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La “pace” di Trump in Bahrain a giugno, ma i palestinesi non sono invitati

Chiara Cruciati 21 maggio 2019
La prima parte del “piano” trumpiano sarà presentato tra un mese: economia e affari, tra gli ospiti ministri delle Finanze e uomini d’affari. Ritorna l’adagio a-politico della pace economica. L’Anp: nessuna consultazione, non andiamo.

Tra un mese, il 25 e il 26 giugno, a Manama saranno in tanti intorno al banchetto imbandito dal presidente statunitense Donald Trump. Il piatto principale: succulenti investimenti tra Israele e Palestina. La chiamano “pace economica” e Trump non si è inventato nulla di nuovo: da anni, decenni, investitori e politici israeliani la presentano come la migliore delle soluzioni, affari in cambio della rinuncia ai diritti, una sirena che ha attirato nel tempo parecchi uomini d’affari palestinesi. Ma che non è mai andata in porto.
Ora ci riprova il tycoon, in Bahrain tra un mese. Al vertice, in cui sarà svelata la prima parte del cosiddetto “Accordo del Secolo”, saranno presenti businessmen, amministratori delegati e ministri delle Finanze da Medio Oriente, Europa, Asia. Servirà, ha detto domenica Washington, a “dare ai leader economici un’opportunità di sostegno a iniziative economiche”, con o senza accordo di pace.
Ci sarà però un grande assente: i palestinesi. Non sono stati invitati. Ma dopotutto non è strano: fin dalle prime indiscrezioni uscite intorno all’Accordo del Secolo era chiaro che la “pace” immaginata dalla Casa Bianca non prevedeva di consultarli. Una “pace”, o meglio una normalizzazione delle relazioni, tra Israele e mondo arabo, con buona pace del popolo palestinese.
La leadership di Ramallah ha reagito: “Il governo non è stato consultato sulla conferenza, sui contenuti, sugli obiettivi o sulla tempistica – ha detto ieri il primo ministro dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mohammed Shtayyeh – Qualsiasi soluzione del conflitto in Palestina deve essere politica e fondata sulla fine dell’occupazione”. Gli fa eco il ministro dello Sviluppo economico dell’Anp, Ahmed Majdalani: “Non ci sarà partecipazione palestinese a Manama. Ogni palestinese che vi prenderà parte non sarà altro che un collaboratore degli americani e di Israele”.
Non migliorano, dunque, i rapporti tra leadership palestinese e attuale amministrazione di Washington, ai minimi storici: Trump è di certo il più filo-israeliano dei presidenti, responsabili di rotture senza precedenti. Dal riconoscimento di Gerusalemme e Golan come territorio sovrano israeliano al trasferimento dell’ambasciata Usa da Tel Aviv alla Città Santa, passando per tagli drammatici degli aiuti all’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, Unrwa, alla cacciata della sede dell’Olp da Washington. Ma soprattutto Trump è il responsabile di una politica di alleanze anti-Iran che ha di fatto marginalizzato i palestinesi, rendendoli una mera pedina nella formazione dell’asse Israele-Saud in chiave anti-Teheran.
Pedine i cui diritti diventano orpelli inutili. Nel piano di pace, o limitandoci per ora alla parte che sarà presentata a Manama, non si fa menzione delle rivendicazioni storiche del popolo palestinese, tutte fondate sul diritto internazionale: la fine dell’occupazione dei Territori compresa Gerusalemme, la formazione di uno Stato palestinese, il ritorno dei rifugiati. Difficile immaginare una pace reale senza alcuna giustizia, ma semplicemente – come fa l’architetto dell’Accordo del Secolo, il genero e inviato per il Medio Oriente di Trump, Jared Kushner, noto sostenitore del movimento dei coloni israeliani – soffocando le aspirazioni dei palestinesi.
“Non c’è un piano di pace, ma solo un workshop economico, un altro modo per premiare Israele e mantenerne il controllo sulle nostre terre e le nostre risorse – commenta Hanan Ashrawi, membro storico del comitato esecutivo dell’Olp – Sono gli americani ad aver rigettato tutto finora, dalla legge agli accordi, ai requisiti di base per la pace fino a quelli di ogni possibile processo di pace. Mostra una mancanza di comprensione delle questioni regionali”.