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YEMEN. Congresso unito: Usa fuori dalla guerra

5 aprile 2019, Nena News
Dopo una serie di voti tra Camera e Senato, ieri i deputati hanno approvato la risoluzione che impone la fine del coinvolgimento statunitense nella campagna militare saudita. Ora a Trump non resta che il veto, ma a rischio ci sono i rapporti storici con i Saud.

Ieri quanto atteso da qualche mese si è concretizzato: la Camera dei Rappresentanti ha votato a favore della risoluzione che chiede la fine della partecipazione statunitense degli Stati Uniti alla guerra saudita contro lo Yemen. Lo scorso anno, prima del mid-term, aveva bocciato la mozione dei passata dei senatori. Poi la svolta: i senatori ne avevano votata un’altra, passata poi alla Camera diventata dopo il voto a maggioranza repubblicana.
Ieri con 247 a favore e 175 contrari, il Congresso ha dato il via libera alla risoluzione che impone la fine del coinvolgimento americano nella campagna militare che i Saud hanno lanciato nel marzo 2015 – ma non la guerra dei droni iniziata da Obama contro al Qaeda nella Penisola arabica. Un coinvolgimento iniziato sotto la presidenza Obama e che prevede sostegno logistico, rifornimenti e scambio di intelligence.
Immediati i festeggiamenti dei democratici, con Bernie Sanders – il promotore della mozione – in prima fila a celebrare: “Una chiara posizione contro la guerra e la carestia – ha scritto su Twitter il senatore del Vermont – Questo è solo l’inizio di un dibattito nazionale su quando e dove andare in guerra e sull’autorità del Congresso sulla decisione”.
Un riferimento al War Power Act del 1973, legge approvata durante la guerra in Vietnam che riconosce ai parlamentari il potere di coinvolgere o meno l’esercito statunitense in una guerra, ma spesso calpestato dai presidenti. Ora la palla passa a Trump che potrebbe, quasi sicuramente, porre il veto: in ballo ci sono i rapporti, strettissimi, con la petromonarchia saudita, non solo militari e di vendita di armi ma anche economici e commerciali. Rapporti che in alcuni casi coinvolgono personalmente lo stesso tycoon.
Il veto arriverà, è quasi scontato, ma Trump dovrà comunque fare i conti con un voto bipartisan: ieri a votare a favore della mozione sono stati anche repubblicani e la stessa cosa era accaduta al Senato. A smuovere gli animi dei repubblicani non è stata la devastazione del paese più povero del Golfo, i suoi 50mila morti, milioni di sfollati e oltre 20 milioni di persone dipendenti dagli aiuti umanitari che arrivano a tratti. Ma piuttosto l’omicidio brutale del giornalista dissidente Jamal Khashoggi, ucciso il 2 ottobre scorso nel consolato saudita di Istanbul da un commando formato da fedelissimi del principe ereditario Mohammed bin Salman.
Proprio quell’omicidio, oltre ad aver sollevato proteste interne, aveva infastidito il Congresso anche per il rifiuto dell’amministrazione Trump a riferire in merito di fronte ai parlamentari. Lo aveva fatto la Cia, individuando in MbS il mandante di quell’assassinio.