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Benvenuti nell’Era Complessa!

Pierluigi Fagan 29/03/2020
Questo testo è tratto dal volume La complessità di un’epidemia, Un contributo a più voci pubblicato in questi giorni dal Complexity Institute e scaricabile gratuitamente qui

“Crescita della popolazione, incursione in aree precedentemente disabitate, rapida urbanizzazione, pratiche agricole intensive, degrado ambientale e l’uso improprio di antimicrobici ha distrutto l’equilibrio microbiologico del mondo. Nuove minacce si presentano con ritmo storicamente senza precedenti, più o meno una per anno. Le compagnie aeree ora trasportano più di 2 miliardi di passeggeri ogni anno (4,6 nel 2019), e ciò aumenta notevolmente le opportunità per la rapida diffusione internazionale di agenti infettivi e i loro vettori. (…)


Queste minacce sono diventate una unica minaccia molto più grande in un mondo caratterizzato da elevata mobilità, interdipendenza economica ed interconnessione elettronica. (…) Gli shock sanitari si riverberano come shock economici e minacciano la continuità del business in aree ben al di là degli specifici luoghi colpiti inizialmente. La vulnerabilità è universale.”
È un passo dell’introduzione del Direttore Generale dell’Organizzazione Mondiale della Sanità al rapporto annuale sulle previsioni sanitarie per i tempi futuri, in cui sono puntualmente trattati i problemi epidemico-pandemici a base virus e batteri, accanto agli inquinamenti chimici, alla nuova resistenza che gli antibiotici incontrano nel curare patologie, ai problemi di regolamentazione internazionale, di cooperazione sempre meno praticata, del grande disordine che sembra investire il mondo del biologico troppo invaso da quello tecnologico ed economico (e finanziario), che poco sanno di nozioni come quella di equilibrio.
Il punto è che questo rapporto è del 2007, cioè di tredici anni fa. Già il rapporto Limits to Growth, commissionato al MIT dal Club di Roma, addirittura nel 1972, prevedeva l’intensificarsi di fenomeni epidemici o pandemici. Il motivo è semplice. Dal dopoguerra ad oggi, la popolazione mondiale è triplicata e parallelamente si è sviluppata una pari rete complessa di interrelazioni tra le parti.
Di solito questo fenomeno è detto “globalizzazione”, ma il termine specifico è relativo solo ad un modo particolare di organizzare gli scambi economici, e non solo, dai primi anni ’90 del secolo scorso. Il commercio internazionale era cresciuto già di sette volte tra 1950 e 1973, prima che se ne rilanciasse ed ampliasse la logica con la nascita del WTO, che è solo del 1995.
Nei sistemi, se crescono varietà con attitudine alla relazione, crescono anche le interrelazioni, c’è poco da fare. Lo stesso rapporto del Club di Roma e molti altri studi degli anni ’70, ma qualcuno anche degli anni ’60, avvertivano dei pericoli di crisi ecologica planetaria a cui una crescita incontrollata dei modi umani di abitare il pianeta, crescita allora ancora tutta da venire, andava incontro.
Pochi presero sul serio queste previsioni, pochi continuarono ad aggiornarle con toni sempre più preoccupati, di contro a un interesse sempre meno attento quando addirittura non irridente con generosa attribuzione di catastrofismo, altrettanto pochi hanno letto e discusso il report WHO di tredici anni fa.
Per quanto attiene alla sola questione ecologico-ambientale, solo di recente si è preso coscienza del fatto che forse siamo in una nuova era chimico-geologica che si pensa di chiamare Antropocene, l’epoca in cui la natura è determinata dall’uomo più che dalle logiche naturali impersonali, un’era che sembra avere i suoi natali proprio a partire dal dopoguerra, animata dai pochi fenomeni prima tratteggiati e molti altri che l’hanno e ancora continuano ad accompagnarla. Tutte queste linee convergono verso una constatazione più generale. Il mondo non è fatto solo di demografia o di processi economico-finanziari o di questioni ecologico-ambientali, piuttosto che di questioni sanitarie o geopolitiche o migratorie o tecnologiche. Il mondo è fatto di tutte queste cose intessute assieme e le cose intessute (plexus) assieme (cum) sono, appunto, “complesse”.
Il mondo è complesso da sempre, ma negli ultimi settanta anni è diventato improvvisamente molto più complesso e lo è diventato e lo sta continuando a diventare promettendo di diventarlo ulteriormente, in modi davvero molto intensi di contro a tempi davvero brevi. Settanta anni fa non iniziava l’Antropocene, iniziava l’Era complessa. Noi però continuiamo a vivere ignari di tutto ciò; né le nostre forme sociali, né il riflesso che tali forme hanno nella mentalità, nell’immagine di mondo di cui esistono tanto le versioni collettive che quelle individuali, hanno ancora recepito la benché minima nozione della cultura della complessità che, tra l’altro, ha più o meno l’anagrafe dei macro-fenomeni brevemente citati.
Di questa cultura fa parte, ad esempio, la previsione. In un ambiente complesso, occorre procedere con un certo calcolo preventivo degli effetti che è possibile scatenare. Occorre immettere circuiti di feed-back negativo che moderino quelli di feed-back positivo che rischiano di amplificare i fenomeni con logiche esponenziali. Occorre rendersi consapevoli dei rapporti tra fenomeni e contesto, della natura intrecciata di molti fattori che la nostra cultura moderna studia, ma in una ventina di discipline reciprocamente non comunicanti, che pagano l’estrema risoluzione del particolare con la cecità del generale.
C’è poi da introdurre anche nella cultura della complessità, che queste cose studia da tempo, il concetto di intenzionalità, poiché gli esseri umani non sono atomi, né dati, né molecole, né computer calcolanti ma organismi bio-psichici che si sono evoluti ed affermati per la particolare attitudine a pensare prima di fare, ciò che appunto significa “intenzionalità”. Il che rende la faccenda già complessa ancora più complessa.
Il 2020, nella sua elegante forma numerica che si presta ad annettergli significati importanti, ci sta portando uno di questi effetti della complessità che abbiamo a lungo ignorato. Altre volte gli umani hanno avuto bisogno di un colpo doloroso per trovare il coraggio e la spinta a farsi domande e darsi nuove risposte. Speriamo di non dover pagare un prezzo troppo alto per questo avvertimento e speriamo che l’istinto a far finta di niente, riprendendo a vivere senza consapevolezza dell’era in cui ci è toccato in sorte vivere, non prevalga sul necessario ripensamento.
I tempi cambiano, dovremo cambiare molte cose anche noi, da come viviamo a come pensiamo, altrimenti i prossimi avvertimenti saranno meno gentili di questo, che già ci sembra sempre più inquietante.