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Yemen: a Basatheen sono in molti a fuggire, ma c’è anche chi si batte per un futuro migliore

Laura Silvia Battaglia 26 Maggio 2019
Basatheen significa “i giardini” e, a dispetto del nome, è uno slum periferico nella città di Aden, la perla dello stretto di mare di Baab al Mandab e oggi capitale della Repubblica dello Yemen devastata dalla guerra.

Il quartiere è un condensato di fogne a cielo aperto che si confondono con l’acqua piovana, discariche di rifiuti a ogni angolo di strada, costruzioni sbilenche, baracche di lamiera, tende. In questo luogo vivono circa 7mila persone, la maggior parte delle quali rifugiati somali in Yemen, arrivati qui anche più di vent’anni fa a causa della guerra civile somala. Ma vi vivono anche migranti di etnia oromo dall’Etiopia, sfollati da Gibuti e alcune famiglie beduine yemenite.

I rifugiati sono sempre molto numerosi e molti, a causa della guerra, non vogliono più vivere in Yemen. Nell’ufficio di Intersos, nel centro del quartiere, gli operatori accolgono i rifugiati somali che vogliono informazioni sul programma di rimpatrio denominato Asr (Assisted Spontaneous Returns for Somali Refugees) e attivato da Unhcr e Iom dal 2017. Chi lo desidera può accarezzare l’idea di ritornare in Africa, anche con tutta la famiglia, affrontando un altro viaggio in mare, ma sicuro. Solo tra il gennaio e il settembre 2018, le richieste sono state 2215.
Ma a Basatheen sono molti anche coloro che resistono e che si battono per un futuro migliore. Per questo, la Ngo Intersos ha attivato anche il progetto Dafi (Albert Einstein German Academic Refugee Initiative) che individua giovani della comunità somala meritevoli di borse di studio. Tra loro, Iqra Ali Othman e Kamel Hussein Ali guidano la Somali Youth Initiative, di cui adesso Iqra è presidente. Entrambi con storie di migrazione e di povertà difficili alle spalle, hanno vinto una dura selezione per accedere alle borse universitarie. Raccontando di quanto Basatheen sia importante per loro, Iqra e Kamel dicono: “Siamo orgogliosi di essere somali ma la nostra vita e i nostri sforzi vanno al nostro Paese di accoglienza: lo Yemen in guerra”.