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Guerra e controllo: la militarizzazione della Sicilia

Antonio Mazzeo 20/04/2020
Sono state registrate importanti novità relativamente al processo di militarizzazione e riarmo a cui è stata sottoposta la Sicilia dopo le guerre USA e NATO in Iraq e Afghanistan o quella contro la Libia di Gheddafi nel 2011.

Si tratta in buona parte di elementi mai discussi a livello politico, né tantomeno analizzati a livello istituzionale da parte del Parlamento italiano o dalla stessa Assemblea regionale siciliana, che però hanno avuto la conseguenza di esporre la nostra Isola ad una pressione bellica di dimensioni globali, considerando anche la portata e le capacità distruttive degli attori in campo.
Nonostante la pericolosità e la drammaticità dei processi in atto, quanto sta accadendo in Sicilia è volutamente ignorato dai media e, di conseguenza, del tutto sconosciuto a buona parte della popolazione. Una cosa è fare infatti da piattaforma per proiettare la guerra in Iraq o in Afghanistan, sapendo di rischiare poco o nulla; altro è quando i droni USA “Global Hawk” stanziati nella base di Sigonella, con funzioni di sorveglianza e intelligence, operano quotidianamente alla frontiera tra l’Ucraina e la Russia in autentiche provocazioni delle forze armate di Mosca, fornendo magari dati sensibili ai militari ucraini e alle organizzazioni paramilitari alleate.
C’è poi il braccio di ferro lanciato da Trump contro alla Russia che riapre foschi scenari che ci riportano indietro per lo meno di 40 anni. Mi riferisco al rilancio delle politiche di riarmo nucleare, sancito con la cancellazione unilaterale da parte degli Stati Uniti d’America dei trattati per il controllo e contro la proliferazione delle armi atomiche. In particolare, Trump ha dichiarato l’uscita dal Trattato INF contro le armi nucleari a medio raggio, firmato da USA e URSS a fine anni ’80 e che ha consentito lo smantellamento dei missili Cruise, Pershing II e SS-20, i primi installati a Comiso (Ragusa) e contro cui è stata data vita ad una delle più grandi mobilitazioni di massa della storia della Sicilia, italiana e internazionale.
Queste scellerate decisioni non potranno che condurre ad una nuova escalation del processo di militarizzazione e alla ri-nuclearizzazione dell’intero territorio siciliano, considerato che i nuovi programmi di Washington puntano alla realizzazione di nuovi sistemi missilistici a medio raggio con lancio da piattaforme terrestri (e anche mobili, esattamente come avveniva con i Cruise di Comiso, trasportabili ovunque sui camion-lanciatori TEL).
Ma non è tutto, purtroppo. Contemporaneamente all’implementazione dei nuovi sistemi di distruzione di massa, i moderni dottor Stranamore stanno pianificando il rilancio delle strategie della cosiddetta guerra nucleare limitata, proponendo cioè la produzione e l’uso nei campi di battaglia di testate nucleari di piccole dimensioni con potenze distruttive ridotte. I target, cioè gli obiettivi su cui lanciare queste nuove armi, si trovano in quelle aree dove sono in corso guerre sanguinose ma che cinicamente sono descritti dagli strateghi come “conflitti di bassa intensità”. Mi riferisco ad esempio alla Libia o all’Ucraina orientale, solo per restare nelle principali aree di crisi prossime alle basi USA e NATO ospitate in Italia e da cui eventualmente potrebbero partire i cacciabombardieri con le nuove minibombe nucleari.
Ovviamente non sono soltanto gli Stati Uniti d’America (e la NATO) a sperperare miliardi per finanziare la ricerca, sperimentazione e produzione di armi nucleari per le guerre del XXI secolo. Sono infatti numerosi i paesi che hanno dato il via a nuovi programmi di potenziamento dei propri dispositivi nucleari o che aspirano ad assumere un ruolo leader in questo settore strategico: le superpotenze militari come Russia e Cina, i consolidati Stati nucleari come Israele, India, Pakistan, ecc… Ciò non può che rendere ancora più esplosiva l’odierna situazione mondiale, ponendo seriamente a rischio le possibilità stesse di sopravvivenza della specie umana, come denunciano con forza gli stessi scienziati indipendenti.
Fonte: Limes, Usa contro Cina, n. 6 2012.
Sempre relativamente ai programmi di riarmo ad altissimo rischio di olocausto nucleare, c’è un secondo aspetto rilevante che riguarda ancora la Sicilia. Prendo ad esempio le esercitazioni effettuate in questi ultimi mesi dalla NATO in sud Italia e nel mar Ionio e che hanno coinvolto direttamente la stessa città di Catania dove sono approdate alcune delle unità da guerra impegnate. Queste operazioni aeronavali hanno simulato in particolare un attacco globale totale a un “nemico” rimasto non identificato, anche se è presumibile che l’obiettivo strategico sia stato proprio l’Iran contro cui Stati Uniti, Israele e le petromonarchie hanno lanciato una vera e propria guerra santa. Non è un caso che abbiamo assistito in questo periodo ad una sempre più massiccia presenza di portaerei e sottomarini a propulsione e capacità nucleare nelle acque del Mediterraneo orientale e con sempre più frequenza queste unità effettuano soste tecniche presso il polo/deposito USA-NATO di Augusta (Siracusa).
Non c’è giornata in cui non si assista alle pericolose provocazioni USA contro Teheran in cui non vengano utilizzati proprio i porti siciliani per l’attracco delle unità navali o la grande stazione aeronavale di Sigonella per la proiezione aggressiva a distanza e/o il transito di quelle terrestri e aeree. Sommando tutto questo alle operazioni anti-russe in Ucraina orientale e in Crimea è evidentissimo come ci troviamo di fronte a scenari geostrategici dalla pericolosità certamente non paragonabile a quanto è accaduto sino ad oggi. L’esposizione bellica dell’Isola e il rischio di attacchi e ritorsioni non hanno precedenti anche tenendo in conto la potenza di fuoco di due degli attori contro cui USA e NATO stanno agendo, Russia e Iran.
Non vanno poi dimenticati gli interventi offensivi che ormai conosciamo da tempo immemorabile in Nordafrica e nell’Africa sub-sahariana e che vedono protagonisti i cacciabombardieri e i sistemi a pilotaggio remoto (i droni spia e killer) schierati a Sigonella o la forza di pronto intervento dei Marines statunitensi creata originariamente per operare dalla Spagna ma che ormai ha trovato fissa dimora nella grande base alle porte della città di Catania. A ciò si aggiungono le attività di “infiltrazione” delle unità d’élite delle forze armate italiane nel continente africano (dalla Libia alla Tunisia, dal Niger agli altri paesi confinanti del Sahel, dalla Somalia all’intero Corno d’Africa). Questi interventi vedono ancora una volta in prima linea il vasto dispositivo bellico installato in Sicilia ed evidenziano purtroppo come anche il nostro Paese stia sgomitando tra le potenze mondiali per assumere un ruolo neocoloniale in Africa, nell’interesse soprattutto del grande gruppo nazionale petrolifero ed estrazione del gas a capitale pubblico e privato (ENI).
Inquietantissimo quello che ci riserva il futuro prossimo. Qualche settimana fa ho avuto modo di pubblicare un articolo sulle richieste di finanziamento fatte dal Dipartimento della Difesa USA al Congresso per l’anno fiscale 2020, da cui si evince come uno dei progetti chiave veda ancora protagonista la stazione aeronavale di Sigonella. Dopo la realizzazione del MUOS all’interno della riserva naturale orientata di Niscemi, verrà installato in Sicilia un altro megacentro di telecomunicazioni satellitari strategiche delle forze armate USA. Il pentagono ha infatti chiesto l’autorizzazione alla spesa di 77 milioni e 400 mila dollari per realizzare a Sigonella un’area che consentirà di effettuare – così scrivono gli strateghi – “più sicure e affidabili telecomunicazioni vocali e dati, classificate e non classificate, alle unità navali, sottomarine, aeree e terrestri della Marina militare USA, in supporto delle sue operazioni reali e delle esercitazioni in tutto il mondo”. L’assegnazione dei lavori è prevista entro l’agosto 2020, mentre la realizzazione dovrebbe concludersi nell’aprile 2024. E’ prevista inoltre una spesa aggiuntiva di 57 milioni di dollari per l’acquisto delle sofisticate attrezzature elettroniche e d’intelligence che saranno messe a disposizione del nuovo centro satellitare, a riprova di come ci troviamo di fronte a un vero e proprio salto di qualità delle attività e delle funzioni che saranno svolte a Sigonella dalle forze armate degli Stati Uniti d’America.
Mentre ormai è ufficiale che il terminale terrestre del MUOS di Niscemi ha raggiunto la piena operatività, si attende da un momento all’altro la comunicazione da parte dei Comandi NATO dell’entrata in funzione – ancora una volta a Sigonella – del nuovo sistema AGS dotato di cinque grandi droni-spia di ultima generazione che si sommeranno ai “Global Hawk” e ai “Reaper” dell’US Air Force e ai “Triton” di US Navy, per consolidare il ruolo di vera e propria capitale mondiale dei velivoli senza pilota della grande base militare siciliana. I droni AGS della NATO consentiranno di operare in un’ampia area geografica: dall’intero continente africano e il Medioriente sino alle Repubbliche Baltiche e ai confini orientali della Russia, di fatto sempre in funzione anti-Mosca e anti-Teheran.
Mai come adesso è evidente quanto per decenni i Comitati No War hanno denunciato: cioè che Sigonella è stata per la Sicilia come un tumore in metastasi. Il soffocante processo di militarizzazione generato dalla grande installazione USA e NATO è sotto gli occhi di tutti e l’installazione di Niscemi con le sue decine di antenne e il terminale MUOS è l’esempio più emblematico del suo devastante impatto socio-ambientale. Proprio il MUOS assume un valore altamente simbolico in quello che è lo strettissimo legame esistente tra guerra-riarmo-militarizzazione e crimini ambientali-climatici e iper-riscaldamento della Terra. Bisogna infatti sapere come la prima sperimentazione operativa in larga scala del nuovo sistema di telecomunicazione satellitare della Marina USA è stata fatta nella primavera del 2014 al Circolo Polare Artico nell’ambito di quella che è ormai una furiosa competizione tra le Superpotenze per accaparrarsi i minerali e le fonti energetiche che in quest’area diventano molto più facili da sfruttare grazie proprio allo scongelamento dei ghiacciai. Questo devastante fenomeno climatico consente inoltre alle grandi unità navali di penetrare verso il Polo Nord e l’Antartide, aprendo nuove rotte e tragitti più economici e veloci al traffico militare e mercantile.
Nello specifico quella al Polo Nord è stata una vasta esercitazione denominata in codice “ICEX”, organizzata dal Comando per le forze subacquee COMSUBFOR di US Navy. Per la prima volta, un sottomarino a propulsione e capacità atomica ha navigato a centinaia di metri d’immersione sotto la calotta del ghiaccio, mantenendo un costante contatto con i centri di comando USA grazie ai segnali teletrasmessi dal MUOS. Ciò apre nuovi scenari geostrategici e ripropone le modalità di governance “armata” degli effetti più catastrofici delle dissennate politiche energetiche dei paesi industrializzati e del modello stesso di funzionamento del complesso militare-industriale, come del resto è accaduto in questi ultimi decenni con i fenomeni migratori e i loro tentativo di contrasto da parte di USA, NATO e UE. Il mutamento climatico è stato una delle principali cause della pressione migratoria sulle popolazioni del Sud, così come le guerre glocal (molto spesso per procura), la fame e il sottosviluppo. E quella del contrasto alle migrazioni è divenuta una delle sfide chiave con cui oggi si giustificano militarizzazioni e interventi neocoloniali nel Mediterraneo e nell’intero continente africano e dove, ancora una volta, sono sempre la Sicilia e le sue installazioni di guerra ad assumere un ruolo chiave in ambito nazionale ed internazionale.
Dicevamo prima della metastasi Sigonella. In verità non c’è area addestrativa o poligono in Sicilia che oggi non sia stato messo a disposizione dei reparti d’élite USA protagonisti delle peggiori nefandezze nei teatri di guerra mondiali. È di queste settimane la scoperta che i Marines statunitensi destinati a intervenire in Africa hanno utilizzato con propri mezzi aerei ed elicotteri una vasta area agricola nel Comune di Piazza Armerina. Ai reparti USA è stato concesso pure l’uso del poligono di Punta Bianca, a due passi dalla città di Agrigento, in una delle aree naturali e paesaggistiche più belle e più fragili dell’Isola, utilizzato stabilmente dalla Brigata Meccaniizzata “Aosta” dell’Esercito italiano. I reparti statunitensi di stanza a Sigonella sono stati inoltre tra i protagonisti di una imponente esercitazione, neanche una settimana fa, che ha interessato buona parte della provincia di Trapani, comprese alcune aree di rilevante interesse naturalistico e lo scalo aereo di Birgi, uno degli avamposti di guerra più importanti di tutto il sud Italia. Quest’esercitazione è stata svolta congiuntamente ad alcuni reparti della Brigata “Aosta”, giunta in Sicilia subito dopo l’Unità d’Italia per garantire il controllo dell’ordine pubblico e la repressione del brigantaggio e delle proteste popolari (vedi in particolare i Fasci siciliani, il movimento contadino, le ricorrenti rivolte per il pane nei grandi centri abitati, ecc.). Trasformatasi negli ultimi anni in uno dei reparti di pronto intervento delle forze armate italiane in ambito NATO ed extra-NATO (anche grazie alla sottovalutata operazione Strade Sicure e alle missioni “di pace” in Libano, Kosovo, Iraq e Afghanistan e alle sempre più numerosi attività addestrative con le forze armate USA), la Brigata “Aosta” ha accumulato un’enorme capacità operativa proprio sul fronte interno e oggi si candida a divenire il fulcro delle unità anti-sommossa e di repressione dei movimenti sociali in Sicilia e nel Mezzogiorno d’Italia.
Uno dei luoghi dove si è manifestato con intensità il cancro della militarizzazione della Sicilia è certamente l’isola di Lampedusa. Mentre l’attenzione mediatica si concentrava sugli sbarchi dei migranti, le “emergenze umanitarie” predisposte ad hoc per riprodurre la paura delle invasioni e le vergognose condizioni dell’hotspot di contrada Imbriacola, venivano installati nella piccola isola sistemi radar, impianti di telecomunicazione e centri per la guerra elettronica, alcuni dei quali ancora una volta all’interno di zone di rilevante importanza ambientale e paesaggistica. Una selva di antenne che oltre a elevare Lampedusa ad avamposto per la trasmissione degli ordini di guerra delle forze armate nazionali e NATO, sta contribuendo con il bombardamento massiccio di onde elettromagnetiche a peggiorare le già preoccupanti condizioni di vita e sanitarie della popolazione locale.
Siccome poi ai signori delle guerre globali l’appetito vien mangiando, il processo di ultramilitarizzazione di Lampedusa ha investito anche lo scalo aeroportuale, già utilizzato in passato per operazioni top secret e “anti-terrorismo” nel Mediterraneo e in Nord Africa. Da qualche settimana questo aeroporto opera da laboratorio sperimentale di un nuovo prodotto del complesso militare-industriale, il grande drone-spia “Falco-Evo” di Leonardo-Finmeccanica, affittato alla famigerata Agenzia per il controllo delle frontiere esterne Ue Frontex nell’ambito delle operazioni anti-migranti nel Mediterraneo centrale e, immaginiamo, anche in territorio libico e nel Sahara. Nello specifico questo grande velivolo senza pilota ha il compito di videofotografare il transito delle imbarcazioni “sospette” o degli automezzi utilizzati per il trasporto dei migranti nel deserto e di fornire i dati sensibili raccolti alle forze armate e di sicurezza libiche a cui Italia e Unione europea hanno affidato le operazioni sporche di respingimento dei “clandestini” alle frontiere meridionali, in modo di trasferire così il muro armato invisibile contro i flussi migratori dal Canale di Sicilia ai confini con il Ciad, il Niger e il Sudan.
La proiezione della forza militare di “contenimento” anti-migranti sempre più a sud risponde all’esigenza di rendere ancora più invisibili e lontani i crimini e le violazioni dei diritti umani perpetrati dagli attori a cui Bruxelles e Roma hanno delegato la guerra in atto alle migrazioni. Anche in quest’ottica va interpretata la missione delle forze armate italiane avviata lo scorso anno in Niger (MISIN), in cui la formazione e l’addestramento dei militari nigerini sono finalizzati indiscriminatamente alla “lotta al terrorismo” e “al traffico di persone” e la cooperazione allo sviluppo (con fondi del Ministero Affari esteri e dell’Unione europea ma con gestione MISIN) viene barattata in cambio del rafforzamento dell’impegno di Niamey contro i migranti o, peggio, convertita nell’acquisto e trasferimento alle autorità militari locali di sofisticate attrezzature per la schedatura biometrica personale.
Un accenno è doveroso ad un altro tumore generato dalla metastasi Sigonella, quello relativo all’uso da un quinquennio dell’aeroporto di Pantelleria per i voli d’intelligence, riconoscimento e disturbo elettronico affidati da USAfricom, il Comando delle forze armate statunitensi per il continente africano, a contractor privati statunitensi. Questi voli vengono effettuati periodicamente nel Mediterraneo e sui cieli di Algeria, Tunisia e Libia, sino alla frontiera orientale dell’Egitto. Ovviamente tutto viene tenuto top secret e perfino il Comando di Sigonella che fornisce la logistica agli scali dell’aereo-spia con insegne “civili” a Pantelleria ammette di ignorare i reali obiettivi e le funzioni esercitate. Di certo i dati raccolti durante le incursioni in territorio africano sono trasmessi direttamente a Ramstein (Germania), sede centrale di US Africom, ma non sarebbe assolutamente strano se alcune delle informazioni d’intelligence venissero trasferite anche alle formazioni militari e paramilitari partner USA in Nord Africa nella “guerra al terrorismo”.
La Sicilia, infine, si sta prestando dal 2011 a sperimentare direttamente le politiche liberticide di “confinamento” dei sempre meno numerosi migranti che riescono a raggiungere le nostre coste in imbarcazioni di fortuna. Mi riferisco in particolare ai centri, paradossalmente e ipocritamente definite di “accoglienza”, aperti un po’ ovunque nell’Isola, veri e propri lager dove l’obiettivo reale è quello di spersonalizzare e deprivare gli “ospiti-semireclusi” dai loro sogni, speranze, resistenze. Mineo, Pozzallo, Lampedusa, l’ex caserma “Gasparro” di Messina, ecc., classificati ormai come “hotspot” per le identificazioni e le conseguente espulsioni manu militari degli “indesiderati”, sono anch’essi il laboratorio con marchio Frontex per implementare in grande scala il modello di controllo totale delle persone, dei loro corpi e delle loro coscienze.
Non è certo casuale che proprio la città di Catania sia stata prescelta quale sede mediterranea dell’Agenzia di controllo esterno delle frontiere Ue, scelta infame promossa e sostenuta dall’ex amministrazione Bianco e che ha contribuito anch’essa a rendere ancora più asfissiante e insostenibile il processo di militarizzazione del territorio siciliano. La rilevanza della creazione del Centro Frontex a Catania è stata purtroppo ampiamente sottovalutata dalle associazioni e dai gruppi che in questi anni si sono impegnati in difesa dei diritti dei migranti.
Assai poco considerato è pure quanto accade con sempre maggiore frequenza e intensità all’interno delle scuole di ogni ordine e grado e nelle università siciliane, cioè la militarizzazione de iure e de facto del sistema educativo con l’occupazione delle infrastrutture scolastiche per parate e simulazioni varie da parte delle forze armate (Brigata “Aosta” in primis); l’affidamento a generali ed ammiragli di lezioni e corsi con gli studenti in tutte le discipline (c’è perfino la rilettura e reinterpretazione della Costituzione); le attività di alternanza scuola-lavoro nelle caserme, nelle basi militari strategiche e nelle industrie produttrici di sistemi bellici; la svendita della ricerca scientifica da parte degli atenei al Pentagono, alle forze armate USA, NATO e nazionali, ecc..
L’incapacità dei soggetti politici alternativi e della sinistra radicale a far diventare argomento centrale di dibattito quello della militarizzazione dei territori, dell’istruzione e della società, è certamente una grossa sconfitta, soprattutto perché gli effetti prossimi di questo processo saranno pagati in carne propria dagli stessi attori chiamati al cambiamento e alla resistenza al neoliberismo e alla guerra. Militarismo e militarizzazioni, le forze armate a controllo e “gestione” dell’ordine pubblico, ecc. erodono progressivamente i sempre più limitati spazi di libertà ed espressione, di aggregazione e lotta sociale, così come si è assistito recentemente proprio qui a Catania con lo sgombero violento dei centri occupati. Le leggi liberticide introdotte nel sistema giuridico attraverso i cosiddetti decreti sicurezza, legittimano le forze di polizia nell’implementazione di ulteriori strumenti repressivi. Credo però che sia doveroso ribadire che queste norme non sono il frutto del “folle” di turno (vedi il leghista xenofobo oggi alla guida del Viminale o il suo predecessore del “partito democratico”), ma sono invece un atto dovuto della Politica e dei Governo a favore del grande capitale transnazionale che non ammette assolutamente la possibile esistenza di conflitti e mediazioni sociali.
Per assicurarsi l’ordine, l’obbedienza, il controllo e l’esercizio repressivo, il capitale transnazionale non ha avuto scrupoli ad utilizzare in Sicilia, accanto alle forze di sicurezza e militari, le organizzazioni criminali e mafiose. La mafia si è macchiata del sangue di innumerevoli oppositori al sistema neoliberista o ha imposto con la minaccia di morte l’emigrazione forzata dalla Sicilia di migliaia di oppositori al sistema dominante. Per questo la lotta globale alla borghesia mafiosa e ai poteri di guerra diventa oggi l’unica alternativa per continuare a mantenere in vita gli spazi di socialità e le speranze di resistenza di tutte/i coloro che credono ancora che ci sia un altro mondo possibile.