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IL PONTE BALCANICO. The Game, la nuova rotta balcanica dei migranti

Marco Siragusa 24 maggio 2019
Dopo la chiusura della cosiddetta “rotta balcanica” nel 2016, migliaia di migranti rimasero bloccati sulle coste greche o al confine con la Turchia.

Oggi, seppur con numeri decisamente inferiori, i flussi migratori provenienti dal Medio Oriente stanno cercando di aprire una nuova strada per giungere alle porte dell’Ue. Ma devono fare i conti con un sempre più serrato controllo delle frontiere.

Tra il 2015 e il 2016 più di 650 mila migranti giunsero in Europa attraverso la “rotta balcanica”, un lungo viaggio che, partendo dal confine tra Turchia e Grecia e attraversando i paesi ex jugoslavi, permetteva di raggiungere il cuore del continente europeo. Con la costruzione del muro tra Ungheria e Serbia voluta da Orban nel 2015 e l’accordo tra Turchia e Ue del 2016, la rotta era stata temporaneamente chiusa lasciando migliaia di migranti sulle coste greche o al confine turco.
Da allora il numero di rifugiati arrivati in Europa attraverso i Balcani è costantemente calato. Questo risultato non è certo dovuto al miglioramento delle condizioni nei paesi di partenza né da una maggior attenzione europea alle sorti di chi scappa dalla propria terra ma è legato esclusivamente ad uno spostamento delle frontiere verso Est che ha permesso di bloccare i migranti direttamente in Turchia, un paese che non brilla certo per il rispetto dei basilari diritti umani. Come dice un vecchio proverbio: lontano dagli occhi, lontano dal cuore.
In una Ue in forte crisi interna e con l’ascesa dei partiti sovranisti e nazionalisti nei paesi dell’Est, la gestione dei flussi migratori è stata completamente ribaltata. Le politiche accoglienti della Germania e quelle, tutto sommato permissive, dei paesi balcanici sono state messe in discussione e sostituite da un controllo sempre più stretto delle frontiere. Nel 2017 la Corte di giustizia europea aveva condannato il governo croato per aver infranto il regolamento di Dublino, permettendo ai rifugiati di raggiungere la Slovenia, e quindi l’Ue, senza aver analizzato le domande di asilo.
La coalizione di governo, guidata dal partito nazionalista dell’Unione Democratica di Croazia (HDZ) in carica dal 2016, decise allora di capovolgere le politiche attuate dai socialdemocratici fino a quel momento e ripristinare i controlli alle frontiere con la Serbia e soprattutto la Bosnia. L’intento evidente è quello di presentarsi agli occhi delle forze sovraniste come un affidabile alleato per la gestione e la difesa dei confini della fortezza Europa, magari per ottenere in cambio l’entrata di Zagabria nell’area Schengen prevista proprio per quest’anno.
A farne le spese ovviamente sono stati i migranti bloccati nella regione. Impossibilitati a raggiungere il nord Europa passando per l’Ungheria di Orban, sempre più razzista e xenofoba, i migranti si sono riversati dalla Serbia alla Bosnia e di lì al confine occidentale con la Croazia. Questa nuova rotta è stata soprannominata dagli stessi migranti “The Game”, una sorta di gioco dell’oca in cui si rischia sempre di tornare al punto di partenza. Peccato che in ballo ci siano le vite di migliaia di persone.
Le difficoltà politiche ed economiche della Bosnia impediscono al paese di attuare una politica di accoglienza in grado di tutelare anche solo i più elementari diritti e la gestione, la difesa e la cura dei migranti è portata avanti quasi esclusivamente dalle numerose ONG presenti sul territorio. Secondo i dati diffusi dalla Croce Rossa e dalla Mezzaluna Rossa nel 2018 la Bosnia ha fatto registrare circa 30 mila nuovi arrivi, quasi tutti provenienti da Afghanistan, Iraq, Iran, Siria, Pakistan, Yemen.
Le autorità serbe hanno riportato che oltre 500 migranti hanno tentato di attraversare illegalmente il confine dall’inizio dell’anno, mentre altri 1500 sono stati respinti dalla Slovenia e riportati in Croazia. Numeri che dimostrano come non esista nessuna “invasione” e che il principale ostacolo all’accoglienza di queste persone non è certo l’ingestibilità dei flussi ma la volontà politica dei governi nazionali.
La situazione più complicata è quella al confine tra Croazia e Bosnia e più precisamente nelle località bosniache di Bihać e Velika Kladuša. La frontiera croata è controllata costantemente da ingenti schieramenti di polizia con il compito di respingere qualsiasi tentativo di attraversamento e rispedire indietro, senza troppi complimenti, i migranti che riescono a superare il confine. A Bihać sono presenti ben due campi di accoglienza, il Sedra Refugees Camp e il Bira Refugees Camp gestiti dall’International Organization for Migration e dalla Croce Rossa che provano a fornire un tetto e un pasto agli oltre 2500 migranti bloccati lì. Altre diverse centinaia sono ospitati nel campo di Velika Kladuša. I campi, costruiti con tende e in edifici abbandonati e danneggiati dalla guerra degli anni ’90, registrano gravissime carenze igieniche e di vivibilità, soprattutto nei freddissimi mesi invernali.
Alle difficili condizioni di vita “quotidiana” si aggiungono i soprusi e le violenze della polizia croata, come dimostrato dai numerosi video resi pubblici dall’organizzazione Border Violence Monitoring (BVM) in cui si vedono gli agenti attuare espulsioni illegali di migranti nel territorio bosniaco. Sono ormai centinaia le testimonianze di azioni violente della polizia croata che si cimenta spesso in una vera e propria caccia all’uomo. Una volta individuati i migranti le forze dell’ordine non si limitano a respingerli ma esercitano su di essi gravi violenze. In molti tornano nei campi con fratture alle ossa o senza scarpe e quei pochi beni che portano con sé. Ad ottobre circa 200 rifugiati erano riusciti a sfondare il cordone di sicurezza al valico di Maljevac e in altri punti riuscendo così ad entrare nel paese.
Dopo la divulgazione dei video che mostrano le violenze della polizia, Il Ministero dell’Interno croato Davor Božinović ha respinto ogni accusa, affermando che la Croazia sta solo attuando le misure necessarie a contrastare i flussi migratori come richiesto dall’Unione europea. Per il governo croato “il fine giustifica i mezzi”. Ancor più grave è il silenzio e l’indifferenza dell’Ue che continua a far finta di niente e che premia Zagabria con l’entrata nell’area Schengen.L’indifferenza del governo bosniaco, alle prese con continue frizioni interne tra le etnie che lo compongono, e la violenza di quello croato vengono solo in parte mitigate dal sostegno che buona parte della popolazione bosniaca offre ai migranti.Pur vivendo condizioni già piuttosto precarie, numerosi bosniaci aiutano come possono coloro che provano ad attraversare il confine, forse memori della propria storia recente. Nonostante questo, il clima di odio e razzismo che si sta diffondendo in Europa ha i suoi strascichi anche nei Balcani.
La crescita dei partiti sovranisti e una loro possibile affermazione alle elezioni europee di domenica lascia immaginare un ulteriore inasprimento delle politiche di controllo delle frontiere. Il tutto mentre si prospettano nuove ondate migratorie provenienti dal Medio Oriente. L’Europa ancora una volta si gira dall’altra parte soprattutto durante la campagna elettorale. Difendere i diritti dei migranti e proporre un sistema di accoglienza degna, in questa fase storica, non porta voti e nessuno è disposto ad ergersi a paladino di questa battaglia.