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LIBANO. Nuovo governo targato Hezbollah

Michele Giorgio 2 febbraio 2019
ANALISI Il premier sunnita Saad Hariri guiderà un esecutivo di unità nazionale formato da trenta ministri e, di fatto, controllato dal movimento sciita alleato di Siria e Iran e nemico di Israele e Stati uniti.

«Mettiamoci al lavoro» ha esortato con un tweet l’altra sera Saad Hariri poco dopo l’annuncio della nascita del nuovo governo libanese dopo quasi nove mesi di trattative salutata dai fuochi di artificio che hanno illuminato la notte di Beirut. E di lavoro da fare ne avranno parecchio il primo ministro sunnita e i suoi 30 ministri. I problemi sono enormi, a partire dal disastro economico e finanziario del paese. Hariri in queste ore si mostra soddisfatto ma ha dovuto mandare giù due rospi segno della sua crescente debolezza. Il primo è politico. Dopo aver puntato per i piedi per mesi ha dovuto accettare la nomina di un ministro fuori dai ranghi del suo partito sunnita. Si tratta di Hasan Mrad del gruppo parlamentare sunnita indipendente vicino allo schieramento “8 Marzo” guidato dal movimento sciita Hezbollah alleato di Damasco e Tehran. Il secondo è la chiusura del quotidiano al Mustaqbal, di proprietà della sua famiglia. Una chiusura figlia della forte riduzione dei finanziamenti che Hariri riceve dall’Arabia saudita. Riyadh lo ha scaricato.
Le elezioni dello scorso maggio hanno ridimensionato la coalizione capeggiata, con crescente difficoltà, da Hariri, il fronte “14 Marzo”. Il nuovo governo è, più o meno, lo specchio del successo dello schieramento di Hezbollah. Non a caso l’Iran si è rallegrato per la nascita di un esecutivo libanese ben diverso da quello che desideravano l’Arabia saudita e l’Amministrazione Trump. Il movimento sciita comunque ha tenuto conto della particolarità del sistema politico e istituzionale del paese dei cedri, volto ad equilibrare il peso delle varie comunità religiose e a favorire la sempre precaria unità nazionale. Riconfermando la formula dell’esecutivo di consenso nazionale, ha lasciato agli alleati cristiani della Corrente dei liberi patrioti, il partito del capo dello stato Michel Aoun, la fetta più grande della torta. Ben 10 ministeri. Hezbollah ne avrà tre (come l’altro partito sciita Amal) tra cui quello della salute, il quarto per budget.
Si tratta di una scelta strategica. Questo ministero renderà arduo se non impossibile per i donatori internazionali boicottare Hezbollah così come vorrebbero gli Stati uniti che nell’ultimo anno hanno varato una raffica di sanzioni contro il movimento sciita perché alleato di Siria e Iran e nemico di Israele. Non solo. «Il ministero della salute è uno di quelli che consentono di distribuire servizi agli elettori e di generare consenso», spiega Karim Bitar dell’Institute for International and Strategic Affairs. Hezbollah in questo modo potrà aggirare almeno in parte le conseguenze delle sanzioni Usa volte a colpire le sue risorse finanziarie usate anche per l’assistenza ai settori più poveri della comunità sciita (e non solo) libanese.
Non si prevedono scossoni politici interni. I pericoli più concreti per il Libano restano quelli esterni. Una nuova devastante offensiva militare israeliana e le sanzioni Usa contro Hezbollah che di riflesso colpiranno tutta l’economia libanese già in una fase di grande fragilità. Il Libano ha un debito pubblico di 80 miliardi di dollari, il 141% del Pil nel 2018. La sua crescita che viaggiava intorno al 9% negli ultimi due anni prima dell’inizio, nel 2011, della guerra nella confinante Siria, è crollata all’1%. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 36%.
Il nuovo governo è chiamato a varare profonde riforme e un piano di tagli di spesa e di risanamento dei conti che, come sempre in questi casi, pagheranno i settori più deboli della popolazione. L’obiettivo immediato del premier Hariri sarà ottenere i 9,5 miliardi di euro promessi dai paesi donatori quasi un anno fa alla conferenza Cedre a Parigi. E saranno importanti per le casse nazionali i 500 milioni di euro messi a disposizione dal Qatar avversario dell’Arabia saudita che mira ad unirsi ai tanti paesi, occidentali e mediorientali, che con le loro imposizioni condizionano la vita del Libano.