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ALGERIA. Bouteflika cede alla piazza: niente quinta candidatura, presidenziali posticipate

Roberto Prinzi 12 marzo 2019
Il presidente ha detto ieri pomeriggio che sarà convocata una conferenza nazionale “inclusiva e indipendente” che entro la fine dell’anno presenterà una nuova costituzione e stabilirà la data per nuove elezioni.

Le proteste popolari delle ultime settimane hanno alla fine pagato: il presidente algerino Abdelaziz Bouteflika ha annunciato ieri nel tardo pomeriggio che non si ricandiderà per la quinta volta alle presidenziali. Non solo: ha posticipato a data da destinare le elezioni che erano previste per il prossimo 18 aprile e ha promesso riforme economiche e sociali. Nel frattempo, però, Bouteflika resterà al potere in attesa della convocazione di una conferenza nazionale “inclusiva e indipendente” che segnerà un nuovo inizio politico del Paese.
L’annuncio dell’anziano e malato leader algerino è stato accolto con gioia da centinaia di persone che sono scese in piazza ieri sera nella capitale Algeri. “La nostra protesta ha dato frutti! Abbiamo sconfitto i sostenitori del quinto mandato” ha detto il tassista 50enne Mohammed Kaci. “Abbiamo vinto la battaglia, stasera non si dormirà” gli ha fatto ecco il 25enne Abdelghani Haci intervistato dalla Reuters. In effetti i due manifestanti hanno ragione: sono state le migliaia di persone dall’orientamento politico molto diverso che hanno manifestato in queste ultime settimane in Algeria ad aver raggiunto quello che fino a qualche settimana fa sembrava impensabile: scalfire un sistema politico dominato da quasi 60 anni dai veterani della guerra d’indipendenza contro la Francia. Bouteflika, 82 anni, era al potere da 20 anni, ma negli ultimi sei era di fatto una figura fantasma: colpito da un ictus nel 2013, ha dovuto ridurre le sue apparizioni pubbliche. Per i suoi oppositori, il leader, ormai confinato su una sedia a rotelle, non era più capace di governare. Ma poco importava per l’esercito e la grande borghesia che, neanche troppo dietro le quinte, sono le forze che veramente amministrano il Paese, esportatore di primo piano di petrolio e gas (ne sa qualcosa l’Europa).
Resta da capire ora cosa succederà dopo questo annuncio. Bouteflika ha spiegato che il suo ultimo dovere sarà quello di contribuire alla nascita di un nuovo sistema che sarà “nelle mani di una nuova generazione di algerini”. Il primo passaggio sarà appunto l’annunciata conferenza nazionale che dovrà terminare i suoi lavori entro la fine del 2019 e dovrà produrre una nuova costituzione che sarà poi votata tramite referendum popolare. Inoltre, la conferenza, guidata da una “figura indipendente, consensuale e d’esperienza” fisserà un’altra data per le presidenziali. Ma le novità giunte dall’Algeria non finiscono qui: ieri, infatti, il premier Ahmed Ouyahia ha rassegnato le dimissioni. Al suo posto, il ministro degli interni Noureddine Bedoui che, a differenza del nuovo vice primo ministro Ratmane Lamamra, non appartiene alla cerchia ristretta di Bouteflika.
A prendere parola ieri è stato anche l’esperto diplomatico Lakhdar Brahimi, una figura che piace all’esercito in quanto ritenuto garante della stabilità. “La voce del popolo è stata ascoltata” – ha detto alla tv di stato l’ex ministro degli esteri e inviato speciale dell’Onu – I giovani che hanno sfilato per le strade hanno agito con responsabilità e hanno dato una buona immagine del Paese. Dobbiamo trasformare questa crisi in un processo costruttivo”.
Bisogna capire però come ora i militari si muoveranno. Secondo alcune fonti politiche, l’esercito starebbe cercando di vagliare tre o quattro figure civili che potrebbero essere i nuovi leader del Paese. Una di queste può essere lo stesso Brahimi, vecchio amico di Bouteflika e un diplomatico molto apprezzato all’estero. L’obiettivo ieri di Bouteflika – in realtà di chi, tra i militari e l’alta borghesia, realmente muove le fila del Paese – è comunque palese: calmare la piazza ed evitare di esacerbare le tensioni. Le rivolte arabe del 2011 con i loro bagni di sangue preoccupano non pochi in Algeria. Proprio la paura che si possa arrivare a un conflitto doloroso interno come accaduto in altri stati arabi sarà spesso ricordato in questa fase di transizione: del resto proprio i fantasmi del decennio sanguinoso della guerra civile algerina degli anni Novanta sono stati spesso sbandierati dal regime per mettere a tacere qualunque voce di dissenso e per giustificare la presenza dell’uomo buono per tutte le stagioni: l’eterno Abdelaziz Bouteflika.
Resta però soprattutto da capire cosa farà ora il variegato movimento di protesta. I tanti scesi in strada ieri facevano con le mani il segno “V” di vittoria, ma non erano in pochi coloro che esprimevano il desiderio di rovesciare totalmente il sistema ritenuto responsabile della crisi economica vissuta dal Paese. Perché chi è sceso in piazza è andato non solo per avere “maggiore democrazia”, come ripete gran parte della stampa occidentale. Non solo perché Bouteflika era incapace di governare, ma – e forse soprattutto – perché più di un quarto di algerini sotto i 30 anni è disoccupato. Chi è sceso a protestare sarà stato anche assetato di democrazia, un’immagine abusata che ritorna spesso nei racconti dei media, ma è soprattutto affamato nel vero senso del termine e lotta per una maggiore “giustizia sociale”.
Nel frattempo che abbia inizio il nuovo percorso politico, giunge dall’ex potenza coloniale francese il plauso per l’annuncio di ieri di Bouteflika. “La Francia esprime la sua speranza che una nuova dinamica che risponda alle aspirazioni degli algerini possa iniziare velocemente” ha detto il ministro degli esteri Jean-Yves Le Drian.
Il regime algerino si avvia verso un futuro pieno di incognite. Al momento per salvarsi ha dovuto immolare politicamente il vecchio leader algerino a cui gli va riconosciuto il merito di essere stato capace di aver dato vita ad un “processo di riconciliazione nazionale” dopo gli anni brutali di guerra civile. Ma nessuna pace sociale può reggere senza diritti, lavoro e dignità sociale.