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IRAN. 38 anni di carcere per l’avvocata incubo degli ayatollah

13 marzo 2019, Nena News
Nasrin Sotoudeh è stata condannata lunedì anche a 148 frustrate. I suoi crimini? Spionaggio, diffusione d’informazioni contro la Repubblica islamica e offese alla Guida Suprema Khamenei. Dietro la sentenza l’ombra del nuovo capo della magistratura Raisi.

La nota avvocata iraniana per i diritti umani Nasrin Sotoudeh è stata condannata lunedì a 38 anni di prigione e a 148 frustate. Secondo quanto affermato dal marito Reza Khandan, la pena è la somma di due differenti condanne: una a cinque anni di carcere e un’altra a 33. I media iraniani avevano inizialmente riferito che la donna aveva ricevuto una condanna pari a 7 anni di prigione: il giudice Mohammad Moghiseh aveva parlato di “cinque anni per aver cospirato contro il sistema e due per aver insultato la Guida Suprema [l’Ayatollah Ali Khamenei]”.
In realtà gli anni da scontare dietro le sbarre sono molti di più. Senza poi dimenticare l’aggravante barbara delle frustrate. Non è chiaro perché ci sia stata questa discrepanza di informazioni, tuttavia quel che è certo è che Sotoudeh è stata condannata per spionaggio e altri “crimini” legati alla sicurezza nazionale: diffusione di informazioni contro la Repubblica islamica oltre e per offese contro Khamenei. In realtà, però, i suoi “reati” sono altri: essersi sempre spesa per la giustizia, aver difeso attivisti, giornalisti e dissidenti politici (tra cui il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi) durante la campagna di arresti di massa del 2009, essersi opposta alla pena di morte (attivissima nel Paese) e aver difeso le donne che protestano contro l’imposizione del foulard stabilita 40 anni fa dall’Ayatollah Khomenei. Posizioni molto rischiose in un Paese, l’Iran, dove la repressione contro chi critica la Guida Suprema e l’intero clero religioso (e loro imposizioni) è durissima. Per il suo lavoro nel campo dei diritti (famosa la sua battaglia contro i minorenni che ricevono la pena di morte in Iran) ha vinto il prestigioso premio Sakharov nel 2012.
L’avvocata e attivista ha pagato sulla sua pelle le sue prese di posizione coraggiose: è stata infatti arrestata in diverse occasioni, l’ultima volta lo scorso giugno. Le sue beghe giudiziarie sono iniziate nel 2010 quando ha ricevuto una pena di 11 anni di carcere perché “rea” di aver fatto propaganda e aver cospirato contro lo stato iraniano (reati che ha sempre negato). Le fu impedito allora anche di esercitare la sua professione per 20 anni (sentenza poi rovesciata nell’agosto del 2014 della corte degli avvocati dell’Ordine di Teheran). Nel periodo in cui è stata in carcere, Sotoudeh ha iniziato due scioperi della fame per protestare contro le condizioni di detenzione del carcere di Evin e perché le era stato impedito di vedere i suoi due figli. E’ stata rilasciata nel settembre del 2013 poco prima che venisse eletto il presidente moderato Hassan Rouahni che proprio sul miglioramento dei diritti civili nel Paese aveva impostato la sua campagna elettorale.
Quando uscì dal carcere, Sotoudeh chiese immediatamente il rilascio di tutti gli altri avvocati, vittime, a suo giudizio, del clima da caccia alle streghe che si è registrato in Iran dopo le elezioni del 2009 vinte con palesi brogli dall’ex presidente Ahmadinejad. “Secondo le leggi internazionali – dichiarò in quella circostanza – gli avvocati hanno l’immunità per condurre le loro attività professionali. Tuttavia, questo principio viene violato qui in Iran”.
La sua sentenza di lunedì ha scatenato le proteste di Amnesty International. “E’ scioccante che Nasrin Sotoudeh stia quasi quattro decenni in carcere e riceva 148 frustrate per il lavoro pacifico che svolge nel campo dei diritti umani, inclusa la difesa delle donne che protestano contro le degradanti leggi che impongono l’hijab [il velo]” ha detto Philip Luther, il direttore della ong nel campo delle ricerche per il Medio Oriente e il Nord Africa. “Nasrine deve essere rilasciata immediatamente e incondizionatamente. Questa sentenza oscena deve essere annullata senza alcun ritardo” ha aggiunto.
La sua condanna ha suscitato forte indignazione anche sui social media. C’è chi ha sottolineato come la “colpa” di Sotoudeh sia stata quella di aver avuto una diverbio in tribunale con l’editore del giornale Kayhan, Hossein Shariatmadari, nominato dalla Guida suprema. C’è chi poi su Twitter ha fatto notare come la sua condanna coincida con il primo giorno come capo della magistratura di Ebrahim Raisi, lasciando così intendere che non ci saranno aperture nel campo dei diritti rispetto al passato. Sarcastico il cinguettio social dell’avvocato iraniano Seyyed Ali Mojtahedzadeh: “La tempistica dell’inizio del Sig. Raisi e la condanna di Sotoudeh è una coincidenza? Gli amici ottimisti possano dargli il bevenuto”.
Già Raisi. Non sono in pochi a vedere dietro la dura pena inflitta all’avvocata la sua ombra. Il suo curriculum parla da solo: alla fine degli anni ’80 è stato responsabile della condanna a morte di migliaia di oppositori politici della Repubblica islamica. Cinquantotto anni, membro del clero sciita con il turbante nero (discendente quindi del Profeta Mohammad), è legato al clero conservatore e soprattutto a Khamenei e dal 2006 fa parte dell’Assemblea degli Esperti incaricata della successione della Guida Suprema. Nel 2017 Raisi aveva provato a compiere il grande passo cercando di sfidare Rouhani alle presidenziali. Perse, ma secondo molti analisti potrebbe essere lui il successore alla massima carica della Repubblica islamica.
Per il momento quest’ultima è un’ipotesi. Quel che però appare è che con lui a capo della magistratura il giro di vite contro gli oppositori politici e chi chiede semplicemente maggiori diritti si farà sempre più duro. La condanna di Nasrin Sotoudeh è un monito inquietante.