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EGITTO. Shakwan è finalmente libero, a metà

5 marzo 2019, Nena News
Rilasciato ieri, il fotoreporter dovrà trascorrere 12 ore al giorno in una stazione di polizia per i prossimi cinque anni. Intanto il regime fa arrestare in diverse città 70 persone per aver protestato dopo l’incidente ferroviario di Ramses.

Mahmoud Abu Zeid è libero. Ieri il fotoreporter egiziano, noto a tutti come Shawkan, ha fatto ritorno a casa, nel quartiere Fisal al Cairo. Le prime immagini del giovane, in una felpa grigia, accanto al padre, sono comparse sui social all’alba di ieri, subito fuori dalla stazione di polizia della capitale dove si trovava da oltre dieci giorni in attesa del rilascio definitivo.
“Sono uscito per fare delle foto, torno a casa cinque anni dopo”, le prime parole rilasciate alla stampa che lo ha raggiunto a casa, dove ad accoglierlo c’era la madre, la famiglia e gli amici. Shawkan era stato arrestato nelll’agosto 2013. Era passato poco più di un mese dal golpe guidato dal generale Abdel Fattah al-Sisi, con cui l’esercito depose il presidente Mohammed Morsi e il governo dei Fratelli Musulmani, eletto un anno e mezzo prima.
Subito erano esplose le proteste dei sostenitori del presidente islamista. L’apice a metà agosto, a piazza Rabaa al Cairo. Le forze di polizia egiziane hanno compiuto una strage: circa mille morti in piazza e nella vicina moschea dove molti manifestanti avevano trovato riparo. Mahmoud Abu Zeid era lì, a scattare foto, a fare il suo lavoro di giornalista. Era stato arrestato e accusato di appartenenza a organizzazione terroristica.
Imputato in uno dei famigerati processi di massa che stanno caratterizzando la “giustizia” sotto al-Sisi, è stato condannato – dopo numerosi rinvii e udienze, per due anni non ha nemmeno conosciuto le accuse nei suoi confronti – solo l’anno scorso a cinque anni e mezzo di carcere. Ne aveva già scontati cinque, da cui il rilascio ieri. Ma con condizioni durissime, una semilibertà che ben poco ha a che fare con uno Stato di diritto: per i prossimi cinque anni dovrà trascorrere metà giornata in una stazione di polizia, dalle 18 alle 6 del giorno dopo. 
“Dopo il suo rilascio – ha commentato ieri in un comunicato Amnesty International – affronta misure ridicole che gli richiedono di trascorrere 12 ore al giorno in una stazione di polizia per i prossimi cinque anni. Queste misure oltraggiose restringeranno gravemente la sua libertà e devono essere cancellate subito”. Oltre alla semi-libertà, Shawkan non potrà gestire le proprie finanze, misure che di fatto gli impediscono di spostarsi e viaggiare. Probabilmente il modo per il regime del Cairo di evitare che giri il mondo a raccontare la sua esperienza e quella di 60mila prigionieri politici nelle carceri egiziane.
Perché Shawkan è ormai noto ovunque. Per lui hanno fatto campagne di solidarietà associazioni di tutto il mondo e lo scorso anno ha vinto il premio per la libertà di espressione dell’Unesco. Un simbolo dell’assenza di libertà di stampa nell’Egitto di al-Sisi, dove almeno 25 giornalisti restano dietro le sbarre e oltre 500 media, tra giornali, agenzie stampa e siti web, sono chiusi e oscurati da quasi due anni.
L’Egitto resta patria della repressione. L’ultima ondata di arresti è di questi giorni: almeno 70 detenuti per aver manifestato spontaneamente dopo la strage ferroviaria alla stazione Ramses al Cairo, 29 morti e decine di feriti nell’ennesimo incidente dovuto all’austerity e alla mancanza totale di investimenti nei trasporti pubblici.
Difficile, scrive l’agenzia indipendente Mada Masr, fare un bilancio degli arrestati perché sono stati portati via in luoghi diversi della città nell’arco di tre giorni, tra giovedì e sabato scorso. Alcuni presi a casa, altri per strada. Non solo al Cairo, ma anche ad Alessandria e a Damanhour. Gli avvocati fanno la spola nei vari uffici dei procuratori per individuarli, sapere dove sono e se ci sono: solo nove sono stati trovati perché già apparsi di fronte a una corte e condannati a 15 giorni in attesa di ulteriori indagini.