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SUDAN. Stallo nei negoziati, il movimento popolare chiama allo sciopero generale

30 aprile 2019, Nena News
Ancora nessun accordo sul Consiglio di transizione civile-militare tra la federazione delle opposizioni e le forze armate. A Khartoum il sit-in iniziato un mese fa non smobilita e chiama a nuove proteste.

Sciopero generale e disobbedienza civile: è la risposta del movimento popolare sudanese, dal 19 dicembre impegnato in manifestazioni anti-governative, dopo il fallimento del terzo round negoziale con l’esercito, responsabile del golpe militare contro l’ex presidente al-Bashir.
Sul tavolo sta la formazione del Consiglio civile-militare, organo misto che dovrebbe guidare il Sudan verso una transizione democratica dopo 30 anni di dominio di Bashir e dare vita a un governo di tecnici e a un parlamento transitorio per i prossimi quattro anni. Da una parte le forze armate, che venti giorni fa hanno deposto il presidente-dittatore dopo mesi di proteste e stato di emergenza, oggi rappresentate dal Tmc, il Consiglio militare di transizione; dall’altra la Dfc, la Dichiarazione della Libertà e il Cambiamento, federazione delle forze di opposizione nata dalla mobilitazione popolare di questi mesi. 
Secondo il quotidiano Sudan Tribune, la Dfc ha chiesto che i seggi del Consiglio siano a maggioranza civili – otto contro i sette ai militari – ma l’esercito ha chiuso rivendicandone sette per sé e solo tre a figure civili. Lo scorso sabato, quando si era arrivati a un accordo sulla formazione del Consiglio, si era aperto uno spiraglio importante: il movimento popolare aveva deciso di rinviare l’annuncio dei propri candidati a un governo di transizione come gesto di buona volontà dopo che l’esercito si era detto disposto a trasferire i poteri ad autorità civili. Una settimana fa, il 24 aprile, dopo uno dei round negoziali interni, il portavoce dell’esercito aveva affermato che le forze armate avrebbero mantenuto solo “l’autorità sovrana”, mentre governo e premier sarebbero stati “completamente civili”. 
Lo stallo ha effetti sulle piazze: la Spa, la Sudanese Professionals Association, principale organizzatrice delle manifestazioni, ieri ha chiamato allo sciopero generale e alla disobbedienza civile fino al trasferimento dei poteri ai civili. E ha denunciato il tentativo dell’esercito di disperdere il sit-in a Khartoum, di fronte al quartier generale dell’esercito, iniziato lo scorso 6 aprile e mai abbandonato dai manifestanti. Ormai è diventato il cuore della protesta: i manifestanti si danno il cambio per mantenere costante la presenza, dormono lì mentre da fuori arrivano cibo e acqua, leggono e discutono tra mercatini di libri improvvisati.
La Spa ieri ha chiesto al popolo sudanese di incrementare la presenza in piazza e di partecipare alla costruzione di barricate difensive contro i tentativi dell’esercito di rimuovere quelle già presenti, senza riuscirci: “Il Consiglio militare è una copia del regime deposto. L’esercito prova a disperdere il sit-in rimuovendo le barricate. Chiediamo al nostro popolo di venire subito qui. Chiediamo ai rivoluzionari di proteggere le barricate e di costruirne altre”.
E se da una parte il Tmc si dice fiducioso e annuncia che dopo il round di ieri le parti hanno deciso di riaprire alcune strade e il ponte Black Nile occupato dai manifestanti, la Spa nega: “Affermiamo che manterremo il sit-in e che tutto quello che ha detto il portavoce non è corretto”, si legge in un comunicato dell’associazione che continua annunciando lo sciopero generale per tutto il mese di Ramadan, che inizierà il 5 maggio.
Da parte sua l’esercito accusa alcuni manifestanti di violenze, di saccheggio, blocco delle strade, attacchi contro forze della sicurezza. Narrazioni diverse specchio dell’attuale mancanza di un accordo. Certo è che il movimento popolare nato ormai più di quattro mesi fa e capace di porre fine a una dittatura brutale non intende arretrare. L’esercito, ulteriormente rafforzato dallo stesso Bashir tra gennaio e febbraio con lo stato di emergenza e la sostituzione di governatori e ministri civili con figure militari, è sotto pressione. E il timore di molti è che l’unica risposta sia la violenza.