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Come riconoscere e retribuire il lavoro invisibile delle donne

Guadalupe Nettel 12/03/2020
La cura e i lavori domestici sono un lavoro che deve essere retribuito. Non è un “obbligo naturale” per le donne. Non possiamo più tollerare questi pregiudizi.

Tradotto da Silvana Fioresi

Editato da Fausto Giudice
Città del Messico – Quando mio padre parlava di una donna che si occupava con devozione di un bambino, di un malato o di un anziano, diceva che aveva una “mistica femminile”, qualcosa che rappresentava per lui una sorta di vocazione religiosa. Ascoltandolo, mi immaginavo uno di quei culti nei quali le persone si immolano o godono nel sacrificarsi. Non ha mai parlato di “mistica maschile”, così come molti considerano l’esistenza dell’ “istinto materno” come se fosse scontato e quasi nessuno fa riferimento all’istinto paterno, benché ci sia un certo numero di animali maschi che si curano dei loro figli con amore.
Abbiamo tutti bisogno di essere accuditi, non solo alla nascita o durante l’infanzia, ma anche quando siamo malati. In ogni famiglia ci sono dei membri che necessitano di un’attenzione particolare. Occuparsene consiste in attività come curare i bambini, i malati e gli anziani, o persone che soffrono di un handicap qualunque, oltre alle faccende domestiche quotidiane come la cucina, il bucato, il cucito, la ricerca dell’acqua e della legna da ardere. È un bene sociale essenziale per il funzionamento della nostra economia e della nostra società. Tuttavia, ed è più incredibile di quanto possa sembrare, le cure di questo tipo sono spesso sentite come lavori non qualificati e improduttivi che non meritano neanche di essere riconosciuti. Molti pretendono addirittura che non si tratta di un lavoro, ma di un obbligo naturale o addirittura una “mistica”, come diceva mio padre, tipica delle donne. Questi pregiudizi riflettono una serie di regole imposte da una società patriarcale che non si possono più tollerare.
Secondo un recente studio di Oxfam, solo i due terzi del lavoro che le donne effettuano è retribuito, mentre più dei tre quarti non lo è. Si tratta di miliardi di ore di lavoro non retribuito, di cui il valore economico – secondo i calcoli salariali più conservatori – è di almeno 10.800 miliardi di dollari all’anno, cioè più di tre volte il valore dell’industria mondiale delle tecnologie digitali.
Numerosi cambiamenti avvengono nella nostra società. La violenza e gli abusi, in altri tempi considerati come normali, sono diventati sempre più visibili e intollerabili. Nel quadro della grande revisione che tutti noi, uomini e donne, stiamo effettuando, è essenziale sottolineare l’ingiustizia del lavoro domestico non retribuito, poiché costituisce uno dei grandi pilastri dell’ineguaglianza tra i generi.
Uno dei parametri applicati dagli esperti per misurare la povertà consiste in quello che viene chiamato la “povertà temporale”, cioè le ore di cui dispone una persona per istruirsi, riposarsi o distrarsi. Così come la povertà monetaria, la povertà temporale non è ripartita in maniera uguale tra uomini e donne. Oxfam stima che le donne, nel mondo intero, lavorano 12,5 miliardi d’ore al giorno senza essere retribuite per il loro lavoro domestico. Questo equivale a 1,5 miliardi di persone che lavorano 8 ore al giorno senza stipendio. 
Si tratta di un tempo enorme che non è né riconosciuto né retribuito. Per aggravare le cose, la maggior parte delle donne che passano la loro vita a occuparsi gratuitamente degli altri non avranno la pensione e neanche il denaro necessario perché qualcuno si occupi, a loro volta in caso di bisogno, di loro.
Il fatto che questa massa gigantesca di lavoro non retribuito sia effettuato gratuitamente, ci lascia pensare che le famiglie non abbiano bisogno di introiti supplementari per finanziare questi servizi, e permette al governo di non prendersi carico dei suoi obblighi.
In realtà, sono proprio gli Stati ad avere la responsabilità di fornire ai cittadini delle istituzioni in grado di occuparsi delle persone in difficoltà, e, se necessario, di istituire un sostegno economico o fiscale per le persone che effettuano questo lavoro. Spetta ancora a loro di assicurarsi che tutte le famiglie dispongano delle condizioni sanitarie e delle infrastrutture di base necessarie affinché nessuno debba fare dei lunghi tragitti per andare a prendere l’acqua o la legna da ardere. In quanto società, noi perdiamo un potenziale immenso occupando il tempo di metà della popolazione con del lavoro non retribuito. Noi, le donne, dobbiamo recuperare questa parte della nostra vita se vogliamo diventare autonome e libere.
Come possiamo rimediare a questa situazione? Riconoscendo il valore del lavoro domestico, riducendo il numero di ore a ciò dedicate grazie a dei servizi pubblici gratuiti, facendo attenzione che le istituzioni offrano servizi di baby sitting, di cura di malati e di anziani di qualità, perché le donne possano investire il tempo necessario per istruirsi e condurre una vita professionale e personale soddisfacente. Non è meno importante cancellare i pregiudizi sessisti che vogliono convincerci che il lavoro domestico sia riservato ad un genere e non all’altro, in seno alla famiglia, nello Stato, e nel settore aziendale.
Se vogliamo costruire un’economia più umana che includa le donne e che valorizzi, di conseguenza, il lavoro domestico, è necessario ascoltare chi si prende cura degli altri, in particolare le escluse e le discriminate come le immigrate e le donne autoctone, vigilando a che siano rappresentate nel governo e che siano ascoltate nei media. Ma il più difficile da cambiare non sono le leggi o la mancanza di servizi, ma l’ineguaglianza economica crescente e la povertà estrema di cui soffre l’umanità e di cui noi, le donne, soffriamo in modo sproporzionato.