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Nessun D-day per Haftar: l’azzardo (non riuscito) della conquista di Tripoli

Umberto De Giovannangeli 21/07/2019
Migranti e petrolio: il doppio ricatto dei signori della guerra libici. Primo destinatario: l’Italia.

Doveva essere il D-day del Generale: l’ora zero della conquista di Tripoli da parte di Khalifa Haftar. La battaglia finale viene definita “imminente”: le forze di Haftar hanno dichiarato “l’ora zero” della propria offensiva volta alla conquista della capitale libica, Tripoli. Lo scrive lo stesso Esercito nazionale libico (Lna) sulla propria pagina Facebook. La tensione è alta. Sull’altro fronte, il Governo di accordo nazionale libico (Gna) di Tripoli, guidato da Fayez al Serraj, mentre esprime “preoccupazione” per gli annunci delle forze di Haftar, si dice pronto a respingere con forza e vincere ogni nuovo attacco nemico: lo riferisce all’Agi il portavoce del ministero degli Esteri, Mohammed al Qablawi. Inoltre, il governo di Tripoli chiede esplicitamente all’Onu e alla comunità internazionale di assumersi le proprie responsabilità e intervenire fattivamente per impedire nuovi spargimenti di sangue del popolo libico.
Già ieri l’esecutivo di al Serraj aveva annunciato di aver raccolto informazioni che dimostrerebbero che Francia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti si preparano a potenziare le forze fedeli ad Haftar nella nuova offensiva. Alcune informazioni pervenute all’esecutivo di Tripoli – l’unico riconosciuto dalla comunità internazionale – indicano che il nuovo attacco sarà effettuato con aeromobili e armi di alta qualità. Gli 007 di al -Sarraj parlano di raid contro i siti strategici della capitale, aeroporto di Mitiga compreso.Le forze di Haftar intanto affermano di aver preso il controllo della base militare di Yarmouk, vicino a Tripoli. A quanto afferma il portale locale Libyan Express, un non meglio specificato “Paese occidentale” avrebbe informato il governo al Sarraj che Egitto, Francia ed Emirati starebbe utilizzando massicce forze aeree per aiutare le forze di Haftar a entrare nella capitale. Il Supremo Consiglio di Stato libico (Csl) reagisce con durezza, avvertendo il Cairo, Parigi ed Abu Dhabi “delle conseguenze di un eventuale attacco”. “Seguiamo con grande preoccupazione le notizie di intelligence ricevute, secondo cui c’è l’assoluta evidenza che precisi Paesi sostengono le milizie di Haftar con armi e persone.
E sono Francia, Emirati Arabi Uniti ed Egitto che si stanno organizzando per attaccare la capitale Tripoli usando l’aviazione e armi sofisticate”, si legge nel comunicato diffuso sulla pagina Facebook del Csl. Appena giovedì scorso, proprio i governi di Parigi, del Cairo e di Abu Dhabi – insieme a quelli di Stati Uniti, Regno Unito e Italia – avevano chiesto con forza, con una dichiarazione congiunta, un’immediata de-escalation del conflitto, l’interruzione dei combattimenti ancora in corso e il rapido ritorno al tavolo del dialogo politico sotto l’ombrello delle Nazioni Unite, con la guida del rappresentante speciale Ghassan Salamé. La missione Onu di supporto alla Libia (Unsmil) ha reso noto, ieri notte, che sta facendo ogni sforzo con tutte le parti interne e straniere per evitare un’escalation militare a Tripoli e per proteggere i civili. In una breve dichiarazione, la missione Onu ha invitato i partiti libici a rispettare il diritto umanitario internazionale, che proibisce di colpire civili e strutture sanitarie, ricordando loro le conseguenze della violazione di questa legge. Dopo una rapida avanzata iniziale, partita a inizio aprile, le forze della Libia orientale da settimane sono bloccate in combattimenti a sud della capitale. Secondo l’ufficio libico dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), a 100 giorni dall’inizio degli scontri nei pressi di Tripoli almeno 1.093 persone, tra cui 106 civili, sono stati uccisi e 5.752, tra cui 294 civili, sono rimasti feriti nella capitale libica. Almeno 641.398 migranti risultano presenti attualmente in Libia, di cui il 20% ospitati a Tripoli. Nell’area 104 mila sono sfollati. Lo scorso 3 luglio un raid aereo contro il centro di detenzione di Tajoura aveva causato la morte 53 persone e il ferimento di altre 130. In settimana, l’aviazione del Lna di Haftar ha ripreso i propri attacchi sulle posizioni delle forze governative a Gharyan, una città strategica persa in precedenza proprio da Haftar, a sud di Tripoli. Per due settimane, l’Enl ha moltiplicato gli attacchi aerei, soprattutto di notte, per permettere un’avanzata alle forze terrestri.
Ed è in questo scenario devastato, s’inserisce la decisione assunta da Medici Senza Frontiere: “Torniamo in mare per salvare vite. E non possiamo restare in silenzio mentre persone vulnerabili subiscono sofferenze evitabili. Se i leader europei condannano l’uccisione di migranti e rifugiati vulnerabili in Libia, devono anche garantire la ripresa di operazioni di ricerca e soccorso ufficiali, sbarchi in luoghi sicuri e l’immediata evacuazione e chiusura di tutti i centri di detenzione arbitraria. L’ipocrisia del crescente supporto fornito alle intercettazioni in mare e al ritorno forzato delle persone negli stessi luoghi dove vengono perpetrate le violenze, lascia intendere che quelle condanne sono solo parole vuote di finta compassione”, annuncia Claudia Lodesani, presidente di MSF in Italia.
Il ritorno in mare, rimarca Msf in un comunicato, avviene dopo due anni di una sostenuta campagna dei governi europei per bloccare ogni tipo di azione umanitaria nel Mediterraneo e dopo la normalizzazione di politiche punitive che continuano a causare morti in mare e terribili sofferenze in una Libia devastata dal conflitto. “I governi europei vogliono far credere che la morte di centinaia di persone in mare e la sofferenza di migliaia di rifugiati e migranti intrappolati in Libia siano un prezzo accettabile per le politiche di controllo della migrazione. La cruda realtà è che mentre sbandierano la fine della cosiddetta crisi migratoria in Europa, fanno consapevolmente finta di non vedere la crisi umanitaria che queste politiche perpetuano in mare e in Libia. Queste morti e sofferenze sono evitabili e finché continueranno, non possiamo restare a guardare”, afferma Sam Turner, Capo missione di Msf per le attività di soccorso e ricerca e la Libia.
Intanto la Noc, la compagnia petrolifera nazionale libica ha sospeso le attività nel più grande giacimento petrolifero del Paese dopo la chiusura, denunciata come “illegale”, di una valvola del gasdotto che arriva al porto di Zawiya, sulla costa del Mediterraneo. La National Oil Corporation non ha tuttavia specificato chi sia il responsabile della chiusura. Il giacimento di petrolio di Sharara, che produce circa 290.000 barili al giorno, è controllato da forze leali al generale Haftar. Migranti e petrolio: il doppio ricatto dei signori della guerra libici. Primo destinatario: l’Italia.