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TUNISIA. Al voto tra personalismi e imprevedibilità

13 settembre 2019, Nena News
Domenica sette milioni di tunisini sono chiamati al primo turno delle presidenziali, anticipate dopo la morte di Essebsi a fine luglio. Venuto meno il bipolarismo laici-islamisti, la campagna elettorale si è fondata su personalismi e interessi di parte, dimenticando le centrali questioni economiche e sociali.

A tre giorni dalle presidenziali tunisine, uno dei favoriti entra in sciopero della fame. L’imprenditore Nabil Karoui, proprietario della tv privata Nessma, è in carcere da tre settimane con l’accusa di evasione fiscale e riciclaggio di denaro. Dalla sua cella rende noto – tramite il suo legale – l’inizio della protesta contro quella che definisce una detenzione politica e, più nella pratica, per vedersi garantire il diritto di votare.
Ufficialmente resta in corsa per la carica di presidente (la sua candidatura era stata confermata dopo l’arresto dalla commissione elettorale) e rimane il principale sfidante dell’attuale primo ministro Youssef Chahed. Di candidati passati dalla scrematura iniziale della commissione ce ne sono 26, tra cui due donne. Sette milioni gli aventi diritto al voto in una tornata elettorale obbligatoriamente anticipata (si doveva votare a novembre) dalla morte del presidente Essebsi il 25 luglio scorso.
Domenica il primo turno e nel caso nessuno dei candidati si aggiudichi subito la maggioranza assoluta si andrà al ballottaggio a inizio novembre. In mezzo, il voto per il rinnovo del parlamento a ottobre.
Una tornata elettorale centrale per il paese, “sopravvissuto” alle primavere arabe presentandosi come modello opposto alla restaurazione feroce egiziana. Ma un paese che, pur sulla via della democratizzazione reale, sconta una crisi economica che di fatto mantiene vive e radicate diseguaglianze sociali amare, che si traducono nella costante emigrazione dei giovani, nel facile reclutamento dei più disperati tra le fila di movimenti jihadisti e in uno strutturato gap tra città e zone rurali in termini di servizi, ricchezza, infrastrutture e occupazione.
Eppure di tutto questo nei programmi elettorali dei candidati c’è poco: seppure il presidente della Tunisia abbia poteri limitati dalla Costituzione (con un mandato riguardante per lo più sicurezza nazionale, difesa e affari esteri), il voto si è presto delineato come uno scontro tra personalità – e di conseguenza interessi particolari – piuttosto che in un confronto di un’idea di futuro. In prima fila i due “giganti” in termini di bacino di voti.
Da una parte il premier in carica Chahed, ex Nidaa Tounes (il partito laico di Essebsi), fuoriuscito per fondare un partito proprio dopo essersi pericolosamente avvicinato all’islamista moderato Ennadha, l’altro partito di governo insieme Nidaa Tounes. Dall’altra Karoui, il “Berlusconi tunisino”, com’è stato presto ribattezzato: magnate delle telecomunicazioni, usa Nessma Tv per promuovere la sua attività di beneficenza portata avanti con l’associazione caritatevole Khalil Tounes, più che utile a raccattare voti qua e là tra le classi meno abbienti.
Accanto a loro il resto della lunga lista di candidati: dal ministro della Difesa “essebsiano” Abdelkarim Zbidi all’uomo di Ennadha, il suo vicepresidente Abdelfattah Mourou; dagli ex primi ministri Mehdi Jomaa e Hamadi Jebali al più noto Moncef Marzouki, che ci riprova dopo aver occupato la presidenza nel pre-Essebsi, nei fatidici anni di transizione post-rivoluzionaria, dalla cacciata di Ben Ali al 2014. Due le donne, una presenza che è comunque indice del crescente ruolo femminile nei vertici politici: Selma Elloumi, ex ministra del turismo, e Abir Moussi, ex vice segretaria del partito di Ben Ali, il Democratic Constitutional Rally, e dunque presto indicata come una figura del vecchio establishment e della sua rete clientelare e poco trasparente.
E se in queste settimane al centro del dibattito è finito il sistema politico tunisino (tra chi chiede più poteri alla presidenza definendo l’attuale sistema un ibrido senza senso e chi invece ci vede un buon bilanciamento dei poteri), sono assenti i temi più stringenti, quelli economici e sociali in primis, con Tunisi piegata alle indicazioni del Fondo monetario internazionale, alta disoccupazione e peggioramento della qualità della vita. Tanto assenti da rendere davvero imprevedibile il risultato: se è vero che Karoui e Chahed sono in testa nei sondaggi, rimangono spazi bui dettati anche dall’estrema vicinanza della successiva tornata elettorale, stavolta parlamentare che in origine avrebbe dovuto tenersi prima di quella presidenziale. Un elemento non da poco perché ha costretto i partiti a rivedere priorità, linguaggio ed exit strategy, privandoli di un test fondamentale che era quello della composizione del parlamento.
Se ne saprà di più domenica. Di certo viene meno quel bipolarismo che aveva caratterizzato i primi anni dopo la deposizione di Ben Ali, con un centro islamista (Ennadha) e un blocco laico e modernista (Nidaa Tounes), a rappresentare due importanti colonne dell’identità tunisina. Stavolta si cambia: con la sinistra frammentata e divisa e assolutamente poco influente, con il blocco laico spaccato in due e con Ennadha rincorsa da un islamismo meno moderato, tutto è possibile.