General

Quattro interventi sul fenomeno “Greta” Il futuro, come al solito, ha un cuore antichissimo

Various Authors 23/07/2019
In direzione ostinata e contraria

di Pierluigi Fagan
Sulla questione ecologia-Greta, mi trovo in dissenso profondo con molti amici ed amiche con i quali, di solito, si hanno punti di vista comuni. Che fare? Lasciar perdere per non sfilacciare ulteriormente le già sparute file del pensiero critico, o far di questo dissenso un momento di dialettica interna al nostro stesso pensiero critico? La domanda è retorica in tutta evidenza, la scelta è già fatta. Perché?
Ho l’impressione, forse sbaglio e chiedo in sincerità di dibattere la questione tra noi con la ponderazione ed intelligenza tipica dei frequentatori di questa pagina, che noi si sia finiti in un setting di pensiero la cui matrice per altri versi siamo molto lucidi a criticare. Per ragioni che qui non possiamo affrontare, ad un certo punto del secolo scorso, già ai suoi inizi, si è andata manifestando nel pensiero, uno spostamento di asse. Tra la relazione soggetto – oggetto fatta dal pensiero, è emerso il problema dello strumento che ci fa comporre e scambiare il pensiero: il linguaggio.
Tralasciamo i riferimenti più o meno colti e passiamo al momento successivo, quando un filosofo francese minore, pone all’attenzione la natura narrativa di ogni discorso, narrazioni fatte di linguaggio. Il linguaggio è materia della forma discorsiva che influisce, limita, indirizza il discorso stesso ed in più, tutto è discorso. Penso nessuno possa sottovalutare l’importanza di queste osservazioni ormai patrimonio della nostra conoscenza. Per altro ci era già arrivato anche Eraclito, e non solo lui, qualche secolo fa.
Danno da pensare due cose. La prima è il venirsi a formare di una sorta di monopolio concettuale di questo fatto, tutti ormai parlano più o meno solo di questo, tutto è narrazione e contro-narrazione.
Il secondo è che tale sviluppo è parallelo a fatti storici di estrema magnitudo. Nel mentre ci interrogavamo sulle parole e le cose, la grammatica generativa, le parole per dirlo, il media è il messaggio, in Occidente abbiamo fatto due guerre per un totale approssimato di 80 milioni di morti, abbiamo raggiunto la manipolazione nucleare a cui poi abbiamo fatto seguire la società dei consumi ed oggi la società dominata da un media (Internet), il libero scambio e dai rentier. Ma davvero ciò che diciamo è tutto nello strumento che usiamo per dirlo e nei veicoli che usiamo per scambiarcelo?
Rosa Parks era una sartina dell’Alabama, che non aveva finito gli studi di istruzione secondaria, che un giorno del 1955, tornando a casa stanca per il lavoro, osò sedersi su un sedile dell’autobus riservato ai bianchi. Venne arrestata per questo e questo fece scoppiare una contraddizione. Rosa Parks non fondò il movimento dei diritti civili, c’era già Martin Luther King, non andò in televisione a fare portavoce di quelle istanze, né pubblicò libri. Probabilmente, oggi sarebbe diverso perché diversa è la struttura della comunicazione e della formazione e gestione dell’opinione pubblica.
Ho visto su Repubblica stamane due cose. Uno è un video di interviste a giovani ieri riuniti a Piazza del Popolo, nel quale si tendeva a metter in contrasto i proclami integralisti di Greta contro lo shopping e l’utilizzo di aerei. L’altra è una intervista fatta da Formigli che sorrideva ironico mentre la ragazza svedese (ha sedici anni, non si capisce perché molti la chiamano “bambina”) ripeteva i suoi punti di vista che potremmo definire “ingenuamente radicali”. Domandava anche dell’Asperger come se a Rosa Parks avessero domandato della sua mancanza di diploma, come le gerarchie cattoliche chiesero a Giovanna d’Arco divenuta un po’ troppo ingombrante dopo aver svolto la funzione simbolica, quale fosse la sua formazione teologica ed i suoi rapporti con la magia. Mi sembra cioè che non tutto il mainstream sia poi così tranquillo nell’utilizzare la Rosa Parks svedese.
Di contro, la ragazza sciorinava il decalogo dell’ambientalista individuale ma due volte, sottolineava che il problema -in realtà- è sistemico. Dire che un viaggio in aereo inquina di più di tutti i nostri possibili sforzi sulla raccolta differenziata, è intaccare un caposaldo del nostro attuale modo di vivere. Dire di avere un cellulare di quattro anni fa datogli da uno che non lo usava più, anche. Dire che vanno bene i comportamenti individuali responsabili ma il problema è a livello di multinazionali e governi è un inquadramento proto-politico. Dire che il settore energetico svedese è “abbastanza pulito” ma aggiungere che serve a poco se si continua “a consumare, costruire, importare ed esportare merci” non è molto conforme al modo di vedere il mondo del WEF di Davos. O dire che in fondo Trump è meno ipocrita di tanti leader europei che si sciacquano la bocca con pie intenzioni a cui non conseguono fatti o “è tutto il sistema che è sbagliato ed i media hanno più responsabilità di ogni altro poiché se non c’è corretta informazione non c’è conoscenza diffusa e non può esserci mobilitazione” non sembrano imbeccate di chi presuntivamente la starebbe “manipolando” per fini neo-liberali. O almeno non solo, o almeno non del tutto.
Allora, certo la ragazza ha sedici anni ed ha la sua conformazione mentale bianco-nero. Ha dietro qualcuno ovvio. La sua rivolta individuale è stata da qualcuno scelta per far notizia e di notizia in notizia è diventato “un caso”. Un “caso” manipolato da opposti interessi, ovvio. Ognuno contribuisce a creare quel caso parlandone, nel bene e nel male. Inoltre, voluto o meno, l’intero discorso finisce per collassare sul riscaldamento climatico che è un terreno complesso ed incerto, facile da negare o sminuire o dubitare, quando invece attiene a questioni ben più complesse ed assai meno dubitabili, sminuibili, negabili.
Quello che mi e vi domando è perché non ci lamentiamo dell’assenza di un Martin Luther King, di un “movimento” politico che su questo tema possa far battaglia politica trasformativa del nostro modo di stare al mondo? Perché molte menti acute si dilettano solo in contro-narrazione della narrazione gretesca (ma è poi quella di Greta o è delle interpretazioni che gli sono state appiccicate addosso?) e non vanno alla cosa, cosa che non fa meno parte del dominio neo-liberale al pari delle diseguaglianze? Perché non c’è chi usa il simbolo a modo suo riempiendo di contenuti forti una questione che rischia di finire nel calderone del tema d’opinione settimanale e via alla prossima? Perché ci accaniamo sul media e sottovalutiamo il messaggio o almeno le sue potenzialità?
Insomma, non è che nella curva parabolica della svolta linguistica, siamo anche noi finiti nel paradigma ebraico de “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.”? Non è che schifiamo quei giovani ingenui e grezzi come ai nostri tempi altri disprezzavano la nostra ingenua indignazione per l’ingiustizia? Non è che la nostra critica ha finito col pender le stesse forme del discorso dominate trasformando tutto in inconsistenti nuvole di parole che non smuovo un granello di polvere?
Tra soggetto, linguaggio, discorso-narrazione, l’attenzione alla “parola” ci stiamo perdendo la “cosa”? E’ a questo che è servita la svolta linguistica? Trasformare tutto in pulviscolo per cui non si possono più far mattoni e con mattoni, nuove città? Non era forse questo “far città con le nostre mani” che dio voleva evitare colpendo Babele con la sua maledizione? Non stiamo noi stessi aiutando coloro che vogliono imporre “fatti” mentre noi si fanno solo “discorsi”?
A chiudere, una sola nota. Praticamente tutta la filosofia anglosassone cioè anglo-americana, quindi intrinsecamente scientista, liberale, mercato come meccanismo ordinante ogni sociale, tutto il pensiero complesso recente e dominante di quella cultura, si basa sulla svolta linguistica. Della serie “pensiamo a come pensiamo”, poi parliamo.
Timeo Gretas et dona ferentes
di ilsimplicissimus
Una delle più antiche tecniche di conquista è quella del cavallo di Troia che consiste nel riuscire ad infiltrarsi nel campo avversario e prenderlo dall’interno quando risulta impossibile sconfiggerlo dall’esterno. Di tempo in tempo il famoso cavallo di Ulisse ha preso mille forme e oggi consiste soprattutto nel disarticolare e controllare il nemico piazzandogli nel cuore personaggi, movimenti, slogan, centri di informazione che in un primo momento si presentano come alleati, compagni, omologhi e poi lavorano a distruggere ogni resistenza. Oggi nella società dello spettacolo e della comunicazione talmente in tempo reale da essere del tutto irriflessiva, è abbastanza facile mettere in campo cavalli di Troia volanti a patto di avere sufficienti risorse. Così nascono certe avventure dell’arancionismo o così vengono deformati e catturati partiti di antica tradizione, ma in questo modo vengono anche imbrigliate le resistenze al pensiero unico: quando contrastarle diventa difficile o impossibile anche a causa dell’evidenza del reale, ecco che si cerca in qualche modo di controllarle dall’interno, attraverso la mimesi.
Come si sa uno dei temi più spinosi per il capitalismo e il suo fuorigiri dell’iper produzione è quello ambientale, i cui effetti cominciano a farsi sentire anche nel quotidiano: si tratta di un argomento pericoloso che potrebbe deflagrare e saldarsi al malcontento per la precarietà, la sottrazione di welfare, il calo dei salari, la disoccupazione e sottoccupazione di massa, per cui non si può più continuare a fare una debole guerriglia con le truppe di accanite retroguardie reazionarie e negazioniste o simulando un’attenzione che poi si riduce a nulla quando si vanno ad intaccare i profitti. Bisogna trovare un cavallo di Troia per controllare il campo. Ed ecco che spunta fuori dal nulla una ragazzina che si dice abbia la sindrome di Asperger, figlia di due personaggi in vista del jet set svedese, che come una giovannina d’Arco se ne sta ogni venerdì davanti al parlamento di Stoccolma ad esigere provvedimenti per l’ambiente, facendosi profetessa di imminenti e distruttive catastrofi che sono una bassa vulgata del problema, ma proprio per questo sono utili a chi le prepara. Un giornalista francese, Marc Reisinger, voleva intervistarla, ma ha scoperto che non tutti i venerdì Greta è davanti al Parlamento, che quando ci va è circondata da numerosi sorveglianti che si mimetizzano tra gli astanti, e che impediscono contatti diretti, specie con i giornalisti: se la ragazzina si tocca il berrettino o se lo toglie significa accorrete e toglietemi di torno questo moscone. Infatti questo è accaduto a Reisinger, che ha anche filmato l’intervento prima di una guardia del corpo e successivamente di altre due (qui per i curiosi) .
Possibile che per una ragazzina che ha parlato all’Onu e ha incontrato la Merkel non si sa poi a quale titolo o proprio perché non ha alcun titolo, si trovi così a disagio di fronte a un giornalista felice e sconosciuto, da sottrarsi a suon di gorilla alle sue domande? Presumibilmente perché sa solo recitare il rosario e qualunque domanda svelerebbe il pappagalleggio che sta dietro tutto questo. Tuttavia in due mesi, grazie al potente schieramento mediatico padronale, Greta è diventata un personaggio mondiale e con lo slogan del Fridays for Future, il black Friday dell’ambientalismo. sta innescando la nascita di nuove formazioni e partiti. Domani la ragazzina con i suoi gorilla in incognito sarà anche a Roma e per l’occasione, nei giorni scorsi, c’è stata l’assemblea nazionale costituente di Fridays for Future che si è tenuta a Milano, nell’aula magna dell’Università Statale. Insomma lo slogan che parrebbe una pubblicità è mantenuto in inglese perché i “venerdi per il futuro” sa troppo di spot come gli artigiani della qualità o il meglio di un uomo, si è subito incarnato in una sorta di movimento che per sua stessa esplicita ammissione è ” apartitico”, il che naturalmente evita di affrontare di petto e nel concreto il problema di fondo ovvero che è la struttura economica basata sul profitto e sui meccanismi dello sfruttamento che produce il disastro ambientale. Tutto il resto è chiacchiera. Alla fine si tratterà di inglobare un verdismo occasionale e territoriale ormai senza riferimento, per disarmarlo politicamente su un piano più generale. Perché non prendiamoci in giro: questi guardiani dell’ambiente e del clima stavano proprio aspettando una ragazzina svedese da quarto potere per riconoscersi e agire? E poi organizzare queste assemblee in pochissimo tempo implica costi non indifferenti e un’organizzazione sia pure in nuce che non nasce dal nulla. Chi ha lavorato per sincronizzarsi con Greta, tra l’altro a ridosso delle elezioni europee?
Una delle varianti del cavallo di Troia è l’esercito di terracotta, messo in armi per dare l’impressione che esista un enorme armata. Ma beninteso solo l’impressione. In questo caso si vuole dare la percezione che esista un’opposizione dal basso che tuttavia e completamente controllato dai mastri vasai, si fa insomma un dono all’avversario perché ci caschi con le mani e i piedi. Timeo Gretas et dona ferentes.
Greta e i… gretini
di Stefano Bonora
Un fenomeno mediatico deve far interrogare sulle ragioni della sua esplosione e del suo successo. Specie se viene gestito su un problema sistemico gigantesco come l’ambiente e il cambiamento climatico che, secondo gli scienziati migliori, rischia di superare la soglia di non ritorno da qui a circa 10 anni.
Il post di Stefano Bonora, che qui sotto ospitiamo, coglie alcuni dei punti fondamentali che ogni sguardo attento sul mondo dovrebbe cogliere. Con un riferimento decisamente polemico verso chi – “a sinistra” o già avanti con gli anni, dunque con sulle spalle una “presunzione di esperienza” – non si fa alcuna domanda e, anzi, invita a non farsene neanche una.
Mentre a noi sembra evidente che la critica del fenomeno mediatico, palesemente guidato dall’alto, non investe affatto la massa di giovani che – giustamente – sente la necessità di mobilitarsi “per fare qualcosa”.
Funziona così, in genere, con le “armi di distrazione di massa”.
C’è un problema vero che l’establishment capitalistico ha creato e che non si sogna affatto di risolvere? Basta creare una narrazione edulcorata, che faccia appello alla “buona volontà” dei decisori guardandosi bene dal metterli in discussione; trovare un testimonial credibile o addirittura fantastico; mobilitare (sul serio) i media sotto controllo, et voilà, avrete ore di trasmissioni virate sui buoni sentimenti.
Senza mai toccare responsabilità delle imprese e dei governi, i profitti e il modello sociale capitalistico. Ossia senza mai sfiorare un’ipotesi di soluzione reale di un problema mortale. Tant’è che gli stessi “potenti” che dovrebbero sentirsi “fustigati” dai discorsi del testimonial di turno o dalle manifestazioni di piazza fanno invece a gara per apparire in qualche selfie.
In questo modo, come obbiettivo politico-sociale, si prova a incanalare preventivamente ogni possibile contestazione complessiva del “sistema” dentro un alveo innocuo, più “sentimentale” che risolutivo. Che è poi la manifestazione odierna di un vecchio gioco: il nemico che marcia alla tua testa per portarti fuori strada.
Tutt’altro ragionamento va fatto per chi partecipa alle manifestazioni e alle assemblee del movimento innescato intorno al “fenomeno Greta”. Cui abbiamo peraltro dedicato già un’attenzione senza pregiudizi.
Distinguere tra desiderio e realtà. Cioè tra ciò che sogniamo e ciò che è. A tanti piace sognare la favola della bambina che dal nulla sale alla ribalta mondiale e salva il mondo. Ma la realtà è palesemente diversa.
Le cose che dice Greta si sentono da anni, le hanno dette e le dicono milioni di persone. Eppure non finiscono su tutti i media del mondo (per lo meno quello occidentale).
Come succede che una sconosciuta bambina svedese di 15 anni finisce da un giorno all’ altro su tutti i giornali del mondo? Ecco, fatevi qualche domanda.
I media, tutti, anche nel libero mondo occidentale, sono aziende. Aziende che hanno un proprietario e che fa scrivere e non scrivere quello che gli interessa.
Io vorrei una Greta che si scagliasse contro le scandalose disuguaglianze. Forse c’ è, ma non lo saprete mai perchè non lo leggerete mai sui giornali o in tv.
È la solita storia. Vanno bene tutte le giuste cause del mondo tranne le uniche per cui è nata la sinistra in Italia e in tutto il mondo e in ogni epoca: la redistribuzione della ricchezza, cioè la lotta alla disuguaglianza.
È ridicolo leggere cazzate come “Greta fustiga i potenti del mondo a Davos”. Ma figurarsi!!! Inoltre tutte le grandi battaglie politiche sono state fatte con la lotta dura, dolorosa, sanguinosa, non con gli appelli e il volemose bene.
E sull’ambiente è la stessa cosa.
Una lotta vera all’inquinamento e al cambiamento climatico richiede lo scontro duro contro interessi forti, una battaglia politica in cui per vincere si devono accettare a anche sacrifici personali durissimi, come è sempre stato.
Non vorremo raccontarci che persone a cui si chiede di rinunciare a miliardi di euro di profitti siano disposti a farlo così, senza combattere, “per il bene e la salute pubblica”.
Non funziona così, non è mai funzionato così.
Ma certo un pensiero politico di questo portata non può certo farlo una ragazzina svedese di 15 anni, per ovvi motivi. Metà del mondo non aderisce al protocollo di Kyoto, il cui punto fondamentale è ridurre le emissioni inquinanti. Lasciamo perdere gli USA (che si sono chiamati fuori), ma Paesi che fino a ieri vivevano più o meno nelle caverne e mangiavano radici… pensate davvero che accetteranno di rinunciare a quel benessere che noi occidentali abbiamo raggiunto da tempo, e a cui non vogliamo in nessun caso rinunciare, perché cambia il clima?
No, il fenomeno Greta è solo una gigantesca operazione mediatica per dirottare il malcontento popolare verso obiettivi più sostenibili per certi interessi.
Greta e il problema
di Andrea Zhok
La studentessa liceale svedese Greta Thunberg è andata a parlare con i potenti di tutto il mondo, è stata filmata, intervistata, glorificata mediaticamente, le magliette sono già disponibili e sono certo che a brevissimo partiranno libri e biopic.
Sembra che ci sia un accordo unanime, globale sull’inderogabile necessità di risolvere il Grande Problema del pianeta: capi di Stato e leader di importanti multinazionali plaudono a Greta e annuiscono con sguardo compunto alle sue parole di severo ammonimento.
La pubblicità si è ritarata (per la millesima volta in questi anni) su stilemi ecologisti.
Documentari si succedono a ritmo frenetico sulle reti televisive: ovunque un profluvio di Salva-la-tartaruga-qua e Salva-il-pinguino-là.
Sembra insomma di assistere ad una grande marcia dell’umanità, tutta unita, tutta concorde nella ferma volontà di risolvere il Problema.
Già.
In effetti chi mai potrebbe essere in disaccordo rispetto alla necessità di affrontare il Grande Problema, declinato nei termini della “Salvezza del Pianeta”? Chi? I Klingon? I Rettiliani? Galactus il Divoratore di Mondi?
Il vero problema, dietro al Grande Problema, è che da che mondo è mondo i conflitti non sono mai avvenuti su cose come “il Bene deve vincere”, “la Sofferenza è brutta”, “Salviamo l’Umanità” (o “il Mondo”, o “la Natura”).
Sono assai fiducioso che Churchill, Stalin e Hitler avrebbero concordato senza nessun problema su tutti questi obiettivi. Senza che ciò gli impedisse di cercare in buona coscienza di estinguersi a vicenda.
Il problema dietro ad ogni presunto Grande Problema è che la rappresentazione astratta del Bene è sempre pragmaticamente insignificante. Le strade cominciano a divergere solo dopo, quando vedi quali interessi, di chi, e in quali modi, il ‘perseguimento del Bene’ minaccia.
Fino a quando nessuno apre bocca intorno a chi dovrebbe cominciare a dimagrire per ottenere quei risultati, l’accordo regna pacifico e sovrano.
Questo è particolarmente vero nell’odierno sistema liberal-liberista, dove si presume che per ogni problema, disgrazia o sciagura, sarà il sistema stesso a fornire la soluzione, mettendo sul mercato un prodotto acconcio – rilanciando i consumi e i profitti in una progressione infinita e magnifica.
Così ogni problema posto, ogni ‘crisi’ è, schumpeterianamente, un’occasione di innovazione, e di crescita ulteriore.
Peccato che tutti i problemi ecologici di cui parliamo sono proprio prodotti costanti della dinamica schumpeteriana dell’innovazione competitiva perenne, quell’innovazione che consente di superare gli stalli di crescita (la caduta tendenziale del saggio di profitto) ingegnandosi a produrre di più e meglio. Quell’innovazione anarchica e immensamente pluralista, forzata dalla competizione, e glorificata come il motore del progresso e della crescita, ecco, è proprio quella il Problema.
Se facciamo coincidere il problema ecologico con un suo singolo aspetto (es: riscaldamento globale), ci nascondiamo (magari in buona fede) l’essenza della questione, che non ha a che fare con la capacità di rispondere di volta in volta ad uno specifico problema noto, ma col fatto che mentre ne soppesiamo pian pianino uno, ne stiamo producendo simultaneamente altri cento, ancora ignoti.
Finché vige una spinta globale alla massima competizione produttiva il processo di demolizione del pianeta (più precisamente, della nostra capacità di viverci sopra) continuerà imperterrito, proprio come continua oggi mentre festeggiamo Greta a reti unificate.
Finché QUESTO problema non viene affrontato di petto, fino ad allora stiamo semplicemente chiacchierando, giocando, facendo infotainment.
E tutto questo una paffuta sedicenne svedese è perfettamente legittimata a non saperlo e non capirlo.
Ma tutto quel bestiario di autorità ciniche e giornalisti patinati che le dà corda a costo zero, quelli non hanno davvero nessuna scusa.