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“La repressione franchista è stata scagionata fin dagli inizi” Intervista con lo storico spagnolo Francisco Espinosa Maestre

Enric Llopis 22/09/2019
“Approfondire lo studio della repressione equivale a chiedersi di nuovo come l’oligarchia si è preparata e ha preparato i suoi partigiani per le terribili stragi che commisero con totale determinazione dal 18 luglio 1936”, afferma lo storico Francisco Espinosa Maestre nella prima parte de La justicia de Queipo (2000). Nel suo libro affrontava la violenza e il terrore fascista nelle province di Siviglia, Huelva, Cadice, Cordoba e Badajoz ; l’autore ha lavorato soprattutto sui documenti degli antichi Archivi del Tribunale di Guerra della 2° Regione Militare, il che ha rappresentato una “vera discesa agli inferi”.

Tradotto da Silvana Fioresi
Editato da Fausto Giudice

Francisco Espinosa Maestre (Villafranca de los Barros, Badajoz, 1954) è l’autore (da solo) di più di una decina di libri sulla Seconda Repubblica, la guerra del 1936 e la repressione franchista, tra gli altri La Primavera del Frente Popular. Los campesinos de Badajoz y el origen de la guerra civil (Crítica, 2007) [La Primavera del Fronte Popolare. I contadini di Badajoz e l’origine della guerra civile] e Luchas de historias, luchas de memorias. España, 2002-2015 (Aconcagua, 2015) [Lotte di storie, lotte di memorie. Spagna, 2002-2015]. E’ ugualmente stato, tra il 2005 e il 2010, direttore scientifico del progetto Todos los Nombres [Tutti i Nomi], banca dati lanciata per iniziativa del sindacato CGT e dell’associazione Nuestra Memoria [Nostra Memoria] che informa sulle vittime di rappresaglie franchiste in Andalusia, Estremadura e Africa del Nord. Lo storico sostiene che la repressione franchista è stata scagionata fin dall’inizio, nel luglio del 1936. Come sono avanzate, in questo contesto, le ricerche storiografiche ? “Molto lentamente, perché c’è sempre stato, da parte del potere, un’attitudine opposta a queste investigazioni ; si sono fatte a contro-corrente”, sottolinea Espinosa Maestre nell’intervista realizzata per posta elettronica.
L’Università di Alicante ha cancellato – in certi articoli pubblicati sul suo sito web – il nome del cancelliere che aveva partecipato al Consiglio di Guerra, che ha condannato a morte il poeta Miguel Hernández, nel 1940 ; l’Università rispose così alla domanda di un discendente del militare che agiva in qualità di cancelliere, che si appellava alla legislazione sulla protezione dei dati. Questa decisione dell’Università [che ha in seguito rettificato e annullato questa soppressione] che cos’ha evidenziato? 
Mette in evidenza il fatto che tutti i progressi realizzati con grande difficoltà dalla transizione in un ambito oscuro come quello della repressione, possono sparire da un momento all’altro. Ci ridicolizziamo quando il figlio di uno che fa parte dell’apparato giudiziario militare fascista chiede ad un’Università di occultare in certi articoli del suo sito il nome di suo padre, e quando qualcuno, in questa Università, decide di ottemperare. Visto che gli dispiace che il nome di suo padre appaia in rapporto con un consiglio di guerra di cui era stato il cancelliere, vuole cancellare il passato ritoccandolo. Ma la farsa non finisce qui, perché, in seguito, è l’Università di Alicante stessa che decide di avvalorare questa decisione [sembra che abbiano fatto ulteriormente marcia indietro]. Il fatto in sé è grave e disegna delle prospettive pessimistiche, visto che apre la possibilità ad altri di seguire questo esempio. Immaginiamo un istante il caso opposto : che i discendenti di persone che appaiono nella Causa General* chiedano al Ministro della Cultura di nascondere i loro nomi su Internet…
Che tipo di discorsi sono stati utilizzati per scagionare la repressione franchista e la dittatura? (hai citato, tra gli altri, in vari libri e articoli, quello di una cosiddetta “terza Spagna”, posta tra quello che si dice i due campi, o delle affermazioni come “tutti i morti sono uguali”).
La repressione franchista è stata scagionata fin dall’origine. La prima cosa fatta è stata giustificarla attraverso due procedimenti: inventare una rivoluzione comunista imminente prevista dalla rivolta, e propagare incessantemente l’idea che, se i Rossi non effettuarono i loro progetti criminali è perché non ne ebbero il tempo. Si sopperì all’assenza di un terrore rosso specifico, giustificando i massacri che ebbero luogo ovunque, con delle storie macabre che la stampa favorevole al golpe fece circolare secondo le istruzioni ricevute dai servizi di propaganda. La maggior parte erano false, ma svolsero la funzione per la quale erano state create: diffondere in ogni luogo un terrore che spaventava i settori meno radicali della destra stessa e che nessuno avrebbe potuto prevedere. 
E che cosa è successo dopo, durante la dittatura franchista?
I risultati di questa aberrazione giuridica chiamata la Causa General rimasero in vigore (era una procedura giudiziaria realizzata dopo la guerra, destinata a giustificare il golpe e la repressione). Ma i risultati furono così deludenti che non furono mai pubblicati integralmente, ma solo in modo selettivo, in un libro famoso che conobbe decine di edizioni. Le ricerche realizzate al di fuori della Spagna fin dagli anni ’60 aprirono altre prospettive che trattavano proprio la questione della repressione. Si capiva sempre più chiaramente che le proporzioni del massacro perpetrato dai golpisti andavano largamente oltre i numeri della propaganda franchista. È in questo contesto che si pone il tentativo del generale Salas Larrazábal di riconoscere, nel suo Víctimas de guerra [Vittime di guerra], un maggior numero di vittime della repressione franchista, senza rinunciare ad affermare che i Rossi avevano assassinato di più.
Tutto questo si frantuma in mille pezzi, quando le indagini realizzate dalla fine degli anni ’70 mostrarono, una provincia dopo l’altra, la realtà della repressione in tutta la sua grandezza, sia nelle zone controllate dagli insorti che in quelle rimaste sotto il potere della Repubblica. Tutto ciò è stato molto lento, poiché c’è sempre stato, dalla parte del potere, un atteggiamento contrario a queste ricerche. Sono state condotte contro corrente. Ad un certo punto, questo processo ha raggiunto il movimento in favore della memoria, che ha conosciuto il suo apogeo nel corso dell’ultimo decennio, e che ha significato una catarsi per la società spagnola, che aveva infine sotto gli occhi le fosse comuni e le esumazioni. Anche in questo caso, la reazione è stata evidente, innanzitutto attraverso i revisionisti incoraggiati dal partito popolare e la destra mediatica fin dalla fine degli anni ’90 e, più tardi, da parte di alcuni dipartimenti universitari. Si può affermare, in parole povere, che l’Università, poco implicata in questa storia e fedele al suo conservatorismo tradizionale, preferisce altri temi meno delicati. Abbiamo assistito contemporaneamente alla rinascita del mito della Terza Spagna, all’occorrenza rivivificato da tutta una serie di romanzieri generalmente vicini al gruppo PRISA, e la cui missione consisteva nell’equiparare i due campi, i Rossi e i Blu*, preservando una cosiddetta Spagna ideale e virtuosa che si posizionerebbe al di sopra dei due partiti.
« Sono trent’anni che raccontiamo, in ogni provincia e in ogni villaggio, quello che è successo in Spagna a partire dal 17 luglio [1936] e ci sono persone che non ne vogliono sapere niente. Tutto quello che riguarda la repressione fascista li disturba e li irrita », hai scritto nel 2012. Di chi vuoi parlare?
Voglio parlare della destra spagnola, che non ha rotto con il fascismo e che rifiuta di ammettere il carattere criminale di questo regime, e anche dei settori che non vogliono vedere niente aldilà della Costituzione del 1978. Queste due categorie assumono il modello della transizione. Ma quello che, negli uni, fu una condizione per accettare l’evoluzione da un sistema ad un altro senza che nessuno di loro ne fosse affettato, è negli altri una condizione imposta e assunta che si potrebbe riassumere così: avrete accesso al potere, ma il passato recente non esisterà per voi. In altre parole, amnistia e patto di dimenticanza. Da qui il grande buco nero esistente tra il 1931 e il 1975. Il Partito Popolare non ha nessun problema ad assumere il franchismo, questa epoca di straordinaria tranquillità, secondo i termini di uno dei suoi dirigenti. Da parte sua, il PSOE vive in questa contraddizione : si tratta di un partito che, nel corso della sua lunga tappa al potere (1982-1996), ha deciso di non guardarsi indietro (Felipe Gonzalez dixit) e la cui data di riferimento è sempre il 1978, ma, al tempo stesso, si vanta senza scrupoli dei suoi 140 anni di storia, come se quello che è uscito [dal Congresso] di Suresnes (1974) e che conosciamo, avesse qualcosa che fare con il PSOE anteriore alla dittatura.
Cosa pensi della caratterizzazione del franchismo come regime o dittatura « fascistizzata », nel senso in cui – al di fuori del partito falangista – la destra spagnola e le élite hanno semplicemente incorporato qualche elemento del fascismo ? Possiamo considerare il franchismo come una dittatura “fascista”, senza ulteriori sfumature, o riserveresti questa appellazione solo alla sua prima tappa?
Nonostante il vecchio dibattito sul tipo di regime imposto dai golpisti in Spagna e le reticenze persistenti nell’includere il franchismo nei fascismi, credo che il sistema sorto dal colpo di Stato militare, impiantato tramite il terrore in più della metà del paese in qualche settimana o mese e estesa al resto del paese tramite una lunga guerra, fu di carattere fascista per quanto possa esserlo, cioè finché lo sviluppo della Guerra Mondiale lo ha lasciato orfano, privato dei paesi che lo avevano sostenuto fin dall’inizio: l’Italia e la Germania. È sotto questo segno che ha terminato bene la missione per la quale è stato creato ; in seguito, ha cercato dei nuovi partners e ha evoluto in ogni istante come meglio poteva nei suoi interessi. Il caso spagnolo è diverso dal caso italiano e tedesco per un punto essenziale: qui non ha beneficiato, all’origine, del sostegno sociale che invece aveva trovato in quei paesi. Ciò nonostante, senza arrivare alla perfezione del modello italiano, il franchismo si è messo da questa parte. 
E se consideriamo quello che i fascisti e i nazisti hanno fatto nei loro propri paesi ai loro concittadini, a eccezione dell’olocausto, il fascismo spagnolo, militarista, agricolo e cattolico, è stato uno dei più avanzati nella sua instaurazione attraverso la violenza e il terrore. La tradizione democratica e parlamentare spagnola era povera e debole. Si dimentica che la dittatura franchista si è progressivamente adattata a quello che serviva sempre ai suoi interessi, con il chiaro obiettivo di perpetuare i privilegi dei settori che l’avevano appoggiata. Il fascismo in Spagna è apparso in seguito al golpe militare, ha conosciuto il suo apogeo durante gli anni della Seconda Guerra Mondiale ed è divenuto una dittatura militare brutale dopo lo scioglimento del nazi-fascismo, nel corso di un lungo processo che va fino a metà degli anni ’50, con la fine della guerriglia della Resistenza. 
Quello che, invece, esisteva già in questa dittatura è la ferma intenzione di far uscire il franchismo dal mondo dei fascismi del periodo tra le due guerre, nel cui compito ha giocato un ruolo chiave il sociologo Juan José Linz con la sua teoria dei regimi totalitari e autoritari, tra i quali ha situato la Spagna con l’approvazione della destra spagnola e di coloro che ammettono tutt’al più l’esistenza di un regime fascistizzato.
In Guerra y represión en el Sur de Espaňa (Università di Valencia, 2012) [Guerra e repressione nel Sud della Spagna], affermi: “Gli insorti sono scesi per strada alle 9 di sera di sabato 18 in città come Siviglia, Cadice e Cordoba, nel bel mezzo di uno spiegamento di forze dell’ordine senza precedenti. Strade e piazze si sono trovate coperte di cadaveri che sono rimasti alla vista di tutti il più a lungo possibile perché tutti sapessero cosa aspettarsi”. Ciò significa che c’era, da parte dei golpisti, un piano (premeditato) di sterminio?
Gli insorti sapevano già in anticipo che avrebbero trovato una forte resistenza. Era già previsto nelle istruzioni di Mola. Cinque mesi dopo le elezioni che avevano dato il potere al Fronte Popolare erano coscienti che la maggioranza sociale li respingeva, soprattutto nelle zone agricole dove predominava la grande proprietà, e in cui i sindacati di sinistra erano preponderanti. Solo la violenza e il terrore avrebbero garantito il controllo di un territorio prima di passare a un altro. Il terrore è stato consustanziale al golpe. I primi crimini ebbero luogo il 17 luglio stesso in Africa Settentrionale, sede delle truppe d’assalto dell’esercito e elemento chiave della rivolta. 
Il 19, c’erano già dei legionari e dei soldati dell’esercito regolare a Cadice e a Algesira, e continuarono ad arrivare fino al grande trasbordo del 5 agosto. Poi, saranno degli aerei tedeschi e italiani a trasportare per qualche mese delle migliaia di uomini. Il genere di guerra al quale erano abituate queste forze è in rapporto alla loro origine coloniale, solo che, questa volta, invece di affrontare le tribù del Rif, quello che si trovarono davanti erano gli abitanti dei paesi e dei quartieri delle città spagnole. Lo schema abituale er auna razzia iniziale con diritto di saccheggio, degli arresti secondo liste già pronte, eliminazione di abitanti del posto durante atti pubblici con valore d’esempio, assalti contro case e locali chiusi, e condivisione del bottino. Questo schema continuo’ ad applicarsi fin dalla partenza dall’Africa fino all’arresto a Madrid il 7 novembre 1936, con risultato migliaia di vittime eliminate avendo come sola forma di processo l’ordeno y mando [“ordino e comando”].
Possiamo applicare alla repressione franchista i termini di “olocausto”, “genocidio”, o “crimini contro l’umanità”? Possiamo mettere Franco allo stesso piano di dittatori come Pinochet, Videla o Ríos Montt?
Credo che si possa parlare di genocidio per ragioni politiche. Così come di desaparecidos (scomparsi) e di crimini contro l’umanità. Franco, il suo golpe e la sua dittatura, hanno costituito senza alcun dubbio un riferimento per i dittatori del Cono sud, che lo ammiravano. Il caso spagnolo offriva loro un modello da seguire: colpo di Stato militare seguito dall’assassinio di migliaia di persone, una lunga dittatura al servizio degli interessi dell’oligarchia e, quando si avvererà utile, ritorno alla democrazia senza alcun pregiudizio per gli attori del sistema precedente. La parola olocausto si è associata alla scomparsa degli ebrei europei e non lo ritengo adeguato al caso spagnolo; credo che non si possano paragonare né qualitativamente né quantitativamente. 
Nel 2010 uscì il libro Violencia roja y azul. Espaňa, 1936-1950 [Violenza rossa e blu. Spagna, 1936-1950] di cui tu eri il coordinatore. Quali furono le differenze fra le due violenze? Pensi che siano paragonabili?
A differenza dei crimini che ebbero luogo in zona franchista, abbiamo abbondanti informazioni su quelli che sono avvenuti nel territorio sotto il controllo della Repubblica. Basta segnalare i 1500 casi della Causa General conservati negli Archivi Storici Nazionali, di cui una buona parte è consultabile on line già da diversi anni. Nei libri che menzioni, José Luis Ledesma ha stabilito che le vittime del terrore rosso sono un po’ meno di 50 000 persone. Ebbene, dopo quarant’anni di ricerche non possiamo ancora valutare il numero delle vittime causate dal terrore blu. Non è certo un caso: da un lato è dovuto alla ferma volontà del regime del 18 luglio di occultare il massacro fondatore e, dall’altro, alla politica della dimenticanza dei governi che hanno susseguito la transizione. Attualmente, dopo 40 anni da questa, e 80 anni dopo il colpo di Stato militare, si raggiungono le 136 000 vittime, ma questo numero è destinato ad aumentare considerevolmente, il giorno in cui conosceremo la verità sulla repressione.
Esistono altre differenze per quel che riguarda la violenza, rispetto a quelle quantitative?
Non si può eludere il fatto che sono i golpisti ad aver iniziato l’aggressione, che sono loro che disponevano realmente di un piano di sterminio. Esclusa qualche eccezione, la reazione iniziale dei comitati nei villaggi, conformemente agli ordini dei Governi di Provincia [le Prefetture], fu di arrestare le persone di destra che rappresentavano un potenziale pericolo. È quello che raccontavano e che avevano vissuto i rifugiati che abbandonavano le loro case a mettere in pericolo la vita di migliaia di persone di destra detenute in zone non ancora occupate. Nelle città, tutto fu diverso: il golpe aveva distrutto le strutture del potere e, per diversi mesi, le milizie agirono come meglio volevano, uccidendo migliaia di persone in città come Madrid, Barcellona, Malaga ecc. Nonostante ciò, gli avvenimenti non ricordavano l’immagine iconica del “Duello rusticano” di Goya, bensì una terribile aggressione alla quale si rispose in modo assai anarchico. In ogni caso, i responsabili di tutta la catena di violenza sono coloro che l’hanno iniziata. 
Perché il periodo della repressione analizzato nel libro sopra citato non copre innanzitutto la guerra civile (1936-1939), poi, d’altro lato, la sua continuazione nel dopoguerra, invece di iniziare nel 1936 e di continuare fino al 1950?
Perché una tale divisione non è mai esistita. Non ho mai dimenticato quello che scrisse in un rapporto un alto responsabile della Guardia Civile alla fine della guerra: esponeva la situazione e terminava affermando che, benché la guerra fosse finita, la campagna continuava. Per i golpisti la guerra fu solo una parentesi (novembre 1936-aprile 1939) dentro un ciclo più ampio (luglio 1936-metà degli anni ’50). Per quanto riguarda il dispositivo repressivo, sappiamo che il processo ha conosciuto due fasi, una che va da luglio 1936 a febbraio 1937, dove si uccideva tramite proclami militari, e l’altra da marzo 1937 a metà del 1944, dove si diede alla repressione un’apparente legalità tramite la farsa dei consigli di guerra speditivi [sumarísimos] urgenti. Cioè, il ciclo del terrore va dal 1936 al 1944, che coincide con la caduta del fascismo, anche se bisogna dire che questi lunghi otto anni furono seguiti da altrettanti anni, il tempo che ci volle per arrivare a distruggere totalmente la resistenza antifranchista.
Il ciclo repressivo continuò quindi su due decenni. A metà degli anni ’50 intervennero una serie di nuovi elementi che permisero di parlare di cambiamento. Basterà menzionare l’inizio del processo migratorio e la fine del periodo autarchico. 
Cosa sono gli archivi del terrore, e quello che tu hai, in certe occasioni, chiamato “le vere fonti sulla repressione” ? Sono attualmente accessibili ai ricercatori o sono classificate come “segrete” ?
Il concetto di “archivi del terrore” rimanda al Paraguay e ai documenti trovati e resi pubblici nel 1992 da Martín Almada, dal giudice José Agustín Fernández e molti giornalisti, sulla dittatura di Alfredo Stroessner e l’Operazione Condor. L’edificio dove sono stati trovati è oggi il Centro di Documentazione dei Diritti dell’Uomo. Contrariamente al caso del Paraguay, i nostri “archivi del terrore” sono ancora segreti. Sono così segreti che non sappiamo neppure se esistono ancora o se sono stati distrutti. Parlo essenzialmente della documentazione sulla repressione prodotta dall’Esercito, la Guardia Civile e le Delegazioni di Ordine Pubblico (divenute poi Commissariati Provinciali). Sappiamo che esistevano delle schede dettagliate perché è da lì che provenivano le informazioni utilizzate in ogni sorta di documento, dai certificati ai rapporti. 
Il giornalista Carlos Hernández de Miguel ha scritto, nell’ aprile 2018, un articolo sul eldiario.es intitolato “Documenti segreti, distrutti o tra le mani dei franchisti: la battaglia dei ricercatori per la memoria storica”. Il furto e la distruzione di documenti, rapporti, carte e schede erano abituali? Durante la dittatura e anche durante il periodo democratico?
Durante la dittatura pochissima gente aveva accesso agli archivi militari: diciamo, solo dei militari e delle persone ideologicamente sicure, del tipo Ricardo de la Cierva. Come dice lo storico francese Charles Morazé : “Ogni prova materiale di una decisione ha più possibilità di essere tolta dagli archivi tanto più è importante il suo significato politico”. E in Spagna c’è stato molto tempo per far scomparire le prove. Ho l’abitudine di menzionare il caso di Badajoz. Negli archivi militari di Avila c’è un rapporto di Yagüe per Franco, allora a Siviglia, sui risultati dell’occupazione della capitale dell’Estremadura. Vi è indicato in dettaglio le perdite, i prigionieri, le armi recuperate, ecc., in un documento allegato. Ebbene, questo documento non esiste. Qualcuno ha dovuto pensare che era meglio se nessuno lo vedeva.
Ma questi fatti non sono solo successi durante la dittatura, si sono prolungati durante la transizione e anche nel corso degli anni ’80. È così che sono spariti dei fondi importanti delle Prigioni Provinciali, dei Tribunali di Prima Istanza, degli archivi municipali ecc. Tra negligenza, censura e distruzione volontaria, è una parte importante del patrimonio documentario che è sparita. E non pensate che sparisca tutto. Si tratta di un curioso processo selettivo. Così per esempio, nel caso degli archivi municipali, la documentazione riguardo la leva e le questioni religiose (congregazioni e confraternite), è miracolosamente preservata. 
In ultimo, cosa pensi sui riferimenti a degli storici “militanti” e “fronte-populisti”, che promuovono di più “una visione idealizzata della Repubblica”? Da dove vengono questi termini squalificanti e qual è il loro obiettivo ?
Vengono da settori universitari che non hanno mai visto con piacere la ricerca sul golpe di luglio 1936 e le sue conseguenze, né il movimento della memoria storica. L’unione tra Storia e Memoria è per loro un’aberrazione, anche se sanno benissimo che questa, utilizzata in modo critico, è una ulteriore risorsa per la storia, molto importante tra l’altro in caso di dittature che si sforzano di non lasciare delle tracce. Tutti possono capire che, di torture e violenze, come di tante altre storielle, non ne resta nessuna testimonianza scritta. In numerosi villaggi appena occupati si organizzavano atti pubblici in cui si rasavano a zero e si obbligavano a bere olio di ricino delle donne segnalate per le loro idee o perché erano semplicemente parenti di militanti di sinistra. Qualcuno conosce un documento che informi su questi fatti? Solo le testimonianze, orali o scritte, possono darcene una prova. 
Questi stessi settori considerano che l’insistenza nell’indagine sul golpe e la repressione franchista induca un’idealizzazione della Seconda Repubblica. Criticano la visione irenista di qualcuno su questi anni. Dietro questa posizione si nasconde di solito l’idea che la Repubblica fu responsabile della propria fine. Si giustifica così quello che è successo dopo, non apertamente, ma come conseguenza del processo che si è aperto nel 1931. Da qui l’insistenza a parlare della Seconda Repubblica e della guerra civile come se fosse un solo periodo. 
Inoltre c’è un’altra questione di fondo. Il modello della transizione esige un’interpretazione del passato che implichi la negazione dell’esperienza repubblicana come ultimo riferimento democratico prima della Costituzione del 1978. Diciamo che sono dei processi storici che si escludono. I difensori ad oltranza del modello di transizione che si è lentamente aperto dopo la morte di Franco pensano che bisogna lasciare da parte la Repubblica, il golpe e la dittatura perché tutto possa seguire il suo corso, e quelli che sostengono che bisogna tener conto di questo passato pensano che il processo di transizione si è svolto nelle condizioni che implicavano un continuismo che comprometteva il futuro, e il rifiuto ad affrontare tutta una serie di questioni importanti che, presto o tardi, avrebbero finito per emergere. Il problema di fondo è stato esposto, a suo modo, dal luogotenente-generale Sabino Fernández Campos, conte di Latores e segretario della Casa Reale : “Tutti devono sforzarsi di tacere quello che è necessario tacere perché le cose ormai stabilite bene non cambino”. La conclusione è chiara: il franchismo non è avvenuto invano e la Spagna attuale viene da lui.
NdlT
* F. Espinosa Maestre mette esplicitamente in causa il best-seller del 2001, I Soldati di Salamina, che, di fatto, porta in scena due eroi, il fascista Rafael Sánchez Mazas, e il soldato repubblicano Miralles. Si potrebbe aggiungere, nel cinema, Ballata dell’odio e dell’amore (2011) di Alex de la Iglesia, una cui immagine mostra una donna, che simbolizza la Spagna, letteralmente lacerata tra i due campi.
NdE
*La Causa general instruida por el Ministerio Fiscal sobre la dominación roja en España (Causa generale istruita dal ministero pubblico sul dominio rosso in Spagna) fu una delle armi della repressione e della propaganda franchista dopo la guerra civile. Instaurata nel 1940 e in vigore fino al 1969, fu un’enorme istruzione per” conoscere il senso, l’ampiezza e le manifestazioni più importanti dell’attività criminale delle forze sovversive che, nel 1936, hanno apertamente attaccato l’esistenza e i valori essenziali della patria, salvati in estremo, e provvidenzialmente, dal movimento liberatore”. Diretta da un procuratore speciale, ha accumulato 4 000 casse di documenti sui “crimini rossi” dal 1931 al 1939, oggi depositate agli Archivi storici nazionali di Madrid.