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Campi di rieducazione in Corea del Nord per chi telefona in Cina

Lorenzo Bianchi 16/08/2019
Lo denuncia il sito dei dissidenti nordcoreani. Il regime riprende l’offensiva dei missili e alza una più rigida cortina di ferro con il resto del mondo.

Lanci di missili e giro di vite all’interno per bloccare le fughe di notizie. La Corea del nord si rinchiude a riccio mentre sfida di nuovo il “mondo esterno”. Secondo il sito di dissidenti nordcoreani “Daily NK” il Ministero per la Sicurezza dello Stato (in sigla inglese Mss) ha varato una sorveglianza speciale sulle comunicazioni telefoniche internazionali nella provincia di Ryanggang che confina con la Cina. Diverse fonti hanno riferito a “Daily NK” che gli ufficiali del dicastero hanno ritagliato diverse zone di controllo approfondito con apparati speciali che consentono di identificare entro cinque minuti l’autore della telefonata. Sono state anche innalzati i livelli delle multe per i malcapitati comunicatori abusivi. Dovranno pagare 5000 yuan cinesi (38 euro) per aver chiamato una persona in Cina e 10000 (76 euro) per una conversazione telefonica con un cittadino della Corea del Sud, il Paese il cui presidente Moon Jae-in è stato definito dal Comitato nordcoreano per la riunificazione pacifica della penisola “un ragazzo impudente e difficile da trovare”.
Chi non potrà pagare queste cifre (elevate per il tenore di vita locale) subirà la confisca del telefono e duri interrogatori (a meno che la somma non sia saldata dalla famiglia) e rischierà di essere condannato ai lavori forzati o di finire in un campo di rieducazione. Secondo “Daily NK” resta una sola scappatoia, la classica bustarella. Molte persone sono state colte sul fatto nella città di Hyesan. Nella contea di Pochon un uomo di 30 anni è finito in carcere per aver comunicato con una certa frequenza con i parenti riparati nella Corea del Sud. Un altro è stato arrestato perché “colpevole” di diverse telefonate a un parente scappato in Cina. Sarebbe un broker professionale, ossia un mediatore che trasferisce somme di denaro in cambio di merci che mancano nel “regno” di Kim Jong-un.
La campagna della lotta alle comunicazioni internazionali è stata affiancata proprio in questi giorni da una singolare presa di posizione del giornale ufficiale di Pyongyang “Rodong Sinmun” sull’uso del dollaro. L’organo di stampa ha scritto che un certo numero di Paesi sta tornando alla valuta nazionale per pagare gli scambi di merci. Un economista della Corea del Nord, che ha chiesto di non essere identificato, ha detto al sito che questo è il sintomo di quanto stiano incidendo le sanzioni. Secondo l’esperto “il regime cerca di mitigarne gli effetti”. La gente nutre una profonda diffidenza verso la valuta locale, lo “won”, dopo la riforma del 2009 che ha limitato fortemente il ricorso al dollaro e allo yuan cinese. Ora viene usato per le piccole cifre, ma non per pagare i beni più cari come tutti i prodotti dell’elettronica. I grandi commercianti fino a questo momento sono riusciti ad aggirare i divieti e a fornirsi di dollari. “Ma si teme che il ricorso limitato allo “won” finisca per deprezzarlo e per penalizzare l’economia”, ha spiegato a “Daily NK” l’economista nordcoreano.