa confusa e in parte dall’abuso di potere cui indulge spesso chi veste una divisa. Si è fatta una fusione impropria tra una situazione d’emergenza sanitaria e uno stato di polizia, sospendendo diritti individuali e collettivi garantiti dalla Costituzione, paradossalmente col plauso della maggioranza degli stessi soggetti privati della libertà in nome della sicurezza. Questo è un fatto verificabile e non un’opinione. In compenso sono anche cresciute molte realtà di solidarietà umana sia all’interno delle singole nazioni che a livello internazionale. Queste non raggiungono solo lo scopo dichiarato e nobile di alleviare i problemi dei più deboli, ma riescono anche a trasmettere l’idea che l’isolamento sanitario non deve distruggere gli uomini separandoli, per paura, gli uni dagli altri. Vorrei dire che queste forme di solidarietà possono rappresentare l’antidoto alla minaccia di sottomissione “scelta” e di conseguente controllo delle popolazioni.
I media incutono timore alle persone da una parte e dall’altra non parlano quasi mai o troppo poco dei popoli oppressi la cui vita viene appesantita ancora di più dal virus. Come rispondere a questo?
I media mainstream, hanno diffuso allarmismo e panico irrazionale già da gennaio e fino a pochi giorni fa sembravano l’uno la velina dell’altro, solo ora qualcuno sta provando, con molta cautela, a differenziarsi un po’, ma seguita a prevalere l’indifferenza verso la più mortale delle epidemie e cioè la fame che uccide 25.000 persone, di cui 8.000 bambini, al giorno nel mondo ma che non riguarda noi, immortali di fronte alla fame ma improvvisamente scopertici mortali di fronte a un virus che, seppure contagioso e pericoloso, ha ucciso in 4 mesi circa lo 0,0013% dei viventi contro la ben più alta percentuale di uccisi dalla fame, dalle polmoniti prodotte da carenze immunitarie, da colera, tifo e via dicendo. Come rispondere mi chiedi? Esattamente così: facciamo attenzione al virus ma senza dimenticare che siamo tutti mortali e che molti milioni di morti sarebbero vivi tra noi se non li avesse uccisi ogni anno la legge del profitto che si trasforma in fame e malattie nei paesi impoveriti dove la morte è talmente di casa che i 100mila decessi da Covid-19 segnerebbero una conquista sociale di fronte ai milioni di morti abituali.