General

Israele ha il diritto di rinchiudere due milioni di persone in un campo di prigionia devastato dal Coronavirus?

19/04/2020 DI INVICTA PALESTINA
Per tredici anni, Israele ha tenuto reclusi due milioni di palestinesi a Gaza, all’interno del più grande campo di prigionia a cielo aperto del mondo. Ora la pandemia globale COVID-19 sta scendendo verso l’enclave occupata. Cosa succederà se migliaia di civili disperati tentano di scappare?

Copertina: Un ufficiale dell’esercito israeliano apre un cancello nella recinzione di confine per consentire a una colonna di carri armati e bulldozer corazzati di avanzare nella Striscia di Gaza il 19 ottobre 2006. David Silverman / Getty
14 aprile 2020 – Jamie Stern-Weiner
La pandemia COVID-19 ha messo a dura prova anche le capacità dei paesi più ricchi. Per i due milioni di abitanti di Gaza, la maggior parte dei quali sono ragazzi di età inferiore ai diciotto anni, un focolaio comporterebbe una catastrofe.La stretta fascia costiera è tra le aree più densamente popolate del pianeta, rendere “efficace l’autoisolamento” lì è “quasi impossibile”.
Tredici anni di blocco israeliano, aggravati da tre assalti militari su larga scala, hanno portato le sue infrastrutture e il sistema sanitario “sull’orlo del collasso”.Ci sono solo ottantasette letti in terapia intensiva con ventilatori in tutta Gaza, molti dei quali sono già in uso.
Una percentuale significativa di farmaci essenziali ha una disponibilità inferiore a un mese e la capacità di test è estremamente limitata. Al 12 aprile erano stati confermati tredici casi. Se gli sforzi di contenimento falliscono, i funzionari umanitari prevedono “un disastro di proporzioni gigantesche”, un “punto di non ritorno”, uno “scenario da incubo” che porterà “indicibili sofferenze umane”.
Per Israele, la prospettiva del contagio a Gaza evoca uno “scenario da incubo” a sé stante: “masse di palestinesi che si precipitano alla barriera di frontiera per salvarsi dalla furiosa malattia nell’enclave assediata”. Di fronte a “un diluvio di persone alla barriera di confine”, Israele cercherebbe di “fermare le tentate infiltrazioni”. Ma in una rubrica per il quotidiano israeliano Yedioth Aharonoth, il corrispondente militare veterano Alex Fishman ha descritto il dilemma politico che ciò porrebbe:
Questi non saranno manifestanti violenti ma civili spaventati e indifesi, molti dei quali potrebbero essere infetti e la risposta militare dovrà essere non violenta perché Israele non può affermare di avere la legittimità per aprire il fuoco su civili malati.
Sfortunatamente, lo scenario precedente dà ragione di dubitare di questo giudizio.
Quando piccoli gruppi si sono riuniti lungo il perimetro di Gaza nel 2015 per protestare contro il blocco di Israele, i giornalisti israeliani hanno riferito che la possibilità “di decine di migliaia di palestinesi disarmati che marciano verso la barriera di confine è la causa di molti incubi per la leadership israeliana”. Quindi, come ora, gli analisti hanno riflettuto su che cosa accadrà se migliaia di palestinesi marciano verso il recinto di confine, lo abbattono e continuano la loro marcia in Israele? Israele risponderà sparando causando un massacro?”
A questa domanda è stata data risposta nel 2018, poiché Israele ha risposto a manifestazioni straordinariamente non violente contro il blocco “prendendo di mira sistematicamente i civili” con i fucili di precisione. Una commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite ha scoperto che le forze israeliane hanno sparato intenzionalmente a bambini, operatori sanitari, giornalisti e persone con disabilità. Questi attacchi armati sono stati fortemente condannati dalla comunità internazionale, ma non sono state applicate sanzioni.
Israele, con l’aiuto dei suoi sostenitori all’estero, inclusi i media più diffusi, ha mitigato l’indignazione popolare attraverso una duplice strategia nel rappresentare falsamente le manifestazioni come violente mentre indirizzava i cecchini a paralizzare e mutilare piuttosto che uccidere apertamente migliaia di manifestanti disarmati. Solo nei primi due mesi di proteste, almeno 110 manifestanti sono stati uccisi e oltre 3.600 feriti con munizioni vive. “Ho colpito sette-otto ginocchia in un giorno”, ha ricordato con orgoglio un tiratore scelto.
È tutt’altro che chiaro, quindi, che Israele si guarderebbe da “aprire il fuoco su civili malati”.
Ma per amor di discussione, supponiamo con Fishman che, nel caso di un focolaio di coronavirus a Gaza, la minaccia della censura internazionale limiterebbe Israele a misure “non violente” per impedire agli abitanti di Gaza di attraversare il recinto perimetrale. Per inciso, questo scenario presume l’esistenza di efficaci misure “nonviolente” per prevenire le infiltrazioni, il che renderebbe beffarda la giustificazione di Israele per il ricorso alla forza dal 2018. Cosa faremmo di tale politica? Se le richieste internazionali per porre fine alla chiusura di Gaza vengono ignorate e il blocco di Israele rimane in vigore, Israele avrebbe il diritto di ostacolare gli abitanti di Gaza in fuga da un’emergenza COVID-19?
Considerate che:
se Gaza è forse eccezionalmente mal equipaggiata per affrontare un’epidemia, ciò è dovuto principalmente al fatto che il blocco di Israele ha distrutto le sue precarie infrastrutture e spento la sua economia;
il diritto internazionale e le autorità per i diritti umani, incluso il Comitato Internazionale della Croce Rossa, hanno uniformemente definito il blocco di Israele come “punizione collettiva” illegale;
Israele, in quanto potenza occupante a Gaza, ha il dovere legale di provvedere e garantire il benessere degli abitanti di Gaza;
Israele ha trasformato Gaza in quello che funzionari israeliani e internazionali definiscono un “campo di prigionia”, in un momento in cui le organizzazioni per i diritti umani chiedono in tutto il mondo il rilascio di prigionieri per prevenire l’infezione mentre Israele ha implementato questa misura nelle sue carceri nazionali.
È sicuramente discutibile che, anche se Israele non fosse responsabile della situazione a Gaza, avrebbe comunque l’obbligo umano di migliorare una crisi di salute pubblica lì, nella misura in cui le sue capacità lo consentissero. Ma dato che, se gli abitanti di Gaza stanno affrontando una catastrofe senza precedenti, sono le politiche criminali di Israele che hanno causato questo, la responsabilità di Israele è qualitativamente maggiore.
Alla luce di queste circostanze, si può dubitare che Israele sarebbe in grave violazione dei suoi obblighi legali e morali se dovesse cercare con qualsiasi mezzo per impedire agli abitanti di Gaza di fuggire “da una malattia che infuria nell’enclave assediata”?
Se accettata, tuttavia, questa conclusione rivela immediatamente quanto distorta sia stata la reazione alla violenta soppressione israeliana di massa a Gaza dal marzo 2018. Israele ha sostenuto che dispiegava solo la forza strettamente necessaria per impedire ai manifestanti di violare il confine.
I critici israeliani hanno accusato, al contrario, che il suo uso della forza era “sproporzionato” o “eccessivo” rispetto a questo obiettivo, e ha anche affermato che Israele ha violato il principio di distinzione prendendo di mira intenzionalmente i civili.
Queste critiche legittimavano implicitamente l’uso di una forza “proporzionata”, “moderata” e “discriminante” contro i manifestanti. Tutte le parti di queste controversie procedettero quindi da una premessa comune: che Israele aveva il diritto di usare la forza per impedire agli abitanti di Gaza di attraversare il confine.
La disputa si riduce a: quanto?
Ma questo è come dire che Israele ha il diritto di rinchiudere con la forza i due milioni di persone di Gaza in un campo di prigionia devastato da COVID-19.
Israele ha anche giustificato il ricorso alla forza a Gaza dal marzo 2018, poiché i manifestanti hanno rappresentato una minaccia per i suoi soldati di stanza lungo il confine.
I critici hanno contestato l’esistenza di una minaccia sufficiente, ma hanno accettato la premessa che, se i manifestanti avessero messo in pericolo imminente la vita di un cecchino, a Israele sarebbe stato permesso di prenderli di mira.
Ma è come dire che, se Israele confina illegalmente i due milioni di abitanti di Gaza in una trappola mortale e sigilla le uscite mentre soccombono in massa al COVID-19, e quindi i palestinesi utilizzano qualunque arma primitiva sia a loro disposizione in un tentativo disperato di ottenere aiuto, oppure affrontare fisicamente i loro carcerieri in uno sforzo disperato per sfondare il cordone che li sta strangolando, Israele avrebbe il diritto di colpirli per “autodifesa”.
Non si può sostenere che un’emergenza COVID-19 creerebbe una nuova situazione legale, perché Gaza sta già vivendo una “crisi umanitaria cronica”, in effetti, questo disastro in corso è la ragione per cui Gaza è così vulnerabile a un’epidemia di COVID-19.
In una macabra ironia, un tweet di Gaza diventato virale su Internet ha chiesto: “Caro mondo, come ci si sente ad essere messi in quarantena? Sinceramente, Gaza lo è da 14 anni.”
Già nel 2018, il tasso di disoccupazione di Gaza era probabilmente il più alto del mondo, la maggior parte della popolazione dipendeva dall’aiuto alimentare, il 39% delle famiglie viveva in condizioni di povertà, un bambino su dieci era rachitico per la malnutrizione cronica e il 96% dell’acqua del rubinetto era contaminata.
Le Nazioni Unite hanno avvertito già nel 2015 che Gaza potrebbe essere “invivibile” entro il 2020. L’intelligence militare israeliana ha confermato, mentre un successivo aggiornamento delle Nazioni Unite ha giudicato la proiezione eccessivamente ottimista.
La domanda posta dai cittadini di Gaza che hanno rischiato la vita e gli arti dal marzo 2018 per spezzare la morsa di Israele, e la domanda posta dalla prospettiva della fuga di massa da un’epidemia di coronavirus, sono quindi la stessa cosa: Israele ha il diritto di segregare forzatamente un popolazione civile che opprime e blocca illegalmente in uno spazio che ha reso invivibile?
Jamie Stern-Weiner è dottorando all’Università di Oxford. È il direttore di Moment of Truth: Tackling Israel-Palestine’s Toughest Questions (OR Books, 2018) e Antisemitism and the Labour Party (Verso, 2019).
Trad: Beniamino Rocchetto – Invictapalestina.org