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SUDAN. Opposizioni e militari riprendono il negoziato

12 giugno 2019, Nena News
A dare la notizia è l’inviato speciale etiope Mahmoud Dirir. Ieri, intanto, l’opposizione ha sospeso la “disobbedienza civile” così come l’esercito i suoi blitz. Il Consiglio transitorio militare (Tmc) si è anche detto pronto a rilasciare i prigionieri politici.

Le forze militari e i gruppi di opposizione sudanesi hanno raggiunto un’intesa per riprendere i negoziati che dovranno portare alla formazione di un consiglio transitorio. La notizia, riferita dall’inviato speciale etiope Mahmoud Dirir, giunge nelle stesse ore in cui la variegata opposizione ha sospeso la sua campagna di “disobbedienza civile” e l’esercito ha posto fine (almeno temporaneamente) ai suoi blitz.
Come “gesto di buona fiducia”, il Consiglio transitorio militare (Tmc) si è detto anche pronto ieri a rilasciare i prigionieri politici. Queste tre ultime decisioni hanno permesso alle due parti di riavvicinarsi e a ritornare al tavolo negoziale: uno scenario che sembrava impensabile dopo il massacro di 118 manifestanti (61 per il governo) compiuto dall’esercito lo scorso 3 giugno. Una mattanza che aveva dimostrato in maniera lampante come poco o niente era cambiato con la deposizione dell’ex dittatore Omar al-Bashir lo scorso aprile.
L’annuncio della ripresa del processo diplomatico è giunto dopo che ieri era andato in scena il terzo giorno di sciopero generale e di “disobbedienza civile” con strade deserte, negozi chiusi e uffici vuoti. L’adesione è stata ancora una volta massiccia malgrado il ripetersi di intimidazioni e arresti da parte delle autorità militari. Poi, però, in serata, la Coalizione per la Libertà e il Cambiamento (Dcfc) ha annunciato la sospensione della protesta, incoraggiando comunque i manifestanti a restare mobilitati. Uno dei leader dell’opposizione, Khaled Omar, ha chiarito alla tv al-Hadath che l’interruzione della campagna di disobbedienza “non è collegata a nessun particolare sviluppo politico”.
Tuttavia, regna ancora la diffidenza tra i manifestanti verso l’esercito. Molte voci dell’opposizione, infatti, non credono alle “buone” intenzioni del Tmc. Yasir Arman, uno dei tre ufficiali del Movimento di liberazione popolare del Nord-Sudan Splm-N che sono stati detenuti e poi deportati in Sud Sudan dopo l’interruzione dei negoziati, è uno di questi. L’esercito, afferma, non vuole cedere il timone della guida del Paese. “La mia esperienza a Khartoum mi dice che il Consiglio militare vuole dividere le opposizioni così da restare al potere” ha detto alla Reuters da Juba (Sud Sudan).
La distanza tra manifestanti ed esercito finora è su chi dovrà controllare il Consiglio sovrano che supervisionerà il periodo di transizione che porterà il Paese alle elezioni. Resta perciò da capire quale impatto per la riconciliazione nazionale avrà il premier etiope Abiy Ahmed che la scorsa settimana è giunto in Sudan per mediare tra le due parti.Secondo quanto hanno dichiarato fonti vicine ai gruppi di dissidenti, Abiy avrebbe proposto la formazione di un consiglio transitorio costituito da 15 membri (8 civili e 7 militari) con presidenza a rotazione. Dal canto suo, lunedì sera la variegata opposizione raccolta nella Dcfc ha deciso di nominare gli 8 membri del Consiglio e ha scelto come primo ministro Abdullah Hamdouk, ex segretario esecutivo della Commissione economica dell’Onu per l’Africa (Uneca).
Le tensioni in Sudan, intanto, stanno suscitando sempre più attenzioni al di fuori del Paese. Lunedì gli Stati Uniti hanno annunciato che manderanno a Khartoum in settimana un loro diplomatico per incoraggiare la ripresa del dialogo tra militari e opposizione. A fare pressioni sul Tmc c’è l’Unione Africana che la scorsa settimana ha sospeso il Sudan per le violenze dell’esercito contro i manifestanti. Le vicende sudanesi sono attentamente monitorate anche negli Emirati Arabi Uniti (Eau) che ieri, per bocca del loro ministro agli Affari esteri, hanno fatto sapere che Abu Dhabi sta cercando una “transizione politica tranquilla e organizzata”. Ma gli Eau non sono un broker neutrale perché, insieme ad Arabia Saudita ed Egitto, sono in prima linea nel sostegno alle forze militari.
Ieri, intanto, la ong per i diritti umani Amnesty International ha accusato le Forze di supporto rapido (Rsf) e le sue milizie alleate di essere state responsabili lo scorso anno della distruzione di decine di villaggi, di omicidi illegali e di abusi sessuali in Darfur.Amnesty ha poi affermato che decine di migliaia di civili saranno ancora più vulnerabili qualora il Consiglio di sicurezza dell’Onu e l’Unione Africana dovessero votare il prossimo 27 giugno per la chiusura della loro missione di pace (Unamid). Secondo le Nazioni unite, il Consiglio militare sudanese avrebbe chiesto ad Unamid di consegnare le sue sedi come parte della missione di ritiro programmato nel 2020.
Le Rsf – che sono guidate dal vice-capo del Consiglio militare Mohammed Hamdan Dagalo, tra i protagonisti dei massacri della guerra civile scoppiata nel Darfur nel 2003 – al momento non hanno commentato le accuse di Amnesty.