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Coronavirus: cambierà tutto perché nulla cambi?

di Juan Diego Garcia, LaPluma, 11 aprile 2020, traduzione italiana di Milena Rampoldi, ProMosaik. Il coronavirus mette a nudo tutte le debolezze dell’attuale ordine capitalista; ovviamente, mostra anche la sua enorme capacità di adattamento alle crisi, oggi come in passato. Ecco perché è più un desiderio che un’affermazione realistica quella di quegli analisti che sostengono che la crisi attuale ora è la congiuntura che porrà fine al capitalismo per aprire le porte a un nuovo ordine mondiale. 


Marisa Babiano

In effetti, non si può dire nulla con sufficiente certezza e può darsi che la pandemia venga superata in un mese o due, o che ci troviamo di fronte a qualcosa di molto peggiore che avrà delle conseguenze che non siamo in grado di prevedere. La crisi economica è un fatto garantito e si discute solo su chi darà il maggior contributo, indipendentemente dal fatto che la classe dei salariati e le medie e piccole imprese o le grandi aziende che dominano l’ordine mondiale ne trarranno degli enormi benefici. È evidente che si stanno pagando le conseguenze dell’idea neoliberista secondo cui “lo Stato non sarebbe la soluzione ma il problema” (Margaret Thatcher) visto che la crisi mostra gli enormi rischi di indebolire la funzione statale, favorendo il mercato del tutto smisurato. La crisi del sistema sanitario è solo un aspetto del problema, ma proprio nei paesi in cui le politiche neoliberiste hanno colpito il sistema sanitario pubblico con tale intensità, le carenze nel trattamento della pandemia sono di maggiore entità, mentre le aziende sanitarie private, così privilegiate negli ultimi decenni, mostrano i loro limiti profondi e mettono alla luce la perversità della loro etica aziendale che prima pensa al beneficio del capitale e poi al trattamento dei pazienti. Gli Stati Uniti sono in testa se si osservano tutti questi aspetti, ma il fenomeno si palesa anche in Europa; e date le condizioni di relativa arretratezza dei paesi alla periferia del sistema, questo impatto potrebbe riprodurre degli scenari di immensi drammi come i cadaveri abbandonati nelle strade di Guayaquil o la polizia autorizzata a sparare sugli obiettori della quarantena (che tra l’altro non la osservano perché non hanno una casa in cui stare in quarantena) come è il caso in Perù o nelle Filippine.
In Cile, i Carabineros hanno sempre sparato addosso ai cittadini che protestavano (anche quando non c’era ancora la pandemia), non subendo alcune conseguenze sul piano penale. Una volta superata la pandemia, oltre all’equilibrio necessario di tutto quello che ci insegna questa crisi, sarà necessario discutere sulle modalità di riavviare l’economia, sia con le proprie risorse che con quelle messe a disposizione dalla solidarietà internazionale. L’Unione europea, come si poteva prevedere, sta mostrando un’immagine deplorevole della mancanza di solidarietà tra i suoi membri, poiché gli ideali originali di cooperazione e sviluppo tra i suoi membri sono stati abbandonati a causa delle politiche neoliberiste.

“Indossa una maschera o vai in carcere”: in California durante la pandemia di influenza “spagnola”, 1918
In realtà non sembra prevedibile che si verifichino dei cambiamenti sconvolgenti negli attuali orientamenti neoliberali di quasi tutti i governi, né di quelli europei né di quelli nel resto del mondo, almeno che non si apra uno spazio non trascurabile di azione sociale e politica al fine di ottenere almeno una riduzione dell’attuale neoliberismo che – incoraggiata da un certo ottimismo – riesca ad impadronirsi nuovamente di alcuni spazi pubblici, delle funzioni dello Stato e delle limitazioni dell’attuale potere assoluto del mercato. Anche se è desiderabile e anche necessario fare molto di più arrivando fino allo smantellamento del sistema capitalista come propongono alcuni pensatori, al di là dei desideri vi è l’effettiva correlazione delle forze che permettono di realizzare i sogni. La pandemia da una parte mette in evidenza in modo drammatico i limiti del sistema, ma dall’altra non nega la sua capacità di riorganizzare le proprie forze e di mantenere il controllo sociale. È possibile che l’attuale crisi abbia un impatto sui governi chiaramente colpevoli di un impatto così grave della pandemia sulla vita quotidiana; ovvero sui leader che rasentano il ridicolo e l’irresponsabilità, come si può dire degli Stati Uniti, del Regno Unito o delle Filippine, che potrebbero subire un pesante contraccolpo alle elezioni per essere sostituiti da dei leader meno patetici.
Ma in ogni caso, attualmente non sembra vi siano forze sociali sufficienti capaci di introdurre una certa razionalità nel funzionamento del sistema in modo tale da mitigare alcuni dei suoi effetti più dannosi. Il neoliberismo quale ideologia di base di quasi tutti i governi del mondo ha messo a nudo tutte le sue miserie e impone almeno la necessità di produrre dei cambiamenti importanti se al momento non fossero possibili altri cambiamenti importanti e radicali. Comunque, esso porta ancora alla ribalta un dibattito che potrebbe darci la possibilità di ottenere dei notevoli progressi futuri.
Senza ombra di dubbio, la pandemia rafforza la necessità di uno stato forte in tutti i sensi e di un mercato controllato il più possibile nel quadro delle regole capitaliste. Potrebbe imporsi un’affermazione della socialdemocrazia, che potrebbe mostrare delle sfumature maggiori o minori a seconda del paese e creerebbe le condizioni che permetterebbero uno spostamento verso un ordine sociale in cui i meccanismi di potere eletti democraticamente impongono degli interessi comuni che stanno al di sopra di quelli privati, costringendo dunque il capitale a funzionare secondo questi nuovi principi (se mai fosse possibile). Osservando il cielo pulito delle metropoli in questo periodo, causato in particolare dalla drastica riduzione del traffico stradale, è ovvio che prima o poi sarà fondamentale indurre (o costringere se necessario) la produzione a larga scala di altri tipi di automobili (elettriche, ad idrogeno, ecc.), ponendo fine all’attuale modello basato sul petrolio.
Ma una decisione del genere avrebbe un’influenza significativa non solo sulle grandi società automobilistiche, ma anche sui giganteschi monopoli che controllano la produzione e la vendita degli idrocarburi. Non ci sono limiti tecnologici; il passaggio ad altri tipi di veicoli a motore e molto di più, il superamento della civiltà del petrolio, del carbone e di altri prodotti inquinanti è già permesso sul versante scientifico e tecnologico. Non si tratta di un sogno degli illusi, ma di un’imposizione della realtà. Nel caso del petrolio, ad esempio, sembra che le scorte disponibili bastino solo per un decennio e poco più. Il cambiamento è quindi obbligatorio e va solo chiarito chi sosterrà i costi dei nuovi investimenti. Fino ad ora il costo è diminuito in particolare in termini di manodopera e meno in termini di capitale.
È possibile trovare una soluzione più equilibrata? Sembra che sia possibile se la correlazione delle forze lo consente, se i salariati e le piccole e medie imprese sono in grado di scegliere governi che scarichino i costi principali sul grande capitale; e se si decidesse se non sarebbe necessario tornare a qualche forma di protezionismo; in realtà, non si agirebbe in modo diverso rispetto ai paesi più ricchi del pianeta (Stati Uniti e Germania tra l’altro). Sarebbe giunto dunque il momento di ripensare i progetti di integrazione regionale (l’Unione Europea, ad esempio) su basi diverse e ai sensi di una logica che privilegi il sociale e il bene comune rispetto ai meschini interessi del grande capitale.
Il ruolo della Cina nella gestione interna della pandemia e nelle sue misure di cooperazione internazionale è di notevole interesse. Lo stesso si può dire di Cuba per la sua gestione responsabile della pandemia sull’isola e i suoi gesti di generosità inviando personale sanitario e materiali di aiuto ad altri paesi (ad esempio all’Italia).




















Parigi, 8 marzo 2020: azione di attiviste FEMEN contro la “pandemia patriarcale che stupra una donna ogni sette minuti, uccide una donna ogni 48 ore”. Foto Martin Bureau/AFP