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FOCUS ON AFRICA. La Tanzania rimpatria i rifugiati in Burundi, nonostante la crisi

Federica Iezzi 31 agosto 2019
Nella tradizionale rubrica del sabato andiamo anche in Somalia dove l’ex leader ribelle Ahmed Mohamed Islam è stato rieletto a capo del Jubaland, in Mali dove si riaccende il conflitto tra Dogon e Fulani, e in Ciad per la condanna dei 243 ribelli sconfinati in Libia

Somalia
Lo Stato meridionale del Jubaland ha rieletto Ahmed Mohamed Islam a leader della regione semi-autonoma. Ahmed ha sconfitto altri tre candidati in un voto espresso dai legislatori tenutosi nella città portuale di Kismayo. L’ex leader ribelle ha vinto con 56 dei 74 voti espressi.
Ahmed, 58 anni, è stato eletto per la prima volta nel maggio 2013, un anno dopo che le truppe somale, sostenute dai soldati dell’Unione Africana, hanno spinto il gruppo armato di al-Shabaab, fuori da Kismayo.
Le Nazioni Unite avevano invitato tutte le parti interessate a tenere un processo elettorale credibile, inclusivo, equo e pacifico.
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Mali
La stagione del raccolto in Mali si è trasformata in un conflitto ancestrale che si svolge al culmine della stagione secca tra i Dogon, contadini e cacciatori tradizionali e i Fulani, pastori semi nomadi del Sahel. I Dogon accusano i Fulani di oltrepassare i terreni agricoli per nutrire i loro animali, mentre i Fulani accusano i Dogon di aver ucciso e rubato il loro bestiame.
La violenza non si limita al Mali: i Fulani nel Sahel sono in perpetuo conflitto con distinte tribù. Ad alimentare questo conflitto entrano gruppi armati, tra cui al-Qaeda.
La crisi nel centro del Mali è iniziata dall’occupazione del nord del paese da parte di gruppi terroristici ed è direttamente collegata alla situazione in Libia. Presente dal 2013, la missione di mantenimento della pace delle Nazioni Unite Minusma. Ci sono attualmente 14mila truppe delle Nazioni Unite, tra cui soldati britannici, canadesi e tedeschi, oltre 4mila truppe da combattimento francesi e forze regionali del G5 Sahel.
Intanto i leader Dogon e Fulani rimangono entrambi scettici nei confronti degli attori esterni internazionali.
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Tanzania
Il governo della Tanzania ha raggiunto un accordo con il vicino Burundi per il rientro dei rifugiati burundes, a partire dal prossimo ottobre. Il rimpatrio avverrà in collaborazione con le Nazioni Unite. In base a questo accordo, saranno 2mila i rifugiati che saranno rimpatriati ogni settimana. Attualmente, circa 200mila burundesi sono in Tanzania, secondo i dati del governo.
L’Unhcr ha dichiarato che le condizioni in Burundi, immerso in una crisi politica quattro anni fa, non sono completamente favorevoli alla promozione dei rimpatri. In Burundi, centinaia di persone sono state uccise e oltre 400mila sono fuggite nei Paesi limitrofi a causa della violenza per lo più condotta dalle forze di sicurezza della nazione in seguito alla decisione del presidente Pierre Nkurunziza dell’aprile 2015 di candidarsi per un controverso terzo mandato.
Nkurunziza ha vinto la rielezione e subito dopo il Burundi ha sospeso tutte le attività di cooperazione con gli uffici delle Nazioni Unite, dopo che un rapporto commissionato dall’Onu ha accusato il governo di Bujumbura e i suoi sostenitori di essere responsabili di crimini contro l’umanità.
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Ciad
Secondo quanto dichiarato dal ministro della giustizia del Ciad, un tribunale penale speciale ha condannato i 243 ribelli che hanno attraversato la Libia, lo scorso febbraio, prima che la loro incursione fosse interrotta da raid aerei francesi.
L’Union of Resistance Forces, gruppo armato che si oppone al presidente ciadiano Idriss Deby, con sede nel deserto libico meridionale, è avanzato per circa 400 km nel territorio del Ciad, prima di essere fermayo dai raid aerei francesi nei pressi della capitale del Ciad, N’djamena. Il Ciad ha subito ripetuti colpi di stato e crisi da quando ha ottenuto l’indipendenza dalla Francia nel 1960.
Deby ha anche affrontato diverse crisi dopo il colpo di stato militare del 1990, mentre osservatori internazionali hanno messo in dubbio l’equità delle elezioni che lo hanno tenuto in carica per decenni. La Francia invece vede Deby come chiave per una più ampia lotta regionale contro i gruppi armati, e con questo principio ha basato le sue 4.500 forze dell’Operazione Barkhane a N’djamena.