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Il Covid-19 arriva a Gaza dove la sanità è al collasso

Michele Giorgio 24 marzo 2020
L’annuncio dei primi due casi accertati di contagio trova Gaza incapace di affrontare una possibile ampia diffusione del virus. Tredici anni di assedio attuato da Israele e tre guerre distruttive hanno schiacciato il sistema sanitario.

«La notizia che tanto temevano è arrivata, sapevamo che era solo questione di tempo». È molto preoccupato il dottor Ahmad Mohanna, direttore dell’ospedale non governativo Al Awda. Gli chiediamo di descriverci il possibile scenario dopo l’annuncio dei primi due casi positivi registrati a Gaza: due palestinesi rientrati dal Pakistan e ora in quarantena. «Ci stiamo impegnando tutti, non governativi, privati e ministero della salute, stiamo seguendo le istruzioni dell’Oms – ci risponde – comunque dobbiamo essere realisti, non saremo in grado di affrontare una possibile diffusione massiccia del coronavirus.
In tutta Gaza abbiamo solo 48 terapie intensive, il ministero riuscirà ad arrivare a 70 ma in ogni caso non sono sufficienti per assistere un numero elevato di contagiati in condizioni gravi». A questo, prosegue Mohanna, «aggiungiamo la scarsità di medici e infermieri formati per affrontare un’emergenza di questo tipo». La situazione della sanità a Gaza, conclude, «è lo sbocco ovvio di 13 anni di assedio del nostro territorio e di tre guerre (israeliane) contro Gaza».
La volontà non manca così come la piena consapevolezza dei rischi per la popolazione. Sono state allestite due aree di quarantena a Rafah per prevenire i contagi di ritorno e altre 17 strutture simili nel resto di Gaza. Scarseggiano però i farmaci salvavita, le attrezzature, laboratori adeguati, kit per i tamponi, tute, guanti e mascherine per proteggere i medici. Non sarà facile mettere in piedi, in caso di necessità, in ospedali spesso fatiscenti, aree isolate dove curare gli ammalati. E non si può non ricordare quanto sia penalizzante per il sistema sanitario la cronica mancanza di energia elettrica sufficiente.
Il Qatar stanzierà 150 milioni per l’Onu a Gaza. Non è certo che aiuteranno ad evitare un disastro. «Immaginiamo due milioni di esseri umani che vivono in 365 kmq, circa 5400 per kmq, il luogo più densamente popolato del pianeta. Gli abitanti di Gaza sono confinati in una gabbia dalla quale non possono fuggire», spiega al manifesto il dottor Angelo Stefanini, ex direttore dell’Oms nei Territori occupati e volontario a Gaza per conto dell’ong Pcrf-Italia.
«Parliamo» aggiunge Stefanini «di una regione con un sistema sanitario al collasso a causa del blocco israeliano e di bombardamenti (durante le tre guerre) che hanno causato distruzioni enormi oltre a numero di morti e feriti che ha sovraccaricato la sanità, senza dimenticare le vittime della Grande Marcia del Ritorno. È impensabile che gli ospedali di Gaza possano reggere l’urto (della diffusione del contagio)».
Le autorità sanitarie hanno varato rigide misure di contenimento e alla popolazione è stato chiesto con forza di rimanere a casa. A Gaza però una buona fetta degli abitanti vive in situazioni di degrado e a stretto contatto, soprattutto nei campi profughi. L’acqua è un bene scarso e poco accessibile. E non pochi, dopo tre guerre, una casa dove stare isolati non ce l’hanno. Nena News