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Nuovo attacco houthi ad aeroporto saudita, Unicef lancia l’allarme in Yemen

2 luglio 2019, Nena News
Il raid con drone è avvenuto stamane di nuovo allo scalo di Abha (9 i feriti). L’inviato speciale Onu per lo Yemen inizia oggi in Russia il suo tour per tentare di risolvere il conflitto. L’Agenzia Onu per l’Infanzia, intanto, denuncia: “Servizi essenziali sul punto del collasso totale”.

Continuano gli attacchi con droni contro gli aeroporti sauditi da parte dei ribelli yemeniti houthi. L’ultimo raid è avvenuto stamane all’alba e ha preso nuovamente di mira lo scalo di Abha. Risultato: 9 civili feriti, di cui uno era indiano. Un portavoce del gruppo houthi ha rivendicato l’attacco sul canale al-Masirah (vicino ai ribelli) e ha parlato di “larga operazione”. Tuttavia, riferisce la tv saudita al-Arabiya, i voli commerciali sono subito ripresi nell’aeroporto.
Da tempo la città di Abha (a confine con lo Yemen) è nel mirino degli houthi: la scorsa settimana un residente siriano era rimasto ucciso (21 i feriti) quando un drone aveva colpito lo scalo, mentre lo scorso 13 giugno 26 persone erano rimaste ferite in un attacco simile. Senza poi dimenticare che ieri, secondo quanto ha riferito la coalizione anti-houthi, un drone dei ribelli era stato intercettato e abbattuto “nello spazio aereo yemenita”.
Il lancio dei droni da parte dei ribelli sciiti yemeniti è forse l’immagine più emblematica del fallimento della guerra saudita in Yemen: iniziata nel marzo del 2015 per tentare di ristallare il governo ufficialmente riconosciuto yemenita che era stato deposto nella capitale Sana’a dagli houthi sul finire del 2014, il conflitto non ha finora prodotto risultati militari tangibili per la monarchia saudita. Anzi, non è esagerato parlare di fiasco: la coalizione non riesce infatti a sfondare nel nord del Paese (saldamente sotto il controllo houthi e da dove da partono gli attacchi con i droni), ma neanche a governare interamente il centro dello Yemen e la sua costa occidentale. Né sono del tutto implementate quelle tregue teoricamente raggiunte come nel caso degli Accordi di Stoccolma che avrebbero dovuto prevedere il ritiro delle milizie ribelli sciite dall’area di Hodeidah.
Si aggiunga poi che il governo yemenita – che ha sede ad Aden ed è riconosciuto internazionalmente ed è sostenuto militarmente dalla coalizione – appare assai debole ed è incapace di governare perfino il sud dello Yemen dove è incalzato dal movimento secessionista. Il principale responsabile del fallimento politico in Yemen ha un nome e cognome: il principe ereditario saudita Mohammad bin Salman. È stato infatti il giovane “modernizzatore” (così lo definisce la gran parte della stampa occidentale) a scatenare la guerra per cacciare gli houthi. Ed è lui il principale responsabile dei massacri dei civili (più volte denunciati dall’Onu e dalle ong per i diritti umani) che hanno causato la morte di decine di migliaia di persone.
L’attacco agli aeroporti e città saudite, inoltre, assume ancora più rilevanza alla luce delle forti tensioni tra l’Iran (sponsor degli houthi) e gli stati del Golfo e gli Usa. Riyad ha accusato più volte Teheran di aver fornito missili e droni per attaccare il suo territorio nazionale. Accuse che fanno il paio con quelle recenti americane (e saudite) sui presunti attacchi iraniani alle petroliere che navigavano le acque dell’Oman e degli Emirati Arabi Uniti. Accuse mai provate (perfino Abu Dhabi ha frenato recentemente sull’attribuire le responsabilità di questi attacchi agli iraniani), ma che servono però ad alimentare il clima di tensione anti-Iran, già reso incandescente dalla decisione dello scorso anno dell’amministrazione statunitense di ritirarsi dall’accordo sul nucleare siglato con Teheran nel 2015, dal ripristino delle sanzioni contro la Repubblica islamica e alcuni suoi importanti esponenti (perfino la Guida Suprema) e dal recente abbattimento di un drone a stelle strisce da parte iraniana che sorvolava il territorio iraniano (secondo l’Iran) e lo spazio aereo internazionale (per gli americani).
L’attacco di stamattina ad Abha giunge a poche ore dall’arrivo a Mosca dell’inviato speciale dell’Onu per lo Yemen, Martin Griffith. Nella capitale russa l’alto funzionario internazionale inizierà il suo tour di incontri ufficiali per trovare una soluzione alla crisi yemenita. Griffith incontrerà il ministro degli esteri russo Lavrov insieme al suo vice Vershinin prima poi di ripartire alla volta degli Emirati Arabi e in Oman. Proprio a Muscat, riporta la stampa omanita, l’alto diplomatico internazionale dovrebbe incontrare alcuni ufficiali houthi, tra cui il portavoce del gruppo Mohammad Abdel Salama.
E mentre la diplomazia non registra passi concreti in avanti, continuano a destare preoccupazione le condizioni umanitarie in Yemen. Domenica l’Agenzia Onu per l’Infanzia (Unicef) ha lanciato un nuovo allarme: i servizi essenziali sono sull’orlo del collasso totale. Ad aggravare la situazione è il fatto che i salari di oltre 1,25 milioni di impiegati governativi (tra cui dottori e operatori sociali) sono stati sospesi: ciò ha portato alla chiusura o riduzione delle strutture sanitarie, di scuole e altri servizi sociali essenziali peggiorando le condizioni di vita della popolazione. Secondo un rapporto dell’Unicef, la mortalità materna è aumentata negli anni della guerra passando da 5 morti al giorno nel 2013 (quindi pre-conflitto) ai 12 registrati nel 2018. “Quando una madre muore, aumentano enormemente i rischi che anche i suoi figli moriranno perché questi avranno poche possibilità di sopravvivere” si legge nel documento. Secondo i dati dell’Unicef, un bambino su 30 muore durante il primo mese di vita. Il dato aumenta con il decesso della madre a causa di malnutrizione o esposizione indiretta ad infezioni.