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Come Facebook, anche WhatsApp sta ora censurando le voci palestinesi.

Raseef22 – 21 novembre 2019
WhatsApp, una divisione di Facebook, sta bloccando selettivamente attivisti e giornalisti palestinesi nell’usare i suoi servizi per coprire le aggressioni israeliane, prova della collaborazione tra Facebook e Israele nel soffocare le notizie palestinesi.

Ancora una volta, i palestinesi sono costretti al silenzio dai canali dei social media, questa volta da WhatsApp, una divisione di Facebook, che ha vietato l’utilizzo del servizio a oltre 100 attivisti palestinesi, dopo che questi l’avevano utilizzato per la copertura in diretta degli abusi e delle violazioni dei diritti umani da parte degli israeliani durante il recente bombardamento della striscia di Gaza.
Il Palestinian Media Collective (AMAD) ha fortemente condannato il “feroce attacco” da parte delle piattaforme dei social media contro i “contenuti palestinesi”, non ultimo WhatsApp, aggiungendo che il 15 Novembre l’applicazione ha bloccato e chiuso centinaia di account appartenenti a giornalisti e attivisti palestinesi.
Il recente sdegno giunge dopo che giornalisti e attivisti palestinesi che a Gaza hanno documentato i recenti eventi sul campo si sono lamentati del fatto che il loro numero è stato bloccato e inserito nella lista nera, non permettendo loro di accedere all’applicazione.
Inoltre, l’agenzia di stampa “Palestine Today” ha dichiarato che i numeri dei supervisori dei suoi account WhatsApp sono stati inseriti nella lista nera e sospesi dopo aver coperto l’assalto israeliano a Gaza. Ciò è avvenuto solo due giorni dopo il barbaro bombardamento israeliano di Gaza in risposta ai razzi lanciati da attivisti del movimento della jihad islamica palestinese, che a loro volta erano stati lanciati dopo che il 12 novembre Israele aveva assassinato il comandante militare del movimento, Baha Baha’a AbulAta. Prima che la mattina del 14 novembre, grazie alla mediazione egiziana, fosse dichiarata la tregua, la campagna di bombardamenti aveva già provocato la morte di 34 palestinesi, tra cui donne e bambini, e il ferimento di altri 111
WhatsApp, una divisione di Facebook, sta bloccando selettivamente attivisti e giornalisti palestinesi nell’usare i suoi servizi per coprire le aggressioni israeliane, prova della collaborazione tra Facebook e Israele nel soffocare le notizie palestinesi.
Facebook aggiorna continuamente il suo algoritmo con elenchi di terminologie, nomi e parole che considera contrari alla sua politica, in modo che i messaggi che fanno riferimento agli abusi di Israele contro i palestinesi vengano eliminati e interi account FB vengano bloccati.
Complicità esplicita
Nella sua dichiarazione, il Palestinian Media Collective (AMAD) ha dichiarato: “Questa censura di WhatsApp si palesa nel contesto di una flagrante complicità con l’occupazione israeliana nella lotta contro i contenuti palestinesi, e nel proseguimento di quella politica che vuole mettere a tacere e prevenire le voci dei palestinesi, così che non possano raggiungere il mondo”, aggiungendo che ciò rappresenta un” palese tentativo di nascondere i crimini dell’occupazione contro il nostro popolo “.
La dichiarazione è così proseguita: “Di conseguenza, lodiamo l’importante ruolo svolto dai nostri giornalisti e dai colleghi attivisti nel servizio della causa palestinese e li invitiamo a non arrendersi alle misure adottate dai siti di social media e a ricorrere a meccanismi appropriati per continuare ad operare su queste importanti piattaforme, adottando le misure necessarie per garantire la loro presenza e seguendo le esistenti linee guida per salvaguardare i loro account. ”
La dichiarazione ha anche invitato le organizzazioni per i diritti umani e i giornalisti, sia locali che internazionali, a “stare al fianco dei giornalisti e degli attivisti palestinesi per proteggerli dalle pagine e dai siti complici dell’occupazione israeliana che operano contro di loro”.
Infine, la dichiarazione ha sottolineato che la voce dei giornalisti e degli attivisti palestinesi “rimarrà presente e non sarà messa a tacere, ma continuerà a rivelare la falsità della narrazione dell’occupazione”.
Prima Facebook
Nel mese precedente, l’agenzia di stampa palestinese (SAFA) aveva dichiarato: “Con l’inizio del 2019, ci sono state più di 500 violazioni contro i contenuti digitali palestinesi su Facebook e, nello scorso settembre, la piattaforma ha bloccato 140 account e pagine palestinesi, così come si sono verificati centinaia di casi di blocco delle trasmissioni in diretta “.
SAFA ha sottolineato che su Facebook esiste un “forte inasprimento” contro i contenuti palestinesi, con la piattaforma che fornisce alla sua società di algoritmi un nuovo elenco di terminologie e parole che considera contrarie alla sua politica sociale, in modo che vengano cancellati post o account.
Tra i termini che Facebook ha aggiunto alla lista di controllo, secondo SAFA, ci sono: martire, Hamas, resistenza, Qassam, Jihad, Fronte popolare – così come i nomi di alcuni martiri come Yahya Ayash e prigionieri come Hasan Salama tra gli altri.
SAFA ha anche preso atto dell’accusa sollevata lo scorso settembre contro Israele dall’organizzazione internazionale “IMPACT” per le politiche sui diritti umani, secondo cui lo Stato sionista avrebbe sfruttato le sue relazioni con Facebook per oscurare i contenuti palestinesi, rivelando ripetuti incontri tra alti funzionari di Facebook e Israele.
All’epoca, l’agenzia di stampa palestinese accusò Facebook di “doppio standard” in quanto si concentrerebbe sui contenuti palestinesi ma non applicherebbe gli stessi standard ai post razzisti da parte israeliana – citando la registrazione di quasi 474.250 post razzisti o di incitamento contro gli arabi pubblicati nei social solo nell’ultimo anno, secondo una ricerca del “The Arab Center for the Advancement of Social Media”.
La verità prevarrà
Ugualmente, il 16 novembre i giornalisti palestinesi hanno lanciato una campagna in solidarietà con il loro collega Muath Amarna, che ha perso l’occhio sinistro a causa di un proiettile delle forze di occupazione durante la sua copertura degli scontri scoppiati nel villaggio di Surif vicino a Hebron,il 15 di novembre.
I giornalisti palestinesi si sono attivati su Twitter con due hashtag #Muaths_eye e #The_eye_of_truth_wont_be_extinguished, in cui hanno espresso la loro solidarietà al collega che a causa, ancora una volta , dell’occupazione, non sarà più in grado di continuare il suo lavoro. Alcuni giornalisti hanno caricato la sua foto con l’occhio bendato, accompagnata dal commento: “Siamo tutti Muath”.
In tre lingue diverse – arabo, inglese e francese – i giornalisti palestinesi hanno scritto: “Muath Amarna è un giornalista palestinese che con la sua macchina fotografica ha documentato molti scontri. Ma dopo il 15 novembre, non è più in grado di completare il suo lavoro giornalistico a causa di un proiettile sparato contro di lui dai soldati dell’occupazione durante la sua copertura degli scontri nel villaggio di Surif a Hebron. Il proiettile l’ha reso cieco del suo occhio sinistro “.
Nella stessa dichiarazione, il Sindacato dei giornalisti palestinesi ha anche condannato il targeting di Amarna, aggiungendo che aveva portato il crimine davanti alla Lega Araba e alle Nazioni Unite esortandoli a prendere una posizione contro i crimini dell’occupazione che colpiscono specificamente i giornalisti palestinesi.
Alla fine di ottobre, il sindacato ha anche registrato circa 606 casi di attacchi contro giornalisti palestinesi, tra cui giornalisti feriti da munizioni vere, proiettili di gomma, bombole di gas lacrimogeni e bombe sonore, nonché assalti fisici, convocazioni per interrogatori, raid su eventi mediatici, imposizione agli arresti domiciliari e prevenzione della copertura di notizie, nonché altri abusi.
Il Sindacato ha affermato che questi attacchi sono intenzionali e mirano a impedire al corpo dei giornalisti palestinesi di denunciare i crimini dell’occupazione.
Trad: Grazia Parolari “contro ogni specismo, contro ogni schiavitù” – Invictapalestina.org