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Bambini siriani annientati dalla guerra

Umberto De Giovannangeli 11/03/2019
Due rapporti, Unicef e Save the Children, drammatici: 1106 bimbi uccisi nel 2018, in 4milioni da 8 anni conoscono solo la guerra.

Siria, una tragedia senza fine che il 15 Marzo entra nel suo nono anno. Con una narrazione falsa, accomodante: la guerra è finita, perché lo Stato islamico, tranne l’ultima sacca di resistenza a Barghuz, è stato sbaragliato. La Siria è un Paese ridotto ad un ammasso di macerie, uno Stato fallito. E a soffrire sono soprattutto i più indifesi tra gli indifesi: i bambini.
Unicef e Save the Children lo ricordano e inchiodano la comunità internazionale, silente e complice di questa infinita tragedia. Due rapporti che chiamano in causa anche il mondo della comunicazione, che negli ultimi tempi ha spento i “riflettori” su una mattanza di innocenti che non ha soluzione di continuità. Solo nel 2018, in Siria 1.106 bambini sono stati uccisi nei combattimenti, il più alto numero di bambini uccisi in un solo anno dall’inizio della guerra. Questi sono solo i numeri che l’Onu è stato in grado di verificare, ma le cifre reali sono probabilmente molto più alte – ricorda nel suo report l’Agenzia dell’Onu per l’infanzia – Le mine rappresentano ora la principale causa di vittime tra i bambini in tutto il Paese, con 434 morti e feriti causati da ordigni inesplosi l’anno scorso.
Il 2018 ha visto anche 262 attacchi contro le strutture scolastiche e sanitarie, anch’essi a livelli record. Oggi c’è un allarmante equivoco che il conflitto in Siria stia rapidamente per concludersi: non è così. I bambini in alcune parti del Paese rimangono in pericolo come in qualsiasi altro momento durante gli otto anni di conflitto. “Sono particolarmente preoccupata per la situazione nella Siria nordoccidentale di Idlibin – dichiara il Direttore generale dell’Unicef Henrietta Fore – dove un’intensificazione della violenza ha ucciso 59 bambini solo nelle ultime settimane. I bambini e le famiglie nelle terre di nessuno continuano a vivere nel limbo. La situazione delle famiglie di Rukban, vicino al confine giordano, continua ad essere disperata, con accesso limitato a cibo, acqua, riparo, assistenza sanitaria e istruzione. Sono anche allarmata dal peggioramento delle condizioni del campo di Al Hol, nel nord-est del Paese, dove vivono più di 65.000 persone, tra cui si stima che ci siano 240 bambini non accompagnati o separati. Da gennaio di quest’anno, quasi 60 bambini sono morti lungo i 300 chilometri di cammino da Baghouz al campo. Il destino dei bambini dei ‘foreign fighters’ in Siria rimane poco chiaro.
L’Unicef esorta gli Stati membri ad assumersi la responsabilità per i bambini che sono loro cittadini o nati da loro cittadini, e ad adottare misure per evitare che i bambini diventino apolidi”. Nel frattempo, i Paesi limitrofi della regione ospitano 2,6 milioni di bambini rifugiati siriani che, nonostante il sostegno dei governi ospitanti, delle Nazioni Unite e della comunità internazionale, devono affrontare le proprie sfide. Molte famiglie non possono mandare i propri figli a scuola e, con poche opportunità di guadagno, stanno scegliendo soluzioni negative – tra cui il lavoro minorile e il matrimonio infantile – per farcela. “All’inizio del nono anno di guerra – rimarca ancora Fore – l’Unicef ricorda ancora una volta alle parti in conflitto e alla comunità globale che sono i bambini che hanno sofferto di più e che hanno più da perdere. Ogni giorno in cui il conflitto continua è un altro giorno rubato alla loro infanzia”.
Dopo 8 anni di conflitto devastante in Siria 4 milioni di bambini conoscono solo la guerra. Lo dice un rapporto realizzato da Save the Children nei governatorati di Idlib, Aleppo, al-Raqqa e al-Hassakeh, tra i più colpiti dalla guerra in Siria e rilasciato alla vigilia della terza Conferenza Internazionale per il Supporto della Siria e della Regione che si tiene Bruxelles. Il report “Un domani migliore: la voce dei bambini siriani” dell’Organizzazione che da 100 anni lotta per salvare i bambini e garantire loro un futuro, raccoglie le testimonianze di centinaia di piccoli che, pur profondamente segnati dalle conseguenze di violenze e distruzione, dicono di avere fiducia nel futuro e nella possibilità di ricostruire il loro paese, ma chiedono al mondo pace, stabilità e istruzione. Il conflitto siriano entra nel nono anno il 15 marzo 2019 e una intera generazione non ha conosciuto altro. Più della metà dei bambini siriani è bisognoso di assistenza umanitaria, un terzo è senza scuola e almeno 2,5 milioni sono sfollati all’interno del Paese. Il 30 per cento dei bimbi intervistati dice di non sentirsi al sicuro e per più della metà di loro le violenze del conflitto, la separazione dalle famiglie o la perdita dei propri familiari, la distruzione delle abitazioni e delle infrastrutture, insieme alla mancanza di scuole e assistenza sanitaria sono la realtà con cui fanno i conti ogni giorno.
La povertà e la disoccupazione causate dal conflitto hanno minato la stabilità delle famiglie e forzato ragazzi che dovrebbero andare a scuola a svolgere lavori pericolosi o a sposarsi precocemente: anzi, il 65% delle bambine e ragazze afferma che i matrimoni precoci sono un problema molto serio nella propria comunità. Ancora, malnutrizione, malattia e disabilità sono aumentati a dismisura durante il conflitto e i bambini ascoltati nell’indagine sono tristi, ansiosi e molti di loro manifestato i segni di un forte stress emotivo. Crescere senza istruzione rappresenta una paura messa ripetutamente in evidenza da tutti i bambini, come racconta Lina, 13 anni, che è sfuggita all’assedio nel Ghouta orientale e oggi vive a Idlib: “La guerra ha portato via tutto a noi bambini e ci ha lasciato senza nulla, senza istruzione e senza futuro. I miei genitori sono stati uccisi quattro anni fa quando la nostra casa è stata colpita da una bomba, e ho sperato di morire anch’io, ma Dio aveva altri piani. Voglio che la guerra finisca per poter tornare dove vivevo e ricostruire il mio Paese. Non chiedo altro che poter tornare a scuola. Spero che il modo si accorga di noi e ci aiuti.” I desideri dei bambini siriani, però sono quelli di tutti gli altri bambini del mondo: il 70% degli intervistati desidera passare tempo con gli amici, l’86% vorrebbe andare bene a scuola, il 98% sogna di stare con i propri cari, mentre la quasi totalità (98%) vorrebbe vivere in un contesto di pace e privo di ogni forma di violenza. “Tanti bambini in Siria non hanno avuto altro che la guerra, e hanno gli occhi pieni di dolore e violenza. Quelli di cui abbiamo raccolto le testimonianze si sentono soli e insicuri, molti hanno perso la loro famiglia. Chi ha commesso queste gravi violazioni contro i bambini siriani durante il conflitto ne deve rispondere di fronte alla comunità internazionale. Chiediamo ai leader che si incontreranno a Bruxelles di ascoltare la voce dei bambini siriani. Anche se hanno attraversato otto anni di guerra e violenze, sono ancora fiduciosi di poter costruire un futuro migliore per il loro Paese. Chiedono pace, stabilità e istruzione, e la comunità internazionale deve trovare il modo di rispondere alla loro richiesta” afferma Filippo Ungaro, portavoce di Save the Children Italia.
Dai risultati della ricerca emerge infatti che i bambini e ragazzi coinvolti nell’indagine di Save the Children hanno chiare aspettative nei confronti degli adulti di riferimento nel loro Paese e vorrebbero che si adoperassero per la fine del conflitto (60%), garantissero loro un’educazione (13,4%) o servizi sanitari (7,5%) e infine si impegnassero per la ricostruzione del Paese. Altrettanto decise sono le richieste che vengono fatte alla comunità internazionale che secondo il 56% degli intervistati dovrebbe trovare soluzioni per la fine della guerra e per proteggere i bambini, alleviare la loro povertà e sofferenza (13,4%), investire sulla ricostruzione del Paese (13%), aiutare i rifugiati siriani a tornare a casa (7%) Save the Children, che ha lanciato quest’anno in occasione del centenario della sua fondazione la campagna “Stop alla guerra sui bambini”, chiede ai delegati che parteciperanno domani alla 3° Conferenza dei Paesi Donatori a Bruxelles di impegnarsi pubblicamente per sostenere una ripresa rapida della vita dei bambini in Siria, con investimenti specifici e continuativi sui settori che riguardano i minori. Le parti in conflitto e la comunità internazionale devono anche creare le condizioni necessarie per la pace e la protezione dei bambini, garantendo a tutti l’accesso ai servizi fondamentali di cui necessitano. Le stesse richieste sono state avanzate dall’Unicef. Ma non sembrano essere queste le priorità delle potenze globali e regionali che agiscono in Siria. Di certo, non lo sono per gli Stati Uniti, la cui priorità assoluta, oggi, e convincere gli alleati a mantenere le loro truppe in Siria o ad inviarne di nuove.
Funzionari dell’amministrazione Trump hanno confidato al Wall Street Journal che sono in corso colloqui con otto Paesi europei, tra cui Francia e Gran Bretagna, per convincerli in tal senso. Il dispiegamento è considerato necessario anche per evitare che si inneschi il paventato scontro tra i curdi siriani inquadrati nelle milizie dell’Ypg e l’esercito di Ankara (con il presidente turco Recep Tayyp Erdogan che ha ribadito anche ieri la sua volontà di sradicare i “terroristi curdi” e creare una fascia di sicurezza ai confini turco-siriani da affidare all’Esercito libero siriano, sostenuto da Ankara). Il piano su cui sta lavorando il governo americano prevede che le truppe Usa restino nella città di Manbij, nella Siria settentrionale, e vi conducano pattugliamenti congiunti con i soldati turchi. Un secondo contingente, basato a est della valle dell’Eufrate, implementerebbe la zona cuscinetto che separerebbe i curdi dai turchi. Un terzo gruppo di soldati americani opererebbe nella base di al Tanf, nella Siria meridionale, nel contesto di una campagna militare volta a centrare due obiettivi: impedire la risorgenza dell’Isis e ostacolare le manovre dell’Iran. I bambini possono attendere. Per coloro che hanno fatto della Siria un immenso campo di battaglia, la mattanza dei bambini è un “danno collaterale”.