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LIBIA. Non si placa lo scontro Erdogan-Haftar

Roberto Prinzi 30 gennaio 2020
Il presidente turco accusa l’uomo forte della Cirenaica delle violazioni della tregua proclamata il 12 gennaio. Ma Ankara continua ad inviare mercenari siriani in Libia a combattere per l’alleato premier libico El Sarraj.

Il generale libico Khalifa Haftar è un «mercenario, un soldato a libro paga dell’Egitto e degli Emirati Arabi Uniti (Eau)». Non usa mezzi termini il presidente turco Erdogan per descrivere Haftar, l’autoproclamato capo dell’Esercito nazionale libico (Enl), il nemico giurato del Governo di Accordo nazionale (Gna) di al-Sarraj riconosciuto internazionalmente. Per il leader turco, «Haftar va fermato» perché è lui il responsabile delle violazioni del cessate il fuoco raggiunto lo scorso 12 gennaio su mediazione russa e turca. Una posizione condivisa dal Gna, sponsor di Ankara, che l’altro giorno ha minacciato di rivedere la sua partecipazione «a qualunque dialogo» qualora l’Enl non dovesse porre fine alla sua offensiva contro al-Sarraj.
Ma il “Sultano” non può fare la morale a nessuno per il fallimento della tregua in Libia. A ricordarglielo è stato il presidente francese Macron (pro-Haftar) che lo ha accusato di «non mantenere la parola sulla non ingerenza straniera» nel paese nordafricano. «Abbiamo visto nei giorni scorsi navi turche che accompagnavano mercenari siriani che arrivavano in Libia» ha detto il capo dell’Eliseo. Parole confermate dalla tv saudita al-Arabiyya che, citando un rapporto dell’intelligence militare dell’Enl, ha parlato di decine di corpi di miliziani siriani nella camera mortuaria del principale nosocomio di Tripoli.
La questione dei “ribelli siriani” giunti in Libia su ordine turco per combattere Haftar sta diventando sempre più un tema centrale nel conflitto civile libico. Secondo il giornale d’opposizione turco “Ahval”, sono circa 3.000 i mercenari islamisti arrivati dalla Siria. Finanziati da Ankara dal 2016 per combattere le unità curde-siriane Ypg del Rojava, molti di loro avrebbero accettato di andare a combattere in Libia ingolositi dai ricchi salari promessi dai turchi (2.000 dollari al mese a fronte dei 90 dollari percepiti in Siria). Non tutti però: alcuni gruppi ribelli si aspettavano un sostegno di Ankara nella battaglia contro l’esercito del presidente siriano al-Asad nella provincia di Idlib, ultima roccaforte dell’opposizione islamista in Siria.
Oltre ai mercenari, il coinvolgimento militare turco in Libia potrebbe essere ancora più diretto: fonti vicine ad Haftar hanno rivelato al quotidiano al-Hadath l’arrivo nel porto di Tripoli di almeno due navi militari turche con a bordo armamenti e soldati. Dal canto suo, il Gna ha accusato gli Emirati arabi di violare i termini della tregua con il trasferimento nel paese nordafricano di gruppi di giovani sudanesi a fianco dell’Enl (soprattutto in difesa dei campi petroliferi).
Più armi e più combattenti in circolazione vuol dire solo una cosa: che la guerra – contrariamente a quanto ha affermato il Convegno di Berlino dello scorso 19 gennaio– continuerà ancora per molto. Gli effetti sono nefasti: un razzo lanciato da ignoti è caduto due giorni fa su una scuola di Tripoli e ucciso due bambini e ne ha feriti altri due. Il Gna ha poi detto di aver abbattuto un drone «nemico» a Misurata (l’Enl nega e parla al contrario di un drone turco abbattuto) e di aver inviato ieri rinforzi verso la strategica città costiera di Sirte conquistata nelle ultime settimane dall’esercito di Haftar.
Altro punto di forte attrito tra il Gna e l’Enl è il 12esimo giorno di blocco dei giacimenti petroliferi del Paese per ordine del generale della Cirenaica. Le perdite sono ingenti: per la compagnia petrolifera libica (Noc) si attestano a 502 milioni di dollari. La situazione è così difficile che il presidente della Noc, Mustafa Sanallah, ha detto ieri che la produzione del petrolio in Libia «potrebbe fermarsi completamente alcuni giorni».
In questo caos, continua il travaglio dei civili e in particolare dei migranti rinchiusi nel lager libici. Il centro di accoglienza di Qanfoudah (Bengasi, nell’est della Libia) ha annunciato di aver rimpatriato, in due diverse operazioni, oltre cento stranieri residenti irregolarmente sul territorio nazionale. Un primo gruppo era composto da 57 egiziani mentre il secondo da 88 persone di nazionalità ciadiana e sudanese.