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La Turchia attacca la Cina: “I lager degli uiguri una vergogna per l’umanità, chiudeteli”

Umberto De Giovannangeli 10/02/2019
A innescare lo scontro è la notizia della morte nel campo di detenzione un noto musicista appartenente alla minoranza uigura, Abdurehim Heyit.

Una “vergogna per l’umanità”. È scontro aperto tra Turchia e Cina sulla repressione messa in atto da Pechino contro la minoranza turco-musulmana degli uiguri. In una dichiarazione rilasciata sabato 9 febbraio, il portavoce del ministero degli Esteri turco Hami Aksoy ha denunciato che la Cina ha arbitrariamente internato più di un milione di uiguri. Un j’accuse pesantissimo. Il portavoce della diplomazia di Ankara ha affermato che la popolazione musulmana turca ha subito pressioni e “assimilazione sistematica” nella Cina occidentale. “Non è più un segreto che più di un milione di turchi uiguri, che sono esposti ad arresti arbitrari, siano sottoposti a torture e lavaggio del cervello politico nei centri di concentrazione e nelle carceri”, ha detto Aksoy. “Invitiamo le autorità cinesi a rispettare i diritti umani fondamentali dei turchi uiguri e a chiudere i campi di concentramento”.
A innescare lo scontro è la notizia della morte nel campo di detenzione un noto musicista appartenente alla minoranza uigura, Abdurehim Heyit. Era stato condannato a otto anni di “riabilitazione” nel campo di concentramento. La regione cinese dello Xinjiang ospita circa 10 milioni di uiguri. Il gruppo turco-musulmano, che rappresenta circa il 45% della popolazione dello Xinjiang, ha a lungo accusato le autorità cinesi di discriminazioni culturali, religiose ed economiche. Lo Xinjiang, teatro di violente tensioni interetniche e di attentati prima di essere posta negli ultimi anni sotto strettissima vigilanza di polizia. Sino a un milione di musulmani sarebbero tenuti nei centri di rieducazione politica, de facto dei campi di internamento, secondo diverse Ong per i diritti umani.
Il giro di vite della Cina contro gli uiguri ha fatto notizia in tutto il mondo. Nell’agosto dello scorso anno, un gruppo di esperti delle Nazioni Unite ha dichiarato di aver ricevuto rapporti credibili sul fatto che oltre un milione di uiguri e altre minoranze linguistiche turche si trovavano nei cosiddetti “campi di rieducazione” dove sono costretti a rinunciare all’Islam. A presentare il rapporto che accusa Pechino è stata l’americana Gay McDougall, vice presidente del comitato e tra i maggiori esperti al mondo di diritti delle minoranze; la delegazione statunitense alle Nazioni Unite ha già chiesto alla Cina di liberare i cittadini detenuti in maniera arbitraria. Secondo il rapporto Onu, lo Xinjiang, è diventato “un enorme campo di internamento avvolto dal segreto”, una “zona senza diritti”. Una pratica che non ha soluzione di continuità. Il territorio dello Xinjiang è stato militarizzato e messo sotto il controllo di un apparato di sorveglianza di massa che comprende telecamere, software spia nei cellulari e schedatura dei cittadini attraverso il prelievo di campioni biologici. La libertà di culto è stata limitata, mentre il numero di arresti è cresciuto a dismisura: l’anno scorso il 21% di tutte le detenzioni in Cina è stato registrato qui, dove vive meno dell’1,5% della popolazione del Paese. I festeggiamenti in corso per il nuovo anno lunare sarebbero utilizzati dai funzionari governativi dello Xinjiang, per costringere i musulmani della regione a mangiare carne di maiale e a bere alcolici, proibiti dall’islam. Un comportamento che rientra nella politica governativa mirante a indebolire le radici musulmane della popolazione.
A quanto riferisce Radio Free Asia (RFA), abitanti della prefettura autonoma di Ili Kazakh sono stati invitati a festeggiamenti per celebrare il nuovo anno, con la minaccia di essere condotti nei campi di rieducazione se non avessero partecipato. L’emittente aggiunge che un testimone avrebbe riferito che “già l’anno scorso, abitanti di origine kazaka dello Xinjiang, che in quanto musulmani non mangiano carne di maiale, sono stati costretti a farlo per celebrare una festività appartenente ai cinesi Han”. Funzionari hanno consegnato carne di maiale direttamente alle famiglie musulmane e hanno insistito perché decorazioni tradizionali cinesi per il nuovo anno fossero esposte all’esterno delle case. E civili di origine Han sarebbero stati inviati a festeggiare con famiglie musulmane per sorvegliarle, nell’ambito di un piano di Pechino per “mettere in ombra” l’Islam entro quattro anni. Lo scorso ottobre è stato anche riferito che funzionari della capitale dello Xinjiang, Urumqi, avevano lanciato una campagna contro i prodotti halal. Dal 2017 nelle scuole è anche vietato l’insegnamento della lingua uigura. Nell’ottobre scorso, la regione autonoma dello Xinjiang ha compiuto una revisione della sua legislazione per permettere ai governi locali di poter “educare e trasformare” persone influenzate dal “terrorismo” attraverso “centri di addestramento professionale” che in realtà non sono altro che campi di rieducazione forzata. Ex detenuti hanno affermato di essere stati costretti a consumare carne di maiale e alcol mentre erano all’interno. Pechino nega che gli uiguri siano trattenuti contro la loro volontà e afferma che si tratta di strutture di formazione professionale “volontaria”, progettate per fornire formazione professionale e per eliminare le tendenze “estremiste”. La Cina ha intensificato un giro di vite sulla sicurezza degli uiguri che è stato messo in atto dopo una sanguinosa rivolta del 2009. Il mese scorso, la Cina ha approvato una legge per “sinicizzare” l’Islam e renderlo “compatibile con il socialismo” entro i prossimi cinque anni.
Ci sono stati diversi momenti in cui la Cina ha provato a togliere ossigeno ai milioni di uiguri che vivono da sempre nello Xinjiang, “Nuova Frontiera”, la regione che confina, tra gli altri, con Russia, Kazakistan, Afghanistan, Pakistan e India Con il processo di sinizzazione messo in atto sin dal 1949, nel corso degli anni i cinesi han (gruppo etnico maggioritario) sono passati dal 6% all’attuale 40 per cento. In tempi recenti, scontri violenti tra le popolazioni delle due etnie ci sono stati nel 2009, a seguito della decisione, da parte della autorità cinese, di radere al suolo il centro storico della città di Kashgar, abitata soprattutto da uiguri. L’educazione e l’addestramento li faranno diventare “persone moderne”, utili alla società”, ha scritto il giornale ufficiale Xinnjiang Daily. Da qualche tempo però all’educazione e all’addestramento il governo ha deciso di aggiungere una terza attività: il lavoro.
Lavoro forzato come riportato dal New York Times, infatti, vicino o all’interno dei campi stanno nascendo delle fabbriche dove agli uiguri viene chiesto di lavorare gratis o quasi. Abil Amantai, 37 anni, rinchiuso in un campo un anno fa, ha rivelato ai suoi genitori che ora deve lavorare in uno stabilimento tessile a 95 dollari al mese (contro uno stipendio medio di circa 700 dollari). Secondo un piano redatto ad agosto dal governo locale, l’area di Kashgar, nel sud della provincia, mira a inviare a lavorare nelle fabbriche 100 mila uiguri incarcerati. È il ritorno dichiarato a quei “campi di rieducazione attraverso il lavoro” formalmente aboliti cinque anni fa (nella pratica hanno sempre continuato a esistere).
L’obiettivo finale dell’operazione, dice il New York Times, è la cancellazione dell’identità uigura. Il lavoro forzato è stato promosso da pochi mesi ma Serikzhan Bilash, fondatore del Atajurt Kazakh Human Rights, organizzazione che aiuta i kazaki scappati dal Xinjiang, ha già parlato con i parenti di 10 internati, secondo i quali dopo l’indottrinamento il lavoro nelle fabbriche è obbligatorio. Si tratta soprattutto di imprese tessili e “gli uiguri non hanno scelta”. I prodotti del lavoro forzato potrebbero anche essere esportati, come dimostra il caso dell’azienda Hetian Taida, che si occupa di abbigliamento sportivo e che rifornisce l’azienda americana Badger Sportswear. La compagnia cinese è tra quelle indicate in un servizio della tv di Stato dove gli uiguri vengono inviati a lavorare. Un recente rapporto di 117 pagine pubblicato da Human rights watch, una delle principali organizzazioni che difendono i diritti umani nel mondo, fornisce una testimonianza preoccupante su quello che sta succedendo nello Xinjiang.
Secondo il rapporto, che conferma notizie arrivate in precedenza, circa un milione di uiguri è attualmente rinchiuso in campi di rieducazione e sottoposto a un pesante indottrinamento. HRW sostiene che alcune persone subiscano l’equivalente di torture. Alcune testimonianze riferiscono anche che i musulmani sono costretti a mangiare maiale per dimostrare di non essere estremisti islamici. Alcune persone hanno passato solo pochi giorni nei campi di rieducazione, altre ci sono rimaste per mesi e altre ancora per più di un anno, il tutto dopo che un dirigente del Partito comunista dello Xinjiang ha promosso una dura campagna di “recupero”. In alcune famiglie, si legge nel rapporto, tutti gli uomini sono stati trasferiti nei campi di rieducazione. Questo confermerebbe alcuni resoconti secondo cui in interi quartieri o villaggi non si vedono più uomini. “La radicalizzazione di una parte della popolazione è incontestabile – annota Pierre Haski in un articolo su France Inter pubblicato da Internazionale – e le autorità cinesi la usano per giustificarsi davanti a chi denuncia la loro politica. “Non vogliamo diventare un’altra Siria”, scrive il Global Times, un quotidiano vicino al governo di Pechino. Ma davvero una repressione cieca contro un’intera comunità potrà proteggere la Cina dalla violenza e dal terrorismo? Quello che succede in altre parti del mondo porta a pensare che sia vero il contrario, e che Pechino stia favorendo la radicalizzazione. La Cina – sottolinea Haski – rivendica il suo ruolo di potenza di primo piano nel mondo, in considerazione della sua storia e della sua importanza. Ma come pensa di ottenere il rispetto generale se ripeterà i peggiori eccessi della sua storia recente? La sofferenza degli uiguri non è degna della potenza emergente del ventunesimo secolo”.