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Nave saudita verso il porto di Genova. Camalli e ong si mobilitano

Chiara Cruciati 17 maggio 2019
La Bahri Yanbu è partita dal terminal militare Usa Sunny Point e ha caricato munizioni ad Anversa. Ong e portuali si mobilitano: «La tappa di Genova era già prevista: se entra in porto è probabile che carichi qualcosa». Intanto in Yemen Riyadh bombarda la capitale Sana’a: sei morti, tutti civili.

Ieri la Bahri Yanbu, il cargo saudita in viaggio verso le coste italiane, era data dagli strumenti di geolocalizzazione a tre giorni e mezzo di navigazione da Genova: attracco previsto per lunedì mattina alle 8. Previsto ma non assicurato: cresce la mobilitazione per impedire l’arrivo della nave, 225 metri di lunghezza, nota trasportatrice di armi grazie alla possibilità di effettuare carichi Roll-on/roll-off (rampe per l’imbarco, si evita la gru) ed heavy-lift speciali (con sollevamento).
Di proprietà della più grande compagnia di trasporti marittimi saudita, la Bahri, nata nel 1978 con decreto regio saudita e oggi semi-statale (il 22% è controllato dal Public Investment Fund, il 20% dalla compagnia petrolifera Aramco e il resto da Tadawul, la borsa valori di Riyadh), Bahri Yanbu è partita dal porto statunitense di Corpus Christi a inizio aprile, si è fermata al terminal militare Usa di Sunny Point (tra i più grandi al mondo) in North Carolina e poi si è messa in viaggio verso l’Europa. Prima tappa, il 4 maggio, Anversa in Belgio: qui, denunciano attivisti belgi, avrebbe caricato a bordo sei container di munizioni.
Quattro giorni dopo sarebbe dovuta attraccare a Le Havre, presumibilmente per caricare otto cannoni semoventi Caesar da 155 mm della Nexter. Ma non ha fatto i conti con i gruppi francesi per i diritti umani: gli operai del porto hanno rifiutato di far attraccare la nave (costretta a lanciare l’ancòra a 25 km dalla costa) e l’associazione Acat ha presentato ricorso legale.
Il giudice lo ha bocciato, ma ormai la Bahri Yanbu aveva già ripreso il mare verso il porto spagnolo di Santander, dove ha provocato una seconda mobilitazione, quella degli attivisti spagnoli. Ora è diretta al porto di Genova, penultima destinazione prima della meta finale, la saudita Gedda, sul Mar Rosso.
Immediata la levata di scudi delle associazioni che si battono contro la vendita di armi alla petromonarchia, dal 2015 impegnata in una feroce offensiva militare contro lo Yemen. Amnesty International, il Comitato per la riconversione Rwm, Finanza Etica, Movimento dei Focolari, Oxfam, Rete della Pace, Rete Disarmo e Save the Children avvertono del pericolo: «È reale e preoccupante la possibilità – scrivono – che anche a Genova possano essere caricate armi e munizionamento militare. Negli ultimi anni è stato accertato da numerosi osservatori indipendenti l’utilizzo contro la popolazione civile yemenita di bombe prodotte dalla Rwm Italia».
Il riferimento è alla filiale sarda, a Domusnovas, della compagnia tedesca e alle prove dell’uso delle bombe lì prodotte in raid che hanno ucciso civili yemeniti. Esportazioni in violazione della legge italiana 185 del 1990 contro la vendita di armi a paesi in guerra o responsabili di abusi dei diritti umani.
«Cosa trasporta quella nave – ci dice Angelo Cremone di Sardegna Pulita – dovrebbe dircelo la dogana: cosa transita per un porto italiano non può essere un segreto. Il sospetto è forte: dalla Sardegna le armi partono via nave».
«Non sappiamo con cosa la Bahri Yanbu sia partita dagli Stati uniti ma certamente non è partita vuota – ci spiega Riccardo Noury, di Amnesty Italia – In Belgio ha caricato otto container, è stato fatto pubblicamente. Nel documento che accompagna la navigazione, la tappa di Genova era già prevista: se entra in porto è probabile che carichi qualcosa. Una qualche autorità italiana dovrebbe salire a bordo per ispezionare la nave».
Al momento quelle autorità restano vaghe: «Stiamo facendo approfondimenti – ha detto ieri la prefetta di Genova, Fiamma Spena – È prematuro ora fare valutazioni. Dobbiamo vedere quali sono le finalità della nave, se viene per una sosta tecnica o per altri motivi».
«Dal punto di vista tecnico nautico se la nave ha i requisiti per entrare in porto, come già avvenuto in passato, avrà l’autorizzazione», il commento di Nicola Carlone, comandante della Guarda costiera ligure.
In serata è arrivata la comunicazione della prefettura: «Non ci sono rilievi che possono impedire l’attracco del cargo Bahri Yanbu e a Genova caricherà solo materiale civile e non militare».
Un dubbio lo solleva l’ex presidente della Regione Sardegna Mauro Piri su Fb: «Così come successo 10 giorni fa la nave saudita dichiarava di andare a Genova ma poi in realtà aveva effettuato il carico più importante a Cagliari. Tra meno di 48 ore dovrebbe arrivare in rada a Cagliari per caricare bombe Rwm».
Intanto in Yemen la guerra continua. Ieri i caccia sauditi hanno colpito ripetutamente la capitale Sana’a: «Sotto le macerie abbiamo trovato bambini, donne, uomini. Il raid aereo li ha colpiti mentre dormivano». Ahmed al-Shamiri, residente nel quartiere di al-Raqas a Sana’a, all’Afp racconta i momenti subito successivi a uno degli 11 bombardamenti sauditi.
Il bilancio è 52 feriti e sei morti, tutti civili, membri della stessa famiglia. Quattro erano bambini. «Non ci sono target militari qui», denuncia la giornalista yemenita Afrah Nasser. «Il numero dei morti salirà – avverte un altro reporter, Nasser Arrabyee – I medici stanno ricevendo molti feriti».
Riyadh dà una «giustificazione»: rappresaglia per l’attacco al principale oleodotto saudita (collega l’est all’ovest, con una portata di cinque milioni di barili di petrolio al giorno) che i ribelli Houthi hanno compiuto – e rivendicato – martedì con due droni. Ieri il vice ministro della Difesa saudita, Khalid bin Salman, accusava l’Iran di esserne il mandante.
Ma Sana’a non è stato il solo target: nelle stesse ore i caccia dei Saud hanno realizzato altri otto raid nelle porzioni di territorio controllate dal movimento Ansar Allah, braccio politico degli Houthi. Il tutto a meno di 24 ore dal ritiro dei ribelli dalla città portuale di Hodeidah e dagli scali di Saleef e Ras Isa, sul Mar Rosso. Ad annunciarlo, mercoledì, è stato il comandante della missione Onu, Michael Lollesgaard, che venerdì scorso aveva reso nota la decisione unilaterale del movimento.
Un atto di buona volontà per facilitare il dialogo con il governo filo-saudita: la consegna della gestione dei porti alla Guardia costiera, con l’Onu a far da supervisore. Il governo, però, non apprezza: la Guardia costiera, dice, è troppo vicina agli Houthi. Più felici i 600mila residenti di Hodeidah, da mesi teatro della battaglia: ora sperano in una tregua vera.
Chiara Cruciati è su Twitter: @ChiaraCruciati