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Femminicidi, fatto sociale? Omicidi bianchi, fatto di cronaca?

Rosa Llorens 25/09/2019
Dopo Greta, dopo il calcio femminile, i media hanno aperto un nuovo fronte, lanciato una nuova campagna: il femminicidio.

Tradotto da Silvana Fioresi
Impossibile sfuggirne, il femminicidio è ovunque – almeno a parole, poiché, nei fatti, vediamo veramente ogni mattina le nostre strade disseminate con cadaveri di donne? È veramente questo il problema più diffuso e più angosciante per tutti i francesi e le francesi? Sono le francesi, nella Repubblica, una popolazione a parte, minacciata dalla specie dei maschi ruggenti e manspreader [quelli che siedono nella metropolitana con le gambe divaricate]? Non sono forse anche delle lavoratrici, e, a questo titolo, soggette ad un flagello molto più presente: gli incidenti sul lavoro?
Rimesso nel giusto contesto, il « femminicidio » appare come una nuova applicazione della strategia che consiste nel saturare giornali, radio, tv, romanzi (vedi l’ultimo tomo di Millenium, La ragazza che doveva morire) e aspettiamo i film, su un soggetto promosso causa del secolo, per occultare delle situazioni molto più drammatiche, ma disturbanti, come la guerra nello Yemen (quante donne e ragazzine uccise dall’Arabia Saudita con armi francesi?), o in Siria (quante donne violentate o assassinate dai terroristi islamici, protetti dagli USA, Israele, la Turchia, la Francia… vedi le famose parole di Fabius : « Al Nosra fa un buon lavoro ». Piuttosto che informare, si preferisce ripetere: « Bashar bombarda il suo popolo », quando si sforza di liberare un terzo del suo paese ancora occupato). Ma, tanto per rimanere in Francia, perché non parlare degli incidenti mortali sul lavoro?
Bisognerebbe innanzitutto interrogarsi sul concetto di femminicidio, cosa su cui è difficile riflettere con calma sotto il bombardamento mediatico. Cosa include questo neologismo? I media inventano continuamente nuovi termini che, invece di arricchire la lingua e la riflessione, contribuiscono alla confusione. Nel grande dibattito filosofico medievale tra nominalisti (la corrente scientifica) e realisti, sembra che la seconda abbia vinto: ogni nome generico astratto corrisponde a una realtà: se c’è il termine “Dio”, allora Dio esiste. Non voglio dire che non ci siano donne assassinate (come ci sono anche degli uomini assassinati); ma cosa designa esattamente il termine “femminicidio”, utilizzato oggi in ogni occasione sui media?
Consultiamo dunque Wikipedia per provare a vederci un po’ più chiaro: si tratta di violenza rivolta “specificamente contro una donna in ragione del suo genere” . Il termine include stupri, schiavitù sessuale, eterosessualità forzata, le mutilazioni genitali o quelle effettuate in nome della bellezza come la chirurgia estetica. L’OMS distingue 11 categorie di femminicidi, tra cui il crimine d’onore, delle quali l’ultima consiste in “altri omicidi sessisti associati alle gangs, al crimine organizzato, al narcotraffico, alla tratta delle persone e alla proliferazione delle armi leggere”.
Secondo il Consiglio dell’Europa, la definizione di femminicidio, data nel 2011, è “una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione riguardo le donne, e designa tutti gli atti di violenza fondati sul genere che portano, o sono suscettibili di portare, alle donne, danni o sofferenze di natura fisiologica, sessuale, psicologica o economica” : perché non aggiungere, in questi inventari alla Prévert, le violenze fatte alle femmine dei procioni? In effetti qui c’è motivo per sentirsi sbalorditi, e vorremmo che un giurista analizzasse queste definizioni: quanti concetti giuridici fondamentali ci sono violati ? Notiamo che i delitti menzionati (stupro, tratta delle persone, narcotraffico…) sono già sanzionati dalla legge; perché creare un concetto-piglia tutto che mette sullo stesso piano, per esempio, le “mutilazioni genitali” (le cui ragioni sono culturali) e i crimini mafiosi? L’apparizione della nozione di genere aumenta ancora più la confusione: il femminicidio non riguarderebbe quindi solo le donne? E cosa viene a fare, nella lista dell’OMS, la proliferazione delle armi leggere? O la chirurgia estetica (per me, il crimine, è che sia rimborsata dalla Sicurezza sociale)?
Pensiamo alle «carrette» del Gran Terrore francese, nel 1793-94, giudizi collettivi che raggruppavano i crimini più eterogenei, dalla semplice lavandaia che aveva gridato « Viva la Regina! », fino al generale accusato di alto tradimento, e che si concludevano con la ghigliottina per tutti. Ci avviamo verso una Giustizia dell’Odio (promossa dagli stessi che vedono delle incitazioni all’odio dappertutto, altra parola guazzabuglio che porta alla scomparsa di ogni libertà di espressione): gli accusati saranno condannati, non in virtù della legge, e sulla base di prove materiali, ma in proporzione all’antipatia che i giudici potrebbero provare nei loro confronti, secondo il loro stato d’animo e le loro intenzioni presunte.
C’è stato tuttavia un contesto nel quale il termine di femminicidio ricopriva un tipo di delitto ben preciso: sempre secondo Wikipedia, è stato istituzionalizzato dopo il triplo assassinio delle sorelle Mirabal, che militavano contro la dittatura criminale (istituita dagli USA) di Trujillo nella Repubblica Dominicana, nel 1960. Si è imposto dopo un’ondata di omicidi di donne commessi nel nord del Messico, sulla frontiera usamericana, in particolare a Ciudad Juárez, nello stato del Chihuahua. Wikipedia liquida questo item in una riga, ma ci ritorna nella rubrica « Messico », per segnalare che, negli stati di Chihuahua, Bassa California e Guerrero il tasso di femminicidi è triplicato tra il 2005 e il 2009 (11 ogni 100 000 abitanti), e conclude: “Il tasso di femminicidi del Chihuahua in Messico è comunque da contestualizzare nella sua regione”! (tasso molto elevato di omicidi, circa 100 ogni 100 000 abitanti).
Questi crimini di massa sono stati repertoriati dal giornalista messicano Sergio González Rodríguez nel 2002 in Huesos en el desierto [Ossa nel deserto]: 400 cadaveri di giovani donne, tra i 13 e i 25 anni, stuprate, torturate, mutilate, ritrovate nel deserto intorno a Ciudad Juárez, tra il 1993 e il 2006. Queste informazioni sono state riprese nel 2004 dal romanziere Roberto Bolaño, in 2666.
Tutte queste vittime hanno un punto in comune, è che lavoravano nelle maquiladoras della frontiera con gli USA. Non erano quindi solo crimini sessuali, ma proprio crimini sociali, nutriti dall’esistenza di una zona di non-diritto, in cui il lavoro delle donne, in particolare, è sfruttato al massimo, a beneficio delle società internazionali, in particolare usamericane: l’assenza di diritti sociali, di diritto del lavoro, lo sfruttamento economico e sociale delle operaie, è la base del loro sfruttamento sessuale criminale. 
La storia di questo vero e proprio femminicidio ci riporta quindi al problema degli incidenti mortali sul lavoro, all’assassinio di operai per carenza giuridica (insufficienza di regolamentazione del lavoro, sacrificio della sicurezza dei lavoratori in nome del massimo profitto : Ken Loach ha realizzato, su questo problema, un gran bel film: The Navigators).
Ma è molto più difficile parlare di questo problema, visto che i morti sul lavoro sono occultati: « Non esiste nessuna informazione precisa », possiamo leggere in un articolo di Europe Solidaire Sans Frontières del 15 luglio 2019 : « Morti sul lavoro: i dimenticati della sanità pubblica ».
Si stima che”più di dieci persone muoiono sul lavoro ogni settimana in Francia. Nel silenzio” (due alla settimana per le vittime di femminicidi : bisogna confrontare i numeri, se si vuole riflettere sulla priorità, decretata dai media, del “femminicidio”). 
Secondo Eurostat, nel 2011, “la Francia era il paese più letale per i lavoratori con 524 decessi” (107 “femminicidi” nel 2018 : se i media vogliono spaventarci ripetendo questa cifra di 107, che effetto dovremmo ottenere con quello di 524!) ; riportata al numero della popolazione, questa cifra vuol dire che la Francia è l’undicesimo paese più letale, dietro la Romania, Cipro e l’Irlanda. 
Ma le cifre di incidenti mortali sul lavoro sono largamente sottostimate, visto che questi incidenti sono ripartiti e diluiti sotto rubriche molto diverse (proprio il contrario del femminicidio, che ricopre un amalgama barocco di rubriche). In generale, li si trova sotto la rubrica “fatti di cronaca”. Oppure, in gennaio 2019, un fattorino in bicicletta di 18 anni, che lavorava per Uber Eats, è morto sul lavoro: la sua morte è stata classificata come “incidente stradale”.
Per questo Mathieu Lépine, professore di Storia e Geografia alle scuole medie, ha deciso di catalogare gli articoli di giornale sugli incidenti sul lavoro, per farli passare “da fatti di cronaca a fatti sociali” . È proprio quello che pretendono di fare le femministe parlando di “femminicidio”, “trasformare un fatto di cronaca in fatto sociale”; ma quello che fanno, in realtà, in questo caso, è trasformare degli omicidi provenienti da contesti sociali molto diversi in fatti societali decontestualizzati, cioè li “privatizzano”.
Il “femminicidio” è quindi un concetto piglia tutto che serve in tutti i modi possibili alla propaganda neoliberale : crea un pregiudizio, e anche un sentimento di odio riguardo certe categorie di accusati, prima di una qualunque analisi dei fatti e del loro contesto ; tende addirittura a disfare tutto l’edificio giuridico mettendo sullo stesso piano i delitti più diversi. Serve a mettere in evidenza il concetto di societale per far dimenticare la nozione stessa di sociale e, in particolare, il crimine sociale che sono gli incidenti sul lavoro (da 5 a 10 volte più numerosi dei “femminicidi” – ancora una volta, i morti sul lavoro sono difficili da repertoriare). 
Infine, questo concetto punta a modellare la società sotto la forma che vogliono i liberali, quella della guerra di tutti contro tutti, secondo la teoria di Hobbes. Lo stato liberale di oggi non smette di aizzare gli uni contro gli altri : le donne contro i mariti, i figli contro i genitori, gli utenti contro i lavoratori scioperanti, i laureati del centro città contro gli “analfabeti”, “fannulloni”, e “razzisti” delle periferie e, infine, le donne contro i “grandi maschi bianchi”; è incredibile che non si pensi di rispondere che ogni “grande maschio bianco” (tranne se è omosessuale) è affiancato da una “grande femmina bianca”.