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L’8 marzo ripartiamo dal gender gap

Alessia Gasparini 06/03/2019
L’Italia è all’82° posto per eguaglianza di genere sul lavoro. È quanto registrato nel 2017 dal World Economic Forum, una fondazione no profit che si occupa di monitorare la salute economica dei Paesi del mondo. In sintesi, ad andare a lavorare o a fare carriera sono ancora più uomini che donne.

Studi condotti da istituti come l’Istat mettono in evidenza come le lavoratrici debbano superare ostacoli più numerosi di quelli riservati ai colleghi maschi, che spesso si traducono in un percorso lavorativo discontinuo che viene letto come meno affidabilità.
Poco importa se spesso le donne debbano superare colloqui in entrata che prevedono domande molto personali (“Sei sposata?” “Vuoi avere figli?”) oppure se allo stato attuale delle cose siano ancora loro ad occuparsi principalmente di quello che viene chiamato “il lavoro di cura”, cioè della casa e dei figli.
Un problema che assume un peso ancora maggiore nel caso delle madri single, che spesso si trovano in estrema difficoltà a mantenere il loro posto di lavoro a causa dello scarso numero di posti disponibili negli asili nido.
Essere “ufficialmente” percepite come meno affidabili significa, per le donne, stipendi più bassi e meno possibilità di avanzare fino a posizioni di comando all’interno delle aziende. A poco è valsa la legge 120/2011, meglio conosciuta come Golfo-Mosca, che prevede una quota minima di donne all’interno dei Consigli d’amministrazione, pari a un quinto dei membri del board.
Secondo dati Aicas, attualmente solo il 17% dei ruoli apicali è declinato al femminile, con in media stipendi più bassi del 14% rispetto ai loro colleghi uomini. Considerando che la Golfo-Mosca è in scadenza nel 2022, la situazione si prospetta ancora più preoccupante.
Per questo Maria Claudia Torlasco, presidente di AIDDA (Associazione Imprenditrici e Donne Dirigenti d’Azienda) ha dato vita, insieme a oltre 30 associazioni femminili che si occupano di parità di genere sul lavoro, all’iniziativa #Inclusionedonna, una vera e propria coalizione che fa dell’unione la forza necessaria per far rispettare i propri diritti. Lo scopo della rete è quello di eliminare le disparità che sono ancora ben presenti, avvalendosi della collaborazione dei colleghi maschi per promuovere in maniera ancora più evidente un modello di cooperazione tra i generi, creando una task-force che riconsegni alle donne lavoratrici la dignità che spetta loro.
Tra i punti del programma ci sono il miglioramento delle politiche di welfare rivolte alla cura della famiglia e un sostanziale incremento dell’occupazione femminile, cercando di raggiungere la soglia ideale del 60%.
Ma #Inclusionedonna non si occuperà solo del mondo del lavoro. All’interno del governo Conte ci sono solo 11 donne, tra ministri, viceministri e sottosegretari, su un totale di 63 posti disponibili: è il terzo dato peggiore dal quarto governo Berlusconi in poi, secondo Openopolis.
Una situazione che non migliora se si volge lo sguardo anche al resto delle Istituzioni e delle società pubbliche, dove il 79,27% degli incarichi è ancora riservato agli uomini. Per questo #Inclusionedonna si propone di chiedere al governo e al Parlamento non solo di rispettare il diritto alla parità che è sancito dalla Costituzione italiana, ma anche di ripristinare il Ministero per le Pari Opportunità, abolito nel 2013.
Quale occasione migliore dell’8 marzo per combattere l’aperta violazione del diritto ad avere una carriera e una paga equa, con la speranza di non doversi più giustificare per essere nata donna.