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SUDAN. Continuano le proteste anti al-Bashir

13 febbraio 2019, Nena News
Almeno 14 docenti sono stati arrestati ieri mentre marciavano nel centro della capitale chiedendo le dimissioni del presidente.

Ma a pagare un prezzo alto della repressione di Khartoum sono anche le donne, in prima fila nelle manifestazioni contro il trentennale regime sudanese.
Continuano le proteste in Sudan. Ieri le forze di sicurezze hanno arrestato più di una dozzina di professori dell’università di Khartoum che stavano protestando contro il governo sudanese. I docenti, che hanno sfilato nel centro della capitale, avevano in mano alcuni cartelli su cui era scritto: “La soluzione per il presidente [al-Bashir] sono le dimissioni”.
Una critica inaccettabile per il regime sudanese che è subito passato all’azione con il suo apparato repressivo. “Quattordici professori, 8 dell’università di Khartoum e sei di altre università, si stavano recando al sit-in [di protesta] quando gli agenti li hanno arrestati” ha raccontato all’Afp il docente Mamdouh Mohammed Hassan. Secondo il portale al-Araby al-Jadeed, però, i fermati di ieri sarebbero 19 e non 14.
Da quando sono scoppiate le proteste lo scorso 19 dicembre, almeno 1.000 persone sono state arrestate dalle autorità sudanesi (tra questi, oltre ai dissidenti politici, vi sono anche giornalisti). Le organizzazioni per i diritti umani denunciano l’uccisione di più di 51 dimostranti, mentre Khartoum abbassa il numero delle vittime a 30.
Incalzato dalle piazze, il presidente-dittatore Bashir è stato costretto a riconoscere le difficoltà economiche che affrontano molti sudanesi, ma ha anche ribadito in più circostanze che non si dimetterà perché, afferma, l’unico cambiamento politico può arrivare attraverso le urne elettorali. Poi, come da prassi di ogni regime che si rispetti, ha accusato non meglio imprecisate “forze straniere” per il “caos” che stanno portando nel Paese. Tuttavia, a differenza delle prime settimane dove aveva usato un pugno durissimo contro i dissidenti, recentemente ha adottato un tono relativamente e apparentemente più conciliante con i dissidenti, arrivando a parlare anche di una liberazione per i detenuti politici.
Promesse che non convincono affatto i manifestanti che continuano a scendere nelle piazze a gridare la fine del suo regime trentennale incuranti della repressione governativa. Domenica centinaia di manifestanti che marciavano verso la prigione femminile a Omdurman sono stati dispersi dai gas lacrimogeni sparati dalla polizia locale. I dimostranti chiedevano il rilascio delle donne arrestate durante le proteste di questi mesi. “Siamo combattenti, completeremo la nostra missione” hanno detto alcuni di loro all’Afp. La manifestazione era stata indetta ancora una volta dall’Associazione dei professionisti sudanesi (Spa), un organismo formato da dottori, ingegneri e insegnanti che è in prima linea nelle proteste anti al-Bashir.
Ma in piazza non ci sono solo uomini. Contrariamente a un’idea orientalista tipicamente occidentale che descrive le arabe musulmane soltanto come protettrici del focolare domestico, le proteste di questi mesi registrano invece una grande partecipazione di donne. “Le donne guidano il movimento di protesta” ha sintetizzato all’Afp una di loro. “La Spa – ha aggiunto – ha convocato la marcia in onore delle detenute e questo ci ispirerà a continuare finché non avremo avuto successo”. Secondo i dissidenti, proprio le donne sono le principali vittime delle forze di sicurezze: la loro criminalizzazione passa innanzitutto dall’accusa infamante di indossare “vestiti indecenti” e di avere un “comportamento immorale”.
Al-Bashir per ora è saldo al potere consapevole che, per quanto quotidiane, le proteste finora scalfiscono soltanto la sua autorità. Ciò anche grazie al sostegno che riceve dal mondo arabo (a partire dall’Arabia Saudita) e dalla complicità dell’Occidente che, a differenza di quanto accade in Venezuela dove appoggia un golpe illegittimo, qui non pare affatto interessato al “rispetto dei diritti umani” così tanto però declamato invece nel Paese sudamericano. Tuttavia, il movimento dal basso di protesta finora pare non cedere, rappresentando forse la più grave minaccia alla sua autorità da quando è salito al potere.