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PALESTINA. Dopo l’attacco, nuova colata di cemento nella colonia di Ariel

19 marzo 2019, Nena News
Il premier israeliano Netanyahu ha annunciato la costruzione di 840 nuove unità abitativa nell’insediamento illegale in Cisgiordania in risposta all’attentato di domenica in cui sono rimasti uccisi due israeliani.

La Corte Suprema israeliana, intanto, autorizza il partito razzista Otzma Yehudit a partecipare alle elezioni. L’Onu accusa Israele per la “forza letale” usata durante le manifestazioni dei gazawi al confine.
La risposta israeliana all’attacco compiuto domenica a Salfit (nord della Cisgiordania) da un palestinese è arrivata immediata: visitando ieri il luogo dell’attentato, il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha promesso la costruzione di 840 nuove unità abitatitive nell’insediamento coloniale di Ariel. Il primo ministro ha anche detto che le forze armate israeliane sono ormai prossime ad arrestare il presunto attentatore, Omar Abu Leila, un 18enne di Zawiya: l’esercito israeliano ha avviato rastrellamenti in alcuni villaggi palestinesi della zona dove si starebbe nascondendo. Nel frattempo ha già arrestato suo padre, suo fratello e alcuni parenti.
Per Tel Aviv non ci sono dubbi: è stato Abu Leila ad aver ucciso due giorni fa il soldato Gal Keidan e il rabbino colono Achiad Ettinger e ferito un altro militare. I media israeliani hanno anche riferito che la casa della famiglia del sospetto aggressore è già stata ispezionata dai soldati israeliani e pertanto sarà a breve demolita. Non una novità: Israele demolisce sempre le abitazioni dei palestinesi ritenuti responsabili di attacchi contro israeliani. Una punizione collettiva e illegale per il diritto internazionale, ma che la forza occupante israeliana ritiene una pratica di deterrenza indispensabile per fermare gli attentati. Secondo la ong israeliana per i diritti umani B’Tselem, però, a pagare il prezzo sono anche le famiglie degli attentatori, nonostante queste siano del tutto estranee agli attacchi. “Nella gran parte dei casi – sottolinea B’Tselem – la persona che ha compiuto l’attacco non abita nemmeno più nella casa che verrà demolita. Gli effetti di deterrenza dichiarati [da Israele] non sono mai stati dimostrati”.
La visita di Netanyahu a Salfit è giunta più o meno nelle ore in cui la Corte Suprema israeliana ha confermato la presenza del partito estremista e razzista Otzama Yehudit alle prossime elezioni del 9 aprile. Se da un lato il massimo tribunale d’Israele ha respinto la candidatura del suo leader Michael Ben-Ari per via delle sue posizioni fortemente antiarabe che istigano alla violenza, dall’altro ha dato luce verde alla formazione di estrema destra di partecipare al voto. Potranno dunque candidarsi alle elezioni ormai senza più il timore di essere esclusi Itamar Ben Gvir e Baruch Marzel che, non diversamente da Ben Ari, sono noti per le loro posizioni xenefobe e soprattutto anti-palestinesi. L’ok ricevuto dalla Corte Suprema non ha però soddisfatto il partito che ha condannato l’esclusione di Ben-Ari e ha annunciato che, qualora dovesse entrare a far parte di una coalizione governativa (con Netanyahu), chiederà un ministero importanti per Marzel. La Corte Suprema ha poi anche riammesso la lista araba Balad-Raam e il candidato ebreo comunista Ofer Kassif, esclusi dieci giorni fa dalla Commissione elettorale.
Ieri, intanto, è tornata a parlare di Palestina l’Onu. Michael Lynk, l’inviato speciale delle Nazioni Unite per i Territori occupati palestinesi, ha infatti criticato “la continua espansione delle colonie” in Cisgiordania e ha sottolineato come Israele, “in un apparente atto di saccheggio”, stia impedendo a milioni di palestinesi l’accesso all’acqua potabile. Secondo Lynk ogni anno si registrano “20-25.000 nuovi coloni”. Una crescita rapida fortemente sostenuta dal governo Netanyahu, ha denunciato la ong israeliana Peace Now che da anni monitora gli insediamenti illegali di Tel Aviv nei Territori palestinesi. Sono tra i 500.000 e 600.000 i settler che abitano tra Gerusalemme est e la Cisgiordania, occupati illegalmente da Tel Aviv nel 1967.
Peggiore però resta la situazione nella Striscia di Gaza da oltre 10 anni assediata da Israele e, in misura non trascurabile, dall’Egitto di al-Sisi. Ieri l’Onu ha chiesto a Tel Aviv di vietare l’uso di una “forza letale” contro i gazawi che dallo scorso 30 marzo protestano ogni venerdì al confine con Israele. Secondo Santiago Canton, il presidente della Commissione d’Inchiesta delle Nazioni Unite, il governo israeliano “dovrebbe rivedere immediatamente le regole d’ingaggio [dei suoi cecchini] e assicurare che queste seguano gli standard accettati internazionalmente”. “Per controllare le masse – ha aggiunto – si sarebbero potuti usare proiettili di gomma piuttosto che pallottole ad alta velocità e fucili a lunga gittata equipaggiati con sofisticati strumenti ottici”. Le parole di Canton fanno il paio con i risultati pubblicati lo scorso mese da un rapporto preliminare della Commissione secondo cui le forze armate israeliane potrebbero aver compiuto nella Striscia crimini di guerra contro l’umanità durante le proteste dei palestinesi al confine.
Accusata per gli oltre 250 gazawi uccisi in un anno, Israele si è sempre difesa affermando che i suoi uomini aprono il fuoco solo per proteggersi dalle incursioni e dagli attacchi palestinesi. Di fronte alle nuove accuse mosse dall’Onu a Israele, stizzita è stata la risposta del portavoce del ministro degli esteri israeliano Emmanuel Nahson su Twitter: “E’ arrivato il momento di dire forte e chiaro che il Consiglio dei diritti dell’Onu è complice della campagna terroristica di Hamas [il movimento islamico palestinese, ndr] contro Israele”.