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Nella Siria del Nord, una comunità si prepara alla guerra contro la Turchia

Sylvain Mercadier 27 febbraio 2019
Tra le minacce di Ankara, non solo i combattenti ma anche i civili curdi sono impegnati ad allenarsi nell’uso di armi e a costruire difese.

Un gruppo di donne volontarie dell’organizzazione HPC-Jin (Forze della Difesa Civile – Donne) si sta incontrando con altre donne della comunità e sta loro fornendo un addestramento di base, mostrandogli come montare e smontare un AK-47, e come usare una mitragliatrice in modo sicuro.
Una ad una, le donne eseguono l’esercizio, che viene generalmente seguito da un addestramento di campo. “Ci sono 40 membri del HPC-Jin in quest’area, e hanno già addestrato circa 700 donne a difendersi in caso di un attacco turco”, spiega Hediye Ahmed Abdallah, capo dell’unità locale.
La squadra di Abdallah fa parte di molte iniziative locali che stanno addestrando i civili nella Federazione Democratica della Siria del Nord, un’autoproclamata regione autonoma che viene anche chiamata Rojava. Minacce di invasione da parte dell’esercito turco e dei suoi combattenti delegati dall’opposizione siriana sono state il motivo della nascita di queste iniziative. A dicembre, il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha scioccato molti dei suoi alleati annunciando che aveva intenzione di ritirare circa 2000 truppe statunitensi dalla Siria, dove avevano intrapreso una campagna a favore delle Forze Democratiche Siriane (SDF) guidate dai curdi, il ramo militare della Federazione del Nord, nella lotta contro il gruppo Stato Islamico (IS).
La Turchia per molto tempo ha promosso un’operazione a est del fiume Eufrate contro l’Unità di Protezione Popolare (YPG) e l’Unità di Protezione delle Donne (YPJ) del popolo curdo, i maggiori componenti delle SDF, e l’annuncio di Trump sembrava rimuovere ogni ostacolo alla missione.
Ora, non sono solo i combattenti a prepararsi alla battaglia, ma anche i civili curdi sono determinati a combattere, impegnandosi nell’addestramento alle armi e costruendo linee di difesa.
‘Operazioni scudo umano’
La Turchia dice di voler fissare una “zona sicura” nel nord-est della Siria, con supporto logistico da parte degli alleati dopo il ritiro delle truppe statunitensi. Ankara dice che questa zona dovrebbe essere liberata dalle YPG e YPJ. L’amministrazione turca accusa i due gruppi di essere un’estensione del Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK), che considera un’organizzazione terroristica e che ha giurato di sradicare. Il presidente Recep Tayyip Erdogan denuncia regolarmente i gruppi e martedì ha criticato gli alleati della NATO per il loro supporto continuo alla YPG in Siria.
“Che genere di alleanza NATO è questa?” ha chiesto Erdogan, parlando durante un comizio della campagna elettorale nel sud-ovest della Turchia. “Date ai terroristi circa 23000 carichi di armi e attrezzi per l’Iraq ma quando li abbiamo chiesti noi, non ce li avete nemmeno venduti”.
Mentre le truppe turche hanno cominciato ad ammassarsi ai confini dei diversi distretti della Federazione in seguito all’annuncio di Trump, la popolazione siriana locale ha reagito rapidamente organizzando sui vari fronti proteste non violente come forma di ribellione. “Queste operazioni a scudo umano sono più una forma di dimostrazione dove le persone esprimono il loro supporto totale alle istituzioni e alle SDF che li rappresentano”, dice Mahmoud Kordo, un membro del Partito del Futuro della Siria, un partito locale fondato lo scorso anno.
“Le persone sono fortemente mobilitate e faranno di tutto per difendere la loro terra”. Kordo ha organizzato alcune di queste proteste di confine a Tell Abyad e ha incoraggiato la comunità locale a fare sfoggio di determinazione.
L’eredità di Kobane e Afrin
Nella Siria del Nord, l’alto livello di mobilitazione ha permesso alle milizie locali di godere del forte supporto da parte della popolazione locale, che spesso combatte al loro fianco.
“La battaglia di Kobane è stata molto importante per noi” dice Abdallah.
“Inizialmente, Abdullah Ocalan [il leader incarcerato del PKK] ci aveva criticati per non essere abbastanza preparati, il che ha permesso ai terroristi di entrare nella città.
“La guerra ad Afrin è stata anche un’esperienza molto importante per noi. Lì, avevamo unità di autodifesa che combattevano a fianco delle YPG-YPJ.
L’assedio di Kobane, una città della Siria a maggioranza curda, fu posto dall’IS a settembre 2014 e dal mese seguente i suoi combattenti erano riusciti a conquistare 350 villaggi e paesi curdi nelle vicinanze della città. A gennaio 2015, la YPG e i suoi alleati, aiutati da continuati attacchi aerei guidati dagli Stati Uniti, ripresero la città, in un’offensiva che fu considerata un punto di svolta nella guerra contro l’IS.
Afrin, un’altra città in Siria a maggioranza curda, fu sottratta dall’esercito turco alle forze delle YPG e YPJ a marzo 2018. “Oggi, organizziamo linee di difesa come tunnel e trincee. L’addestramento militare impedirà alle nostre donne di cadere nelle mani degli islamisti che sono alleati con la Turchia e di essere vendute come schiave”, dice Abdallah.
“Non sono solo le donne dell’unità di autodifesa a dover essere preparate, ma ogni singola donna nella società”.
‘Le nostre armi sono anche le nostre penne’
Il ricordo di quello che è successo a Kobane e Afrin sembra essere nella memoria di tutti.
“A Kobane ci sono stati dei massacri. Circa 420 persone sono state massacrate dai terroristi dello Stato Islamico perché non sapevano difendersi”, dice Mahmoud A, un rappresentante degli studenti dell’Università di Kobane.
“Gran parte di coloro che hanno imparato a usare le armi sono ancora vivi oggi”.
Anche in quelle istituzioni, l’addestramento militare di base ha preso posto. Gli studenti hanno organizzato eventi e dimostrazioni. In un’occasione, hanno invitato i membri dell’amministrazione locale a dare aggiornamenti sulla situazione.
Shaho Hassan (co-capo del PYD), Aldar Khalil (funzionario degli relazioni internazionali del TEV-DEM) e Abdelkarim Omar (co-capo dell’ufficio delle relazioni internazionali dell’autoamministrazione) sono venuti tutti a rispondere alle domande degli studenti all’Università del Rojava (RU), che si trova a Qamishli.
“Ci sono 1000 studenti nella nostra università. Tra questi, 200 sono rifugiati che vengono da Afrin, dove l’università ha dovuto chiudere a causa dell’invasione della Turchia l’anno scorso”, dice Massoud Mohammad, un ingegnere informatico, professore e co-presidente della RU.
“A partire dalle minacce di Erdogan di questi ultimi mesi, ci sono state molta paura e confusione all’interno della società. Poi le persone ci si sono abituate.
“Ora, molti studenti sono fortemente mobilitati e si sono sottoposti all’addestramento miliare fornito dalla YPG all’interno dell’università.
“La RU è parte della società e tutti noi stiamo prendendo parte a questa rivoluzione.
“Qualsiasi attacco contro la nostra regione richiede una risposta da parte nostra. Abbiamo organizzato molte attività per contrastare le minacce turche”, aggiunge Mohammad.
Mahmoud A dice: “L’imminente pericolo di una guerra è stato molto deleterio per gli studenti. Alcuni sono spaventati. Altri non riescono a concentrarsi sugli studi e abbandonano i corsi.
“Nonostante molti si siano impegnanti nell’addestramento militare, alcuni vogliono combattere con le parole. Le nostri armi sono anche le nostre penne”.
Addestramento medico
Un’altra forma di mobilitazione non violenta è il programma di assistenza medica di primo soccorso che è stata organizzata per insegnare ai civili a curare i feriti.
Tra i volontari, alcuni attivisti internazionali sono intervenuti e hanno dato istruzioni alla popolazione locale su come salvare vite durante il combattimento.
“Alcuni attivisti internazionali sono diventati parte delle unità militari, ma io volevo impegnarmi in attività non violente perciò ho preso parte all’addestramento di assistenza medica di primo soccorso all’ospedale di Hassakeh”, dice Mateo, un volontario internazionale che viene dall’Europa e che si è unito alla Federazione del Nord lo scorso anno.
“Ora insegno ai civili a fermare il sanguinamento dei feriti, a tenere un arto fratturato e a muovere una persona ferita senza causare ulteriore danno.
“Addestriamo fino a dieci volontari al giorno in ogni città”.
Anche le organizzazioni locali come il Movimento dei Giovani (YM) hanno svolto un ruolo chiave nella preparazione alla guerra.
Molti membri dello YM hanno preso parte alla costruzione di sistemi di difesa, come lo scavo delle trincee e dei tunnel in diverse città.
“Lo YM è presente in ogni città della Siria del Nord. È un mix di arabi e curdi e anche di altre minoranze della zona. Organizzano addestramento militare e ideologico per giovani donne e uomini”, spiega Mateo.
“Hanno orchestrato diverse dimostrazioni a fianco delle azioni civili e politiche per mobilitare il maggior numero di persone possibile per l’imminente confronto con l’esercito turco e i suoi delegati”.
‘Combattenti impavidi’
Se prima o poi il ritiro delle forze statunitensi e degli altri membri della coalizione contro l’IS accadrà, i curdi in Siria e i loro alleati si confronteranno con l’esercito turco e i suoi delegati un’altra volta, la prima da quando la Turchia ha preso il controllo di Afrin.
Mohammad spera che la partecipazione regionale contribuirà a trovare un accordo che eviti un bagno di sangue.
“Se Erdogan avrà l’opportunità di attaccare, lo farà. Ma molte cose possono entrare in gioco in questa offensiva, come la Russia o gli Stati Uniti che possono tracciare linee rosse”, dice.
“In più, le SDF non sono isolate come lo erano le YPG ad Afrin. Sarà una guerra difficile per la Turchia”.
Nella Siria del Nord, i curdi sentono che la forte ideologia derivata dalla filosofia di Ocalan ha creato una relazione quasi organica tra le parti della comunità e la sua istituzione.
“Questa ideologia ci permette di guidare una battaglia popolare nella nostra società”, dice Abdallah.
“Quando i combattenti sono al fronte, devono sapere che l’intera società li sta supportando. È molto importante per la morale…
“Quando l’esercito turco invaderà, scenderemo in strada con le armi e combatteremo, ognuno secondo le proprie capacità contribuirà alla battaglia.
“Siamo preparati. Abbiamo creato comitati in tutti i settori della società. I tunnel e i bunker sono pronti per contrastare gli attacchi aerei. Le provviste di cibo e medicinali sono state sistemate.
“Sarà una guerra esistenziale… Non abbiamo paura di morire. Succede solo una volta e noi non moriremo senza onore”, dice Abdallah.
“Nella nostra cultura, festeggiamo quando un martire cade. Non piangiamo quell’uomo o quella donna. È un onore diventare martiri per aver difeso la comunità”, dice Kordo.
“Se la Turchia verrà, avranno a che fare con i combattenti più impavidi mai visti”.