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YEMEN. Governativi e Houthi accettano di lasciare Hodeidah

18 febbraio 2019, Nena News
A due mesi e mezzo dal negoziato svedese, entra in vigore la fase 1: le due parti si ritireranno dalla città portuale. Ora tocca alla fase 2, il ridispiegamento. Intanto i Lord inglesi condannano Londra per la vendita di armi ai Saud e Abu Dhabi acquista nuovi armamenti.

A due mesi e mezzo dal round negoziale in Svezia tra ribelli Houthi e governo yemenita, le due parti hanno raggiunto un accordo ieri sulla città di Hodeidah: si ritireranno lasciano il controllo della città portuale sul Mar Rosso alle Nazioni Unite. Lo ha annunciato l’Onu, definendo l’accordo la prima fase del ridispiegamento congiunto delle forze armate. 
L’intesa prevede il ritiro del movimento Houthi dal porto di Hodeidah e dai porti di Saleef e Ras Isa e quello delle forze governative e pro-governative dalle periferie dalla città. L’accordo arriva a due mesi esatti dal cessate il fuoco siglato il 18 dicembre scorso. Una tregua per lo più rispettata, rotta da alcuni scontri tra le due parti ma mai degenerate in un nuovo conflitto.
La popolazione torna a respirare. Hodeidah ha un’importanza fondamentale per i civili: secondo porto del paese dopo Aden, è il primo punto di accesso degli aiuti umanitari in arrivo in Yemen. Circa il 70% degli aiuti entra dal porto di Hodeidah, aiuti comunque insufficienti a far fronte alla più dura crisi umanitaria della regione: il blocco imposto dai Saud via terra e via aria impedisce l’arrivo sistematico dei cargo delle Nazioni Unite e delle organizzazioni internazionali. Quello che entra non basta a una popolazione di 28 milioni di persone, di cui l’80% sopravvive solo grazie agli aiuti esterni.
Ora si apre la fase 2, spiega l’Onu, ovvero l’intero ridispiegamento delle forze armate delle due parti nella provincia di Hodeidah. I combattenti dovrebbero essere posti sotto il controllo delle Nazioni Unite. Non sono però stati dati dettagli sulla demilitarizzazione e il ridispiegamento, sicuramente la questione più delicata perché modificherà gli equilibri di forza attuali sulla città portuale. Allo stesso tempo, potrebbe segnare il primo concreto passo per un dialogo politico reale.
Al momento, nell’immediato, la priorità è l’emergenza umanitaria ormai cronica. La scorsa settimana il World Food Programme ha spiegato come i quattro anni di operazione a guida saudita contro lo Yemen abbia spinto i due terzi dei civili a livelli di pre-carestia e un terzo in condizioni di estrema vulnerabilità. “Circa l’80% della popolazione, 24 milioni di persone, richiede una qualche forma di assistenza umanitaria o di protezione – ha scritto l’agenzia Onu Ocha – Tra loro 14,3 milioni di persone hanno un bisogno immediato”.
In tale contesto, però, i paesi che hanno voluto la guerra e l’ha conducono dal marzo 2015 al di fuori della legalità internazionale continuano ad armarsi. Ad Abu Dhabi, alla fiera militare in corso, gli Emirati Arabi hanno siglato contratti di acquisto di armi per un valore totale di 1,3 miliardi di dollari. Tra i prodotti messi in mostra alla fiera anche molti armamenti già impiegati in Yemen, armi automatiche, carri armati, veicoli blindati. Abu Dhabi ha poi firmato un accordo di vendita da 335 milioni di dollari con la statunitense Raytheon Co. of Waltham per missili Patriot terra-aria.
Ma c’è anche una buona notizia: la scorsa settimana la commissione per le relazioni internazionali dalla Camera dei Lord britannica ha duramente condannato in un rapporto la vendita di armi da parte di Londra all’Arabia Saudita. Per la prima volta l’esportazione militare verso Riyadh viene definita “illegale” e il governo è accusato di non aver mai condotto un’indagine indipendente sull’uso che di quelle armi viene fatto in Yemen, in stragi di civili e distruzione di infrastrutture, scuole, cliniche, case. Londra, si legge nel rapporto, si è limitato a prendere per buone le dichiarazioni unilaterali dei Saud.