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Coronavirus: il confinamento non abolisce la presenza della strada, ma la reinventa

Raoul Vaneigem 22/04/2020
Mettere in dubbio la pericolosità del Coronavirus, è sicuramente assurdo.

Tradotto da Franco Senia
D’altra parte, non è altrettanto assurdo che un’interruzione in quello che è il normale decorso delle malattie venga fatta oggetto di un simile sfruttamento emotivo, e che risvegli quell’arrogante incompetenza che anni fa era riuscita a spazzare via dalla Francia perfino la nube di Chernobyl? Ovviamente, sappiamo con quanta facilità lo spettro dell’apocalisse esca dalla sua scatola per impadronirsi del primo cataclisma che gli si offre, per giocare così con le rappresentazioni del diluvio universale, e spostare quella che è la griglia della colpa sul terreno sterile di Sodoma e Gomorra.
La maledizione divina è sempre stata un utile complemento al potere. Almeno fino al terremo di Lisbona del 1755, quando il marchese di Pombal, amico di Voltaire, approfittò del sisma per massacrare i gesuiti, ricostruire la città secondo le sue idee e liquidare allegramente i suoi rivali politici attraverso degli esperimenti «proto-stalinisti». Eviteremo di insultare Pombal, per quanto odioso sia stato, paragonando il suo colpo di stato dittatoriale alle misere misure che il totalitarismo democratico sta applicando in tutto il mondo all’epidemia di Coronavirus.
Quant’è cinico dare la colpa del propagarsi del flagello alla deplorevole inadeguatezza delle risorse mediche impiegate! Per decenni il bene pubblico è stato minato e smantellato, vittima di una politica che favorisce gli interessi finanziari a spese della salute dei cittadini. Ci sono sempre più soldi per le banche e sempre meno letti e infermieri per gli ospedali. Quali buffonate useranno per nascondere ancora il fatto che questa gestione catastrofica del catastrofismo è inerente al capitalismo finanziario, globalmente dominante, e che è proprio lui che oggi lotta globalmente a nome della vita, del pianeta e delle specie da salvare. Senza cadere in questa recrudescenza del castigo divino per cui l’idea sarebbe quella che la Natura si sta sbarazzando dell’uomo come se fosse un parassita gradito e dannoso, non è però inutile ricordare che per millenni lo sfruttamento della natura umana e della natura terrestre ha imposto il dogma dell’antifisica, dell’anti-natura. Il libro di Éric Postaire, “Le epidemie del XXI secolo”, pubblicato nel 1997, conferma quali sono stati gli effetti disastrosi della persistente denaturalizzazione, che vado denunciando da decenni. Facendo riferimento al dramma della «mucca pazza» (che era stato predetto da Rudolph Steiner già nel 1920), l’autore ci ricorda che, oltre ad essere indifesi contro alcune malattie, bisogna rendersi conto che a poterle causare è lo stesso progresso scientifico. Nel richiedere un approccio responsabile alle epidemie ed al loro trattamento mette sotto accusa quella che l’autore della prefazione Claude Gudin chiama la «filosofia del cassiere». Egli ci pone la seguente domanda: «Se subordiniamo la salute della popolazione alle leggi del profitto, fino al punto di trasformare in carnivori gli animali erbivori, non corriamo così forse il rischio di provocare delle catastrofi che saranno fatali per la Natura e per l’Umanità? I governi, com’è noto, hanno già risposto unanimemente SÌ. Ma che importa, visto che il NO degli interessi finanziari continua cinicamente a trionfare?»
E ci voleva il Coronavirus per dimostrare ai più miopi che la denaturalizzazione per ragioni di redditività può avere delle conseguenze disastrose per la salute universale (salute che viene gestita senza disinnescare un’Organizzazione mondiale le cui preziose statistiche servono a giustificare la cancellazione degli ospedali pubblici)? Esiste una chiara correlazione tra il Coronavirus ed il collasso del capitalismo globale. Allo stesso tempo, non è meno ovvio che ciò che ci sta travolgendo e sopraffacendo, insieme all’epidemia del Coronavirus, è una peste emozionale, una paura isterica, un panico che nasconde quella che è la mancanza di terapie, e perpetua il male spaventando il paziente. Durante le grandi epidemie di peste del passato, la gente faceva penitenza e proclamava la propria colpa auto-flagellandosi. E non è forse interesse degli amministratori della disumanizzazione globale persuadere le persone che non c’è modo di uscire dal miserabile destino che viene loro inflitto? E che l’unico modo è quello della flagellazione della servitù volontaria? La formidabile macchina mediatica non fa altro che ripetere la vecchia menzogna dell’impenetrabile ed ineluttabile decreto celeste, in cui il folle denaro ha soppiantato gli dei sanguinari e capricciosi del passato.
Lo scatenarsi della barbarie poliziesca contro pacifici manifestanti ha ampiamente dimostrato che la legge militare è l’unica cosa che funzioni efficacemente. Adesso confina donne, uomini e bambini nella quarantena. Là fuori, c’è la bara, dentro c’è la televisione: la finestra aperta su un mondo chiuso! Si tratta di un condizionamento capace di aggravare il malessere esistenziale appoggiandosi alle emozioni logorate dell’angoscia, ed esacerbate dalla cecità di una rabbia impotente. Perfino le bugie cedono il passo al collasso generale. Il cretinismo statale e populista ha raggiunto i propri limiti. Non si può negare che ci sia in corso un esperimento. La disobbedienza civile si sta diffondendo e sta sognando società che sono radicalmente nuove perché sono radicalmente umane. La solidarietà libera dalla loro scorza individualista gli individui che non hanno paura di pensare con la propria testa.
Il coronavirus si è trasformato nel marchio rilevatore del fallimento dello Stato. Almeno questo, per le vittime della reclusione forzata, è qualcosa cui pensare. Quando ho pubblicato le mie «Modeste proposte agli scioperanti», ci sono stati alcuni amici che mi hanno parlato di quanto fosse difficile ricorrere al rifiuto collettivo, da me suggerito, di pagare tasse e imposte. Oggi, però, l’evidente bancarotta dello Stato truffatore è la prova di un declino economico e sociale che sta facendo sì che le piccole e medie imprese, il commercio locale, i bassi redditi, le aziende agricole familiari e perfino le cosiddette libere professioni siano assolutamente insostenibili. Il collasso del Leviatano è riuscito a convincerci in maniera più rapida di quanto avevano fatto i nostri sforzi per abbatterlo.
Il Coronavirus ha fatto di meglio ancora. La cessazione delle attività produttive nocive ha ridotto l’inquinamento del mondo, salvando da una morte programmata milioni di persone: la natura respira, i delfini tornano nuotare e a giocare in Sardegna, i canali di Venezia liberatisi del turismo di massa riscoprono l’acqua chiara, il mercato azionario crolla. La Spagna decide di nazionalizzare le cliniche private, come se avesse riscoperto la sicurezza sociale, come se lo Stato si ricordasse dello stato sociale che ha distrutto.
Niente viene dato per scontato, tutto comincia. L’utopia continua a gattonare a quattro zampe. Abbandoniamo alla loro celestiale inanità i miliardi di banconote e di idee vuote che circolano sulle nostre teste. Quel che importa è «farci gli affari nostri» lasciando che la bolla degli affari crolli e imploda. Stiamo attenti alla mancanza di audacia e fiducia in sé stessi!
Il nostro presente non consiste nel confinamento che ci viene imposto dalla sopravvivenza, ma è l’apertura ad ogni possibilità. Quelle misure che lo Stato oligarchico è costretto ad adottare, e che fino a ieri aveva ritenuto impossibili, sono solo effetto del panico. Dobbiamo rispondere a quello che è il richiamo della vita e della terra da riconquistare. La quarantena favorisce la riflessione. Il confinamento non abolisce la presenza della strada, ma la reinventa. Permettetemi di pensare, cum grano salis, che l’insurrezione della vita quotidiana continua ad avere insospettabili virtù terapeutiche.