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ISRAELE/BRASILE. Bolsonaro fa contento Netanyahu solo a metà

Michele Giorgio 2 aprile 2019
Il presidente brasiliano, in visita ufficiale nello Stato ebraico, non ha annunciato il trasferimento dell’ambasciata del suo paese da Tel Aviv a Gerusalemme ma solo l’apertura di un ufficio diplomatico. Intanto l’Anp per protesta richiama l’ambasciatore a Brasilia.

Brasiliani e palestinesi, amici fino a qualche mese fa e ora ai ferri corti. A capovolgere rapporti diplomatici consolidati è stato il neo presidente brasiliano Jair Bolsonaro, icona della destra più radicale e razzista. Tagliando di netto le strette relazioni che i suoi predecessori di sinistra, Lula da Silva e Dilma Rousseff, Bolsonaro ha scelto l’abbraccio del suo amico e premier israeliano Netanyahu e ha buttato a mare i palestinesi e i loro diritti. Lasciandosi alle spalle le commemorazioni, che ha imposto quasi con la forza, per il colpo di stato che 55 anni fa diede inizio alla dittatura militare in Brasile, Bolsonaro domenica è giunto in visita ufficiale in Israele dove è stato accolto con grandi onori. Ha evitato Ramallah e il presidente dell’Autorità Nazionale (Anp) Abu Mazen, per affermare la sua totale opposizione all’indipendenza palestinese. Quindi ha annunciato l’apertura di un ufficio diplomatico brasiliano, per gli scambi commerciali, a Gerusalemme muovendo un primo passo verso il trasferimento dell’ambasciata del suo paese da Tel Aviv nella città santa. La reazione dell’Anp è stata immediata.

Dopo aver condannato «nei termini più duri» l’apertura di un ufficio diplomatico brasiliano in Israele, l’Anp ha annunciato il richiamo dell’ambasciatore palestinese dal paese sudamericano per consultazioni. «Si tratta di una violazione flagrante della legittimità internazionale e delle sue risoluzioni, e un attacco diretto al nostro popolo e ai nostri diritti», ha scritto in un comunicato il ministero degli esteri palestinese aggiungendo di aver avviato consultazioni con i paesi arabi per presentare una risposta unitaria alla decisione di Bolsonaro. Condanne sono giunte dalla Lega araba, riunita a Tunisi per il vertice annuale.

Netanyahu al contrario ha ringraziato ripetutamente ed elogiato il presidente brasilianoche tratta come un vecchio amico e assieme a lui si è recato in visita al Muro del Pianto. Eppure il premier israeliano è contento a metà. Non ha incassato quanto sperava di ottenere da Bolsonaro, a una settimana dalle elezioni israeliane: il riconoscimento di Gerusalemme come capitale dello Stato ebraico e il trasferimento dell’ambasciata brasiliana. Sarebbe stato un colpo eccezionale per Netanyahu che ha già avuto in regalo le Alture del Golan dal Donald Trump che una settimana fa – in violazione del diritto internazionale – ha riconosciuto a nome degli Stati uniti la sovranità di Israele su quella porzione di territorio siriano occupata 52 anni fa dalle truppe dello Stato ebraico.

Bolsonaro che ha ripetutamente speso parole di ammirazione per Israele, in campagna elettorale aveva anticipato l’intenzione di spostare l’ambasciata brasiliana da Tel Aviv a Gerusalemme, seguendo l’esempio dall’amministrazione Usa. Netanyahu si era recato il 1 gennaio a Brasilia ricevendo la medaglia dell’ordine nazionale della Croce del Sud, la più alta onorificenza al merito del Brasile. Non è un mistero che Bolsonaro sia impegnato a trovare al Brasile un posto al tavolo della diplomazia che conta e crede che i rapporti stretti in Israele possano aiutarlo a raggiungere questo obiettivo. Perciò il trasferimento dell’ambasciata sembrava cosa fatta. Ma Bolsonaro ha frenato deludendo Netanyahu che contava di usare in campagna elettorale il passo brasiliano. L’apertura di un ufficio diplomatico a Gerusalemme non è la stessa cosa del trasferimento dell’ambasciata.



A spingere il presidente brasiliano ad alzare il piede dall’acceleratore sono state le minacce di boicottaggio del Brasile giunte dal mondo arabo-islamico e ribadite durante il vertice a Tunisi. Minacce concrete soprattutto per l’economia brasiliana. In questi ultimi anni il Brasile si è affermato come uno dei principali esportatori mondiali di carne “halal”, autorizzata a far parte dell’alimentazione dei musulmani. Un affare da miliardi di dollari all’anno al quale il paese sudamericano non può rinunciare. Su Bolsonaro hanno pesato inoltre le pressioni degli allevatori brasiliani che dipendono anche dagli ordini provenienti dai paesi a maggioranza islamica.