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L’Europa non può evitare il nazionalismo

Ashoka Mody 25/05/2019
L’economista Ashoka Mody torna a parlare di Europa e del risorgere del nazionalismo. 

Nell’attuale situazione ibrida della UE – via di mezzo tra stato sovrano che rappresenti realmente un popolo e organo sovranazionale di solo coordinamento – è la stessa Ue a provocare il rifiorire di sentimenti nazionalisti. Nella totale assenza della volontà politica di evolvere verso uno stato unitario, l’unica possibile soluzione per l’Ue è ritrarsi per lasciare maggiore spazio agli stati-nazione, sola organizzazione dotata di legittimità e responsabilità democratica. Nel frattempo, come diceva George Washington, è opportuno che per ciascun paese sia l’interesse nazionale a guidare la politica nazionale, anche nei confronti dei più stretti partner commerciali.

Hanno ragione i leader europei a preoccuparsi che, senza la più vigile sorveglianza, un virulento nazionalismo possa ancora scatenarsi con la piena forza del suo potenziale distruttivo. Sono convinti che l’Europa sia essenziale per prevenire questo terribile risultato. Ma è davvero possibile un’Europa stabile, creativa e unificatrice?
Nel maggio 1950, il ministro degli esteri francese Robert Schuman stabilì il percorso. La Francia e la Germania, annunciò, avrebbero condiviso le proprie industrie del carbone e dell’acciaio, e altri paesi erano invitati a unirsi all’iniziativa. Tuttavia, questo non era che un primo passo, sottolineò Schuman. L’obiettivo era quello di rimpiazzare le nazioni-stato con una “Federazione Europea”, perché una federazione, dichiarò, era “indispensabile alla pace”.
Ma i leader europei al sentire la parola “federazione” si ritrassero immediatamente. Decisero che le industrie condivise, accompagnate da una supervisione, sarebbero state una “comunità”. Questo progetto meno ambizioso ebbe successo. Lo storico Tony Judt nel suo classico “Dopoguerra, la Comunità del carbone e dell’acciaio promossa” lo descrisse come “un nuovo sistema stabile di relazioni internazionali”.
La forte avversione alla federazione si manifestò più chiaramente nell’agosto 1954. L’Assemblea Nazionale francese rifiutò la Comunità Europea della Difesa (Edc), che avrebbe messo in comune le truppe dei paesi membri in un esercito europeo, sostenuto da un budget europeo e da un sistema di governance. Con la riununcia all’Edc, le parole “federale” e “sovranazionale” vennero bandite. Come scrisse poi l’intellettuale francese François Duchêne “l’idea di un’Europa in un certo senso al di sopra delle nazioni” venne screditata.
Tuttavia, sopravvissero le relazioni stabili e fruttifere tra le nazioni-stato europee, che raggiunsero l’apice con il Trattato di Roma, firmato nel 1957. I paesi aprirono le loro frontiere per scambiarsi le merci, ma mantennero i propri diritti di sovranità. Il commercio tra i paesi membri fiorì grazie a un sistema minimo di regole, che vennero rinforzate dalla fiducia reciproca. Come spiegò lo scienziato politico di Princeton Robert Keohane, la “fiducia reciproca” è essenziale al successo delle relazioni internazionali. La semplicissima struttura europea, sostenne lo storico Alan Milward, aiutò a rinforzare e “salvare” lo stato-nazione.
Poi, nel 1991, l’Europa intraprese un vano tentativo di costruire una federazione attraverso la porta di servizio della moneta unica.