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Iran: «Trump usa fake intelligence per attaccarci»

Michele Giorgio 13 maggio 2019
«Ci accusano le stesse persone che hanno fatto altrettanto prima dell’invasione Usa in Iraq», ha denunciato l’ambasciatore iraniano all’Onu riferendosi al consigliere per la sicurezza nazionale Usa John Bolton. Washington intanto invia nel Golfo anche una nave anfibia e una batteria di Patriot.

La guerra tra Usa e Iran per ora è fatta di violenti scambi di accuse. Tehran è tornata a denunciare la “fake intelligence” che gli americani userebbero per ammassare ingenti forze militari nell’area del Golfo in risposta ad una presunta intenzione dell’Iran di attaccare gli interessi degli Stati Uniti e dei loro alleati in Medio oriente. Non ha peli sulla lingua Majid Takhtì Ravanchi, ambasciatore iraniano all’Onu. «Le accuse americane sono prodotte dalle stesse persone che hanno fatto altrettanto nel periodo precedente l’invasione Usa in Iraq», ha denunciato l’ambasciatore in un’intervista alla Nbc. Chiaro il riferimento a John Bolton, il Consigliere per la sicurezza nazionale di Donald Trump. Difficile dargli torto. Da quando è entrato a far parte dell’entourage della Casa Bianca, Bolton ha radicalizzato ulteriormente l’agenda estremista del presidente. Ed è l’artefice principale della politica aggressiva di Washington contro l’Iran e il Venezuela di Nicolas Maduro. In queste circostanze, ha spiegato l’ambasciatore iraniano, l’apertura al dialogo fatta da Trump, è soltanto una farsa. «Perché Trump ha lasciato il tavolo negoziale, visto che noi stavamo parlando con tutte le parti dell’accordo sul nucleare. Quale è la garanzia che non si tirerà di nuovo indietro in caso di futuri colloqui tra Iran e Stati Uniti?», ha domandato Ravanchi.
Le risposte sono note da tempo. Con il motivo che l’accordo internazionale sul programma nucleare iraniano, firmato nel 2015 anche dagli Usa, offrirebbe all’Iran la possibilità di costruire segretamente ordigni nucleari che possono essere montati su missilisti balistici a lungo raggio, l’Amministrazione Usa ha stracciato le carte della diplomazia per creare un ordine regionale fondato sull’alleanza tra le due potenze alleate, Israele e Arabia saudita. Un disegno da realizzare anche a costo di scatenare una guerra.
Dopo l’invio nel Golfo della squadra navale guidata dalla portaerei Lincoln e di quattro bombardieri B-52, gli Stati Uniti ora stanno schierando in Medio oriente una batteria anti-missile Patriot e un’altra nave da guerra, la Arlington, che trasporta mezzi anfibi e velivoli. Tehran da parte sua respinge le accuse americane e ostenta sicurezza. Un religioso di alto rango, Yousef Tabatabai-Nejad, si dice sicuro che la flotta militare Usa può essere «distrutta con un solo missile». Ovviamente non è così. Tuttavia i comandanti delle forze armate iraniane sono convinti, in caso di conflitto, di poter infliggere pesanti perdite al nemico.
Gli iraniani, incapaci di contrastare la superiorità aerea statunitense – l’Iran non dispone di una aviazione militare di nuova generazione – in mare, nel Golfo, possono fare danni molti gravi. Grazie a imbarcazioni veloci cariche di esplosivi, possono bloccare lo stretto di Hormuz e paralizzare il passaggio di mercantili e petroliere. L’Iran è dotato anche di missili antinave di fabbricazione cinese. Usati in guerra nel 2006 dal movimento sciita Hezbollah colpirono e danneggiarono gravemente un’unità da guerra israeliana davanti alle coste libanesi. Ed è probabile che gli iraniani provino a colpire con missili le installazioni petrolifere della nemica Arabia saudita – che assieme a Israele soffia sul fuoco dello scontro, anche militare, con Tehran – allo scopo di gettare nel caos i mercati internazionali e provocare un aumento stratosferico del prezzo del barile. Attacchi all’Arabia saudita potrebbero arrivare anche da sud. La guerriglia yemenita Houthi ha già dimostrato di poter lanciare razzi persino contro Riyadh e il suo aeroporto.
Diversi esperti militari credono che all’Iran non convenga rispondere ad un attacco Usa con una rappresaglia contro le basi americane nel Golfo, troppo protette per poter subire danni rilevanti. Così come è improbabile che Tehran indirizzi i suoi missili verso Tel Aviv se non ci sarà un coinvolgimento diretto di Israele accanto agli americani.