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Israele-Siria, Netanyahu gioca la carta della guerra

Umberto De Giovannangeli 02/06/2019
L’infinita contesa sul Golan per un premier in difficoltà.

Israele ha attaccato all’alba posizioni militari siriane nel sud -ovest del Paese. Il bilancio dei raid aerei israeliani è di 10 morti, a quanto riferisce l’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus). Secondo l’Ondus, dei 10 uccisi, tre sono soldati governativi siriani mentre gli altri 7 sono stranieri, forse iraniani o miliziani libanesi. L’attacco ha colpito posizioni militari nella regione meridionale di Quneitra, nei pressi del Golan. L’esercito siriano ha fatto sapere di avere attivato la difesa antiaerea contro “missili nemici” sparati da Israele verso il sud-ovest di Damasco. “All’alba di domenica – riferisce una fonte militare – abbiamo intercettato missili dal Golan occupato. La nostra difesa aerea ha bloccato e abbattuto i missili nemici che puntavano nostre posizioni nel sud-ovest di Damasco”.
Il premier Benyamin Netanyahu ha poi confermato che la scorsa notte Israele ha lanciato un attacco in territorio siriano dopo il lancio di due razzi verso le alture del Golan. “In seguito a quei lanci – ha affermato – ho ordinato alle nostre forze di lanciare un attacco”. “Non possiamo tollerare – ha aggiunto – spari verso il nostro territorio e ad essi reagiamo con grande forza”. Per “Bibi”, alle prese con il fallimento delle trattative per formare un nuovo governo, giocare la carta della sicurezza e calzare l’elmetto possono essere un buon viatico per affrontare l’ennesima campagna elettorale in vista delle elezioni fissate per il 17 settembre. E la Siria è il teatro ideale, perché vuol dire affrontare il Nemico iraniano, gli Hezbollah libanesi e il “macellaio di Damasco”. Un portavoce dell’esercito israeliano ha confermato che a seguito del lancio di due missili dalla Siria contro il Monte Hermon, situato sulle alture del Golan, le forze armate dello Stato ebraico hanno reagito attaccando “due batterie di artiglieria siriana, un certo numero di posti di osservazione e informazione sulle Alture del Golan e una batteria di difesa aerea SA-2”. “Durante l’operazione, un sistema di difesa aerea israeliano è stato attivato a causa del fuoco antiaereo siriano, e nessun missile è esploso in Israele”, ha aggiunto il portavoce di Tsahal.
I media locali hanno riferito che Israele ha anche colpito diversi obiettivi collegati all’Iran nell’area di al-Kiswah, a sud di Damasco. Secondo quanto riferito, questi attacchi hanno preso di mira depositi di armi e una struttura di addestramento militare. L’attacco sul Golan è anche un messaggio (armato) lanciato da Israele a Hezbollah. Secondo un recente rapporto dell’intelligence militare di Gerusalemme, attualmente Hezbollah disporrebbe di oltre 100mila missili, rispetto ai circa 12mila che aveva prima della guerra dell’estate 2006. Ma c’è dell’altro. E a metterlo in luce con HuffPost è Anthony Samrani, uno dei più autorevoli analisti militari libanesi: “Oltre ad un incremento significativo, in quantità e in qualità, del suo arsenale militare, i miliziani sciiti hanno acquisito nuove tecniche di guerriglia urbano combattendo in Siria, a fianco dei pasdaran iraniani, dei russi e dell’esercito di Assad. In cinque anni, Hezbollah è divenuto un attore regionale capace di dispiegare rapidamente le proprie forze dal Libano alla Siria, dall’Iraq e ora anche in Yemen”. Secondo il quotidiano israeliano Haaretz che ha citato, con la garanzia dell’anonimato, alti funzionari della Difesa, Hezbollah ha “reclutato decine o addirittura centinaia di uomini per combattere contro Israele dai villaggi siriani sulle aAture del Golan”. Questi uomini “che ricevono uno stipendio mensile, sono armati con esplosivi, armi leggere e missili anti-carro”.
Le Alture del Golan sono state conquistate da Israele nel 1967 e annesse ufficialmente nel 1980. La Siria, come del resto la comunità internazionale, non ha mai riconosciuto l’annessione e rivendica l’intero territorio, fino alla sponda del lago Tiberiade. Israele teme che Damasco, dopo aver sconfitto i ribelli, tenti un attacco sulle Alture, che porterebbe a una guerra aperta e diretta sui due Stati, dopo una cessate il fuoco che dura dal 1973. Le guerre non si fanno per irredentismo. E se Israele, dopo la Guerra dei sei giorni, prese possesso di quelle alture e ne pretende il controllo nonostante le risoluzioni Onu contrarie, ha motivi molto pragmatici. Quell’area a est del lago di Tiberiade rappresenta un tassello fondamentale per chiunque voglia avere il controllo della regione. Una prima ragione è di natura strategica. Incastonato fra Israele, Siria e Libano, il Golan ha una posizione invidiabile. Avere il controllo dei suoi rilievi, permette di avere il controllo a ovest su Tiberiade e parte della Galilea, e a est sulla pianura che scende fino a Damasco. Inoltre, riuscire a posizionare un avamposto militare sul monte Hermon (in arabo Jabal al-Shaykh) significa ottenere una torre da cui controllare i movimenti del nemico. Militarizzare le alture serve a monitorare tutto.
Ma controllare le Alture del Golan si traduce soprattutto nel controllare uno dei più grandi serbatoi idrici del Medio Oriente. E controllare l’acqua di una regione significa avere un potere contrattuale immenso su tutti gli Stati limitrofi Per l’agricoltura israeliana, avere accesso diretto alle acque del monte Hermon è fondamentale. Basandosi su un modello intensivo, ogni goccia d’acqua è essenziale. Secondo alcune stime, le acque del Golan forniscono a Israele un terzo del fabbisogno idrico del Paese. Già solo questo motivo rende chiaro perché Israele teme qualsiasi tentativo di riconquista da parte della Siria. Se è importante per Israele, tanto più lo è per la Siria, che di quelle risorse idriche è stata privata manu militari. L’acqua è un bene primario (tanto più per un Paese devastato dalla guerra) e l’economia siriana necessita di un approvvigionamento idrico costante. Inoltre, i cambiamenti della produzione agricola, specialmente nelle con la scelta del cotone al posto di altre piantagioni, hanno modificato radicalmente l’esigenza idrica del Paese, che è aumentata a dismisura. E ora la Siria vorrebbe quell’acqua di cui è stata privata. Chi ha in mano l’acqua, controlla la vita dei suoi vicini. Ma non c’è solo l’oro blu a motivare la centralità del Golan. E, novità dell’estate 2014, anche 10 siti che potrebbero nascondere riserve petrolifere.
La società incaricata delle perforazioni avrebbe tra gli azionisti anche Rupert Murdoch, il magnate dei media, e come consulente Dick Cheney, l’ex vicepresidente americano. Ma la cronaca di guerra non si ferma ala Golan. Sono almeno 948 le persone rimaste uccise nell’ultimo mese di combattimenti nel nord-ovest della Siria nella zona di Idlib. Lo sostiene l’Osservatorio siriano per i diritti umani, gruppo di attivisti dell’opposizione con sede a Londra e con una rete di fonti sul terreno. Almeno un terzo delle vittime, 288 persone, sarebbero civili. Fra questi vi sarebbero almeno 67 bambini. Numeri che testimoniano la gravita della situazione in un quadrante ancora in buona parte sotto il controllo delle forze ribelli, contro le quali il 25 aprile scorso le forze governative hanno lanciato un’ampia offensiva con la copertura aerea della Russia. Nel nord ovest della Siria, affermano da l’Associazione Amici dei bambini (Aibi), “dove sono ammassati circa tre milioni di persone, si sta consumando l’ultima battaglia di una guerra che va avanti da 8 anni: bombe, morti, feriti e migliaia di sfollati, per lo più donne, bambini e anziani che non hanno né cibo, né acqua”. Si tratta di “una delle peggiori crisi umanitarie dall’inizio della guerra, nel 2011, con la più pesante perdita di vite umane».
Al momento, si contano 240mila sfollati che hanno perso tutto e non hanno cibo. Per loro Aibi ha lanciato la campagna di solidarietà “Non lasciamoli soli”. Una vittoria nella provincia di Idlib, ha scritto il New York Times , aiuterà Assad e i suoi alleati, Russia e Iran, “a consolidare quella che sembra sempre di più una vittoria assicurata della guerra civile in corso da otto anni” .Il regime di Assad ha cominciato a bombardare sia la provincia di Idlib che parti della provincia di Hama, nel sud, anch’essa sotto il controllo parziale dei ribelli. Le forze governative hanno inoltre preso il controllo di almeno 12 centri abitati nel sud della provincia di Idlib, Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, nelle ultime tre settimane i bombardamenti del regime hanno provocato la distruzione di almeno 19 ospedali e centri medici, costringendo le persone ferite a farsi curare in rifugi sotterranei e più sicuri. Il NYT ha scritto che l’offensiva ha già costretto 180mila abitanti della provincia a lasciare le proprie case, e altre migliaia potrebbero fare la stessa cosa nelle prossime settimane. “I segnali che arrivano da queste ultime settimane dai responsabili delle varie agenzie delle Nazioni Unite non sono incoraggianti – conferma al Sir il nunzio apostolico in Siria, card. Mario Zenari – Stiamo assistendo dalla fine di aprile ad una escalation militare il cui prezzo viene pagato in particolare dai civili, dalle fasce più deboli della popolazione, donne e bambini in testa. Il costo pagato dei bambini è enorme al punto che possiamo definire questa guerra come la strage degli innocenti, con tanti morti, feriti, mutilati, traumatizzati. Come comunità internazionale abbiamo tutti quanti una grande responsabilità di fronte a questo male inflitto soprattutto ai più piccoli e alle donne”.