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SUDAN. La giunta militare ammette il massacro di Khartoum

14 giugno 2019, Nena News
Il Tmc esprime rammarico per le violazioni commesse dai militari nella dispersione del presidio e l’uccisione di 118 persone.

Poi incrimina Bashir per corruzione e fa arrestare gli ufficiali che si sono rifiutati di usare violenza sui manifestanti. La giunta militare si barcamena tra aperture e repressione per restare al potere.
Passo dopo passo, le opposizioni sudanesi strappano al Consiglio militare di transizione (Tmc) un impegno dopo l’altro: dopo aver accettato due giorni fa la ripresa del dialogo, ieri la giunta militare salita al potere dopo la deposizione di Omar al-Bashir ha ammesso di aver ordinato la rimozione del presidio di protesta iniziato il 6 aprile a Khartoum.
Una rimozione violenta: esercito e Rapid Support Forces (Rsf), paramilitari figli delle milizie Janjaweed, hanno ucciso 118 persone, stuprato, gettato nel Nilo i cadaveri. Ieri il portavoce del Tmc, Shamseddine Kabbashi, ha espresso “rammarico per le violazioni” commesse, indicando l’obiettivo dell’operazione non nel cacciare il sit-in ma le sue prossimità, diventate un luogo di “comportamenti illegali”.
L’ammissione dunque c’è, seppur annacquata dal tentativo di giustificare le violenze. I leader della giunta, ha spiegato Kabbashi, avevano incontrato il procuratore generale per individuare il modo per affrontare la situazione per poi ordinare la dispersione del sit-in. “Abbiamo ordinato ai comandanti di preparare un piano e disperdere il sit-in. Hanno implementato il piano. Ci rammarichiamo per quanto accaduto – ha concluso chiamando le vittime “martiri della rivoluzione” – Ci sono stati passi falsi nei piani della leadership militare e ci sono state violazioni”.
La strategia attuale del Tmc potrebbe apparire volatile, dalle concessioni ai cedimenti, dalle scuse e il dialogo ai massacri. E’ la strategia di chi prova a salvare se stesso, mantenersi al potere guadagnandosi la legittimità necessaria: all’estero – a parte il sostegno indefesso, per quanto (apparentemente) indiretto, del Golfo e dell’Egitto – la comunità internazionale preme per una transizione pacifica, dall’Unione Africana che ha sospeso il Sudan all’Onu; e in casa i manifestanti non cedono di un passo, tornano nelle piazze nonostante arresti e uccisioni.
Da cui la necessità di barcamenarsi per imbastire un potere comunque condizionato dai militari. Riprova ne è la nuova incriminazione contro l’ex presidente Omar al-Bashir, in prigione dalla metà di aprile e già incriminato per l’uccisione di manifestanti: ieri la procura generale sudanese lo ha accusato di corruzione, riciclaggio e finanziamento del terrorismo. Allo stesso tempo a capo della giunta militare restano i bracci destri di Bashir, non toccati dalla sua caduta, a partire dal più brutale di loro, l’attuale vice presidente del Tmc, Mohamed Hamdan Dagalo – noto come Hemeti – comandante delle milizie Janjaweed responsabili del genocidio in Darfur del decennio scorso.
Resta da vedere ora come si muoveranno le opposizioni, riunite sotto la federazione delle Forze della libertà e del cambiamento (Ffc). Dopo aver sospeso la disobbedienza civile, dopo tre giorni di sciopero generale da domenica a martedì, sono in attesa di veder partire il dialogo promesso dai militari. Le posizioni sono ferme: passaggio dei poteri a un governo civile e parlamento di transizione per i due terzi controllato dalle opposizioni, liberazione dei prigionieri politici e inchieste serie e trasparenti sulle uccisioni di manifestanti.
Un colpo al cerchio e uno alla botte. Mentre con una mano il Tmc incrimina Bashir e ammette il massacro, con l’altra punisce chi non ha voluto commettere violazioni. Secondo quanto riportato da alcune fonti al sito di informazione Middle East Eye, almeno 68 militari sono stati arrestati per essersi rifiutati di obbedire all’ordine di usare violenza contro i manifestanti a Khartoum. La versione smentirebbe quanto affermato da Al-Arabiya, emittente tv saudita, secondo cui il Tmc ha operato gli arresti perché i militari, fedeli a Bashir, stavano organizzando un contro-golpe.
“Non erano del vecchio regime – ribattono le fonti – La maggior parte di questi ufficiali si sono rifiutati di partecipare al massacro e alla dispersione del sit-in”. Il Tmc non si esprime, ma secondo altre fonti stampa i militari sarebbero stati arrestati dall’intelligence militare.