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IRAQ. Hrw: “Detenuti in condizioni degradanti”

5 luglio 2019, Nena News
L’ong statunitense ha ieri accusato il sistema carcerario iracheno di non rispettare gli standard internazionali basilari. Tra i principali problemi il sovraffollamento senza poi dimenticare che in non pochi casi le confessioni sono state estorte tramite tortura. Protesta a Bassora (sud Iraq) per mancanza di lavoro, acqua e le ripetute interruzioni di corrente.

Le autorità irachene stanno detenendo migliaia di persone in condizioni “degradanti” e in luoghi sovraffollati. A lanciare la pesante accusa al governo di Baghdad è stata ieri la ong per i diritti umani Human Rights Watch (Hrw).L’organizzazione non governativa statunitense ha mostrato alcune fotografie della prigione di Tal Keif nella provincia di Nineve (nord est del Paese) affermando come in questo carcere, insieme a quello vicino di Tasfirat, non vengano rispettati gli standard internazionali basilari.
In una delle fotografie (ad esempio quella che abbiamo utilizzato per questo articolo, ndr), si vedono infatti decine di ragazzi ammassati in un centro di detenzione per giovani. Alcuni sono in posizione fetale. Si può notare, inoltre, come non si veda il pavimento perché interamente ricoperto dai corpi dei detenuti. Un’altra foto mostra una stanza piena di donne e bambini molto magri con vestiti e prodotti per la casa appesi alle pareti. “Due anni fa abbiamo documentato le morti in carcere a causa del sovraffollamento – ha detto all’Associated Press la ricercatrice irachena di Hrw Belkis Wille – vedere che le condizioni [di detenzione] restino così, vuol dire che la popolazione carceraria è ancora minacciata. Tutto ciò è davvero frustrante”.
Secondo infatti Human Rights Watch, nelle prigioni di Tal Keif, Tasfirat e Faisaliyah sono rinchiuse circa 4.500 persone, quasi il doppio della capienza prevista. I detenuti sono per lo più accusati di terrorismo e circa un terzo di loro è già stato condannato e attende di essere trasferito a Baghdad. Ai carcerati, inoltre, non viene accordato il permesso d’incontrare i loro avvocati perché le prigioni non prevedono spazi per incontri.
Le autorità irachene, che hanno dichiarato la vittoria sull’autoproclamato “Califfato islamico” (Isis) nel dicembre del 2017, non forniscono dati ufficiali sui detenuti presenti nelle loro carceri. Secondo alcuni studi indipendenti, il numero dovrebbe aggirarsi intorno alle 20.000 unità e la maggior parte di loro è dietro le sbarre per legami con l’Is. Ma a preoccupare non è solo il sovraffollamento: il sistema carcerario locale è stato accusato dalle ong internazionali e locali di estorcere le confessioni degli imputati con la tortura. Oltre ad essere moralmente inaccettabile, il ricorso alla violenza, sottolineano gli esperti, porterà alla radicalizzazione dei detenuti più vulnerabili. “Le autorità irachene dovrebbero assicurare condizioni all’’interno delle carceri che non alimentino nuovi torti in futuro” ha dichiarato Lama Fakih, responsabile di Hrw per il Medio Oriente. Da qui l’invito della ong statunitense per migliorare le condizioni carcerarie secondo gli standard internazionali e garantire agli imputati processi giusti.
Ieri mattina, intanto, si sono registrate proteste a Bassora (nel sud dell’Iraq) per la mancanza di lavoro, per la presenza eccessiva di stranieri nella locale industria del petrolio, per le interruzioni di elettricità e la mancanza d’acqua. Problemi, questi ultimi due, che diventano ancora più insostenibili in questa fase dell’anno in cui le temperature superano di regola i 50 gradi. Le manifestazioni ricordano quelle della scorsa estate: allora furono decine le vittime delle proteste. Alcuni edifici municipali e, soprattutto il consolato iraniano, vennero dati alle fiamme dai dimostranti. La rabbia dei cittadini scesi in piazza ieri era indirizzata verso il governo di Baghdad accusato di corruzione e ritenuto incapace di migliorare le infrastrutture dell’area e di risolvere i problemi della popolazione. Altri presidi di protesta hanno avuto luogo in questi giorni anche nella vicina provincia meridionale di Dhi Qar e a Qurn (un po’ più a nord di Bassora).
Le manifestazioni dell’anno scorso costrinsero il premier al-Abadi a rassegnare le dimissioni. La patata bollente è passata ad Adel Abdoul che, a distanza di più di un anno dalle elezioni legislative di maggio, non è però ancora riuscito a formare un governo di coalizione (sono scoperti infatti alcuni dicasteri). “La paura di Mahdi è che si possa ripetere quanto accaduto nel 2018 e che questo potrebbe fargli perdere l’incarico” ha detto l’analista Joel Wing al portale Middle East Eye. I suoi timori sono legittimi anche perché, come aggiunge Wing, “si trova in una posizione più debole di Abadi dato che non ha una coalizione che lo sostiene, ma due liste [di partiti] rivali”.