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La guerra contro il mondo: le macchine militari industriali sono una parte dell’emergenza climatica più grande di quanto si possa pensare

Murtaza Hussain 02/10/2019
Più di un secolo prima che si arrivasse sull’orlo della catastrofe ecologica, Rabindranath Tagore ne aveva avuto l’intuizione.

Tradotto da Alba Canelli

Editato da Fausto Giudice

Tagore, scrittore e riformatore culturale indiano vissuto durante il periodo del colonialismo britannico, è stato uno degli ultimi di una generazione capace di esaminare il mondo industrializzato dall’esterno. E’ autore di uno dei primi e più eloquenti avvertimenti contro la precarietà di un mondo basato, come il nostro attuale, sui due pilastri del consumo industriale e della guerra. Durante un viaggio per mare in Giappone nel 1916, fu testimone di un evento che all’epoca era inconcepibile e che oggi ci sembra quasi banale: una fuoriuscita di petrolio. A suo avviso, questa era un’immagine scioccante di una Terra devastata dalla ricerca incontrollata del potere che era diventata l’ossessione di questa parte dell’umanità ora galvanizzata dalle tecnologie prodotte dalla scienza moderna.

“Prima che questa civiltà arrivasse al potere e aprisse le sue fauci affamate per inghiottire i grandi continenti della Terra”, scrisse in Nazionalismo , una raccolta di saggi pubblicati nel 1917 (ed. ital. 1923), “sapevamo di guerre, saccheggi, cambiamenti monarchici e grande miseria. Ma non avevamo mai provato prima d’ora una tale voracità, spaventosa e disperata, una tale divorazione delle nazioni l’una dall’altra, macchine così immense per fare carne tritata di grandi parti della Terra, gelosie così terribili da divorarsi a vicenda”.
L’emergenza climatica che si profila oggi – la distruzione delle condizioni naturali per noi vitali – è il prodotto della nostra incapacità collettiva di imporre dei limiti. Un sistema economico che richiede crescita e consumi infiniti è sempre stato troppo da chiedere a un pianeta le cui risorse non sono infinite. Eppure, come Tagore aveva capito, la stessa avidità e lo stesso disprezzo che ci ha portato alla guerra contro la Terra ci ha portato anche a guerre infinite e catastrofiche tra diverse parti dell’umanità. Mentre scriveva, la prima guerra mondiale era in pieno svolgimento. Tagore percepì questo conflitto come la prima delle guerre moderne. Una guerra che testimoniava il grande potere che alcuni avevano oramai, il potere distruttivo sia del mondo naturale che degli esseri umani. Le industrie militari create durante questo conflitto prefiguravano un futuro ancora più disumano.
“Queste gigantesche organizzazioni per attaccare altri esseri umani e scongiurare i loro attacchi, per fare soldi schiacciando gli altri, non ci aiuterà”, scrisse. “Al contrario, con il loro peso schiacciante, i loro costi immensi e il loro effetto letale sull’umanità vivente, stanno per danneggiare gravemente la nostra libertà”.
Fino alla sua morte nel 1941, Tagore scrisse dei pericoli del militarismo, dell’odio razziale e del brutale sviluppo industriale che cominciava a sfigurare il mondo naturale. L’industrializzazione della guerra ha dato ad alcuni il potere di distruggere altri esseri umani e la terra stessa su una scala che supera i suoi avvertimenti. Anche coloro che hanno dedicato la loro vita allo sviluppo del militarismo usamericano stanno cominciando a riconoscere la distruzione che esso genera. In un’epoca di catastrofi climatiche, il rapporto tra la distruzione ambientale e la distruzione della vita umana che Tagore ha denunciato nei suoi scritti sta indubbiamente diventando la questione principale del nostro tempo.
Non sorprende che il più grande esercito industrializzato nella storia del mondo sia anche il più grande inquinatore del pianeta. Il progetto Costs of War della Brown University lo conferma. Le cifre parlano da sole: con una vasta rete di basi e reti logistiche, il Dipartimento della Difesa USA (DOD) è uno dei maggiori emettitori di anidride carbonica al mondo. “Infatti, il DOD è il più grande utilizzatore istituzionale di petrolio e quindi il più grande produttore di gas serra del mondo”, si legge nel rapporto. Se il Pentagono fosse un paese, sarebbe il 55° più grande emettitore di anidride carbonica del mondo. La sua attività principale, in questo caso la guerra, è l’attività che emette più gas serra. Dall’invasione dell’Afghanistan nel 2001, l’esercito usamericano ha emesso nell’atmosfera 1,2 miliardi di tonnellate di carbonio. A titolo di confronto, le emissioni di carbonio del Regno Unito ammontano a circa 360 milioni di tonnellate all’anno.
Questo onere aggiuntivo sul pianeta potrebbe essere giustificato se tutto questo fosse fatto in nome di interessi vitali per la sicurezza nazionale, ma le componenti più importanti dell’impronta di carbonio dell’esercito usamericano sono state guerre e occupazioni che sono state quasi totalmente inutili [eufemismo o assurdità, queste guerre e occupazioni sono state in gran parte dannose, e non solo “inutili”, NdlT]. Per dirla più direttamente: gli USA hanno devastato il pianeta per follia.
Prendiamo, ad esempio, l’occupazione dell’Afghanistan, dove dopo 18 anni gli USA potrebbero avvicinarsi ad un accordo di pace con i talebani. Sebbene questa guerra sia stata inizialmente accettata come risposta necessaria agli attentati dell’11 settembre, i quasi due decenni di combattimenti che sono passati sembrano non essere serviti a nulla. Dal punto di vista degli USA, un accordo di pace migliore avrebbe potuto essere firmato nel 2001, in un momento in cui i Talebani si erano quasi dissolti di fronte a un’offensiva militare internazionale. Invece di concludere un simile accordo e di poter considerare questa guerra in Afghanistan una vittoria, gli USA decisero di intraprendere un conflitto e un’occupazione senza fine, i cui costi furono enormi: i Talebani si sno ricostituiti, quando erano sull’orlo della scomparsa, almeno 110.000 persone sono state uccise e il danno ambientale è stato enorme.
Oltre ai milioni di tonnellate di emissioni di anidride carbonica durante la guerra, l’esercito usamericano ha contribuito più direttamente alla distruzione dell’ambiente afghano. La deforestazione si è accelerata nel bel mezzo del caos della guerra e, attraverso la combustione dei rifiuti e altri mezzi, le forze armate usamericane hanno rilasciato nell’atmosfera vari inquinanti tossici che hanno avvelenato i civili afghani e persino causato malattie croniche tra i veterani.
La distruzione ambientale causata dalla guerra in Iraq è stata ancora peggiore. La guerra non solo ha portato ad un aumento delle emissioni di biossido di carbonio derivanti dall’attività militare usamericana, ma ha anche avvelenato in modo massiccio l’ambiente iracheno attraverso l’uso di munizioni tossiche e le stesse pratiche di “fosse di combustione” su basi militari che erano già in uso in Afghanistan.
L’ambiente è diventato così tossico in alcuni luoghi che si registrano alti tassi di cancro, così come orribili anomalie congenite, terribili sentenze inflitte a future generazioni innocenti. Un medico britannico, coautore di due studi sull’impatto ambientale delle operazioni militari usamericane a Fallujah, spiega che la popolazione della città soffre dei “più alti tassi di danno genetico mai osservati”.
Si tratta principalmente dell’uso di munizioni all’uranio impoverito da parte delle forze militari usamericane. Nonostante la loro dichiarazione di voler smettere di usare tali munizioni, uno studio del gruppo di monitoraggio indipendente Airwars and Foreign Policy Magazine dimostra che l’esercito ha continuato a usare queste munizioni tossiche negli ultimi bombardamenti in Siria.
Il fatto che le emissioni di combustibili fossili siano il principale fattore del cambiamento climatico aggiunge altro cinismo a queste guerre. Per decenni, la forte presenza militare degli USA in Medio Oriente è stata giustificata dalla necessità di preservare l’accesso alle riserve petrolifere della regione. L’estrazione industriale di queste stesse riserve è stato uno dei principali motori delle emissioni di anidride carbonica a livello mondiale.
In altre parole, il governo degli USA ha scelto di uccidere, distruggere, inquinare e avvelenare il mondo per garantire l’accesso a una risorsa che è la causa principale della perturbazione climatica cui stiamo assistendo. Ci è voluta questa perfetta simmetria tra la guerra industriale e lo sfruttamento industriale della Terra per determinare l’indicibile urgenza che abbiamo di fronte.
Queste guerre infinite, come il cambiamento climatico, sono il prodotto di un altro fattore: l’indifferenza pubblica. Certamente, nel caso della guerra contro l’Iraq, milioni di persone hanno marciato per protestare contro l’invasione e un movimento ambientalista attivo esiste negli USA da diversi decenni.
Ma nel corso del tempo, queste guerre all’estero e i resoconti di lontani disastri ecologici sono diventati rumore di fondo. Anche oggi, mentre il disastro è palese, nessuno di questi argomenti è la principale preoccupazione dei media o del discorso politico. Ciò è probabilmente spiegato, in parte, dalla distribuzione delle sofferenze. Le terribili conseguenze della guerra pesano soprattutto su territori lontani da casa. Analogamente, le prime fasi della crisi climatica hanno colpito soprattutto luoghi lontani con popolazioni dalla pelle scura come Brasile, Bangladesh, Maldive e Bahamas. Finché la crisi rimane lontana dagli USA continentali, anche le persone che potrebbero essere rattristate da tali notizie non sembrano disposte a trattarla come un’emergenza.
Tuttavia, prima o poi, l’emergenza colpirà le nostre coste. Nel marzo di quest’anno, l’anidride carbonica atmosferica ha raggiunto il livello record di 415 parti per milione (PPM). Per darvi un’idea di ciò che questo significa, l’ultima volta che l’atmosfera era così carica di carbonio è stato 3 milioni di anni fa! All’epoca, il Polo Sud era un’area temperata e boscosa, e la temperatura globale era di 3 o 4 gradi superiore alla nostra. Il livello del mare era molto più alto di oggi – 15 metri più alto. Senza una drastica inversione delle dinamiche attuali, se non smettiamo immediatamente di emettere gas serra nell’atmosfera, e se non ci assicuriamo di ridurre la quantità di gas serra già presenti nell’atmosfera, ci stiamo muovendo sulla strada per creare un pianeta come questo. Al contrario, le emissioni nette globali continuano ad aumentare.
Paradossalmente, il Pentagono è uno dei pochi attori che non lo nega, che non nuota nello “scetticismo climatico” che si sta diffondendo all’interno dell’amministrazione usamericana. Come ha detto il colonnello Lawrence Wilkerson, ex capo dello stato maggiore del generale Colin Powell: “L’unico dipartimento di Washington che è chiaramente e completamente convinto della realtà del cambiamento climatico è il Dipartimento della Difesa. L’esercito americano si sta preparando (in un modo o nell’altro) per un futuro cupo di instabilità politica, scarsità di cibo, conflitti sulle risorse e massicci flussi di rifugiati climatici. Comprende inoltre che la propria dipendenza dai combustibili fossili costituisce una minaccia strategica. Per questo motivo il Pentagono sta cercando di adottare misure per diversificare le proprie fonti energetiche”. [Lunga vita ai bombardieri ad energia solare, ai droni e ai missili biodegradabili, NdE]
Ma anche questi tentativi limitati sono stati ostacolati dall’amministrazione Trump. La Marina degli Stati Uniti ha recentemente seppellito un gruppo di lavoro istituito per studiare gli effetti del cambiamento climatico, prevedere l’impatto dell’innalzamento del livello del mare e dello scioglimento delle calotte di ghiaccio. Secondo l’ex ammiraglio che ha guidato gli sforzi della marina per combattere il cambiamento climatico fino al 2015, “il gruppo di lavoro è stato abolito senza una piena comprensione delle conseguenze del cambiamento climatico”.
Tendiamo a pensare al secolo XX come a un secolo di progresso materiale. Bisogna rendersi conto, tuttavia, che questo progresso materiale ha generato un bagno di sangue di dimensioni senza precedenti. Il potere della scienza moderna è stato il crogiuolo di una barbarie senza precedenti. Il costo di queste guerre è difficile da immaginare, ma la sola Seconda Guerra Mondiale – con la sua demoniaca produzione industriale di carri armati, bombardieri, gas tossici e armi atomiche – ha ucciso più di 70 milioni di esseri umani [e miliardi di esseri non umani, NdlT]. Questa guerra ha generato danni ambientali senza precedenti. Le esplosioni nucleari di Hiroshima e Nagasaki ci hanno fornito un primo assaggio di come la civiltà potrebbe autodistruggersi quasi istantaneamente. Ci siamo infine dimenticati di questo disastro. Per condurci oramai ad un altro disastro, che potrebbe essere peggiore.
Lo scioglimento dell’Artico non solo sta creando un’emergenza ecologica. Agli occhi dei governi, militari e industriali usamericani, russi e cinesi, crea anche un potenziale nuovo campo di battaglia [e il potenziale sfruttamento di varie risorse, NdlT]. Di fronte ad un pianeta all’estremità della corda, continuano a pianificare più sfruttamento, più violenza.
Rabindranath Tagore morì all’alba della seconda guerra mondiale, prima che essa raggiungesse il suo terribile apice nucleare. Decenni prima, aveva già visto dove l’avidità illimitata, l’espansione militare e il disprezzo per il mondo naturale potevano guidare questo pianeta – a meno che non si potesse fermare questa folle corsa. Più di un secolo dopo, le sue parole sono quasi profetiche. Forse stiamo assistendo all’emergere di un vero e proprio movimento contro queste guerre infinite e questo nichilismo ecologico che ci hanno portato dove siamo. Tagore non ha lasciato dubbi su cosa ci sarebbe successo se avessimo fallito:
“Se questo persiste all’infinito, se la guerra continua a svilupparsi in assurdità inimmaginabili, e se le macchine e i grandi magazzini ricoprono questa bella terra con i loro rifiuti, il fumo e gli orrori”, avvertì Tagore, “tutto questo finirà in una conflagrazione suicida”.