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Una buona e una cattiva notizia per la festa della donna

Flavia Bustreo 07/03/2019
Solo sei Paesi al mondo garantiscono per legge a uomini e donne le stesse possibilità. Questo è quanto emerge dal report pubblicato di recente dalla World Bank “Women, Business and the Law 2019”, che esplora le riforme messe in atto da 187 Paesi negli ultimi dieci anni per regolare l’uguaglianza di genere.

I criteri utilizzati per stilare la classifica sarebbero otto, ovvero le possibilità che avrebbe una donna di: 1) muoversi, 2) trovare un lavoro, 3) essere pagata, 4) sposarsi, 5) avere bambini, 6) avviare un’impresa, 7) gestire il patrimonio e 8) andare in pensione. Questi elementi vengono valutati in una scala da 1 a 100, secondo l’efficacia della legislazione.
Stando a questi parametri, i Paesi più virtuosi sarebbero Belgio, Danimarca, Francia, Lituania, Lussemburgo e Svezia, che totalizzano un punteggio massimo per ogni categoria. Il punteggio medio totalizzato dagli stati si aggirerebbe intorno al 74,71.
I Paesi del Medio Oriente e dell’Africa Sub-sahariana si troverebbero sotto la media (47,37) il che significa (come è noto) che le donne in questi Paesi hanno circa la metà dei diritti legali rispetto agli uomini.
E l’Italia? Secondo il rapporto, l’Italia si collocherebbe al 22° posto, quindi tra le prime posizioni, ma questo dato può essere fuorviante. Nel dettaglio, il nostro Paese avrebbe raggiunto il massimo punteggio nelle seguenti categorie: mobilità , ricerca di lavoro, remunerazione, possibilità di avere figli, aprire un’impresa propria e gestire il patrimonio.
Ci sarebbero ancora dei passi da compiere per quanto riguarda la possibilità di sposarsi (80) e prendere una pensione (75). Questi indicatori sono positivi, ma tuttavia bisogna sottolineare alcuni aspetti. Infatti, i dati devono sempre essere analizzati nella loro complessità, poiché i numeri da soli non sono sufficienti.
Come anticipato si tratta di parametri riguardanti le barriere legali frapposte tra le donne e le le loro aspirazioni nei settori citati. Tuttavia, giova ricordare che parlare de jure e de facto non è la stessa cosa. Pertanto i dati non andrebbero letti automaticamente come una vittoria.
Per esempio, un punteggio di 100 nella categoria “possibilità di avere figli” non significa che le donne in Italia possano scegliere facilmente di essere madri. Vuol dire che le riforme messe in atto nei dieci anni precedenti tutelano la maternità “al massimo livello”, ma si dovrebbe studiare caso per caso nel dettaglio e nel concreto. Inoltre, un indicatore trascurato dal report è quello della salute delle donne.
Certo, il report tratta gli aspetti legati al mondo del lavoro e più in generale dell’empowerment, ma troppo spesso si dimentica di includere questo aspetto nella discussione. Una donna non raggiungerà mai il suo potenziale in campo affettivo e lavorativo se non è in salute. Questo è particolarmente vero nei Paesi in via di sviluppo, dove la partita sui diritti sessuali e riproduttivi è aperta, ma anche in Italia, dove nel dibattito è rientrato il diritto all’aborto, che non deve certo essere strumento sistematico di family planning, ma resta pur sempre un diritto.
In questo contesto, non si possono non menzionare anche le possibili conseguenze del ddl Pillon, che secondo l’analisi delle Nazioni Unite, metterebbe seriamente a rischio al parità di genere e diritti delle donne.
Curiosamente, l’unico caso in cui ho sentito parlare di salute delle donne è stato in merito alla recente proposta di riaprire le case chiuse: triste che si faccia un uso strumentale della salute per proporre provvedimenti contro la dignità delle donne stesse.
Vi è infine un ultimo punto, che non riguarda solo l’Italia, ma i Paesi in generale e vi sono una buona e una cattiva notizia. La buona notizia è che il trend registrato dalla World Bank è positivo: le disuguaglianze tra donne e uomini si stanno assottigliando.
La cattiva è che diminuiscono a un ritmo troppo lento: secondo delle stime elaborate sul report citato, con questa velocità di cambiamento si raggiungerebbe la piena parità solo nel 2073. Troppo, troppo, troppo tardi.