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Il muro di Berlino è caduto, ma ne restano in piedi altri 77. L’ultimo è qui, nel Sahel

24 Febbraio 2019
Quando quello di Berlino cadeva a pezzi, per i collezionisti erano giusto 15.

Alla fine della seconda guerra mondiale i muri recensiti erano appena sette. Dal 1989 ai nostri giorni i muri ufficiali sono, secondo la geografa Elisabeth Vallet, almeno 77. Un numero già surclassato in conseguenza dei prossimi avvenimenti nelle geopolitiche mondiali. Quello di Donald Trump, ai confini del Messico, non è che l’epilogo di una lunga storia iniziata prima di lui. I muri sono simboli che organizzano a loro maniera il tipo di mondo che si vorrebbe abitare.

Compatibili, incompatibili e soprattutto scartati. A questo serve l’edificazione dei muri, i cui mattoni sono aggiunti da volenterosi operatori di divisioni di classi e di mondi. I materiali di costruzione dei muri sono i più disparati e rispecchiano insieme continuità e innovazione. Da muri elettronici con sensori a quelli di filo spinato, ormai un classico da manuale, al cemento, alla sabbia, al mare, al cartone e alle parole. Questi materiali e altri, più o meno nobili, sono all’opera per congiungere fantasia e spietatezza al messaggio che si vuole veicolare a cittadini impauriti da mezzi di comunicazione assoldati dal potere. Sono passati 40 anni dal celebre pezzo eseguito dai Pink Floyd, Another brick in the wall, un altro mattone nel muro. Quarant’anni di esseri umani scartati perché incompatibili col mondo che verrà.
Di quello di Berlino si è detto sopra. Rubato e portato via a pezzi dipinti, è diventato il pegno dell’unione delle due Germanie nell’anno seguente, il 1990. A Guerra Fredda terminata sembrava che anche i muri diventassero come la Grande Muraglia cinese: reperti turistici e inutili cimiteri delle dinastie che si sono succedute nell’Impero di Mezzo. Quanto al muro di Trump non è che l’edizione, rivista e allungata, di quanto i suoi predecessori hanno iniziato fin dal 1990 con George Bush padre.
Tra India e Pakistan e Bangladesh ci sono centinaia di chilometri di filo spinato contro l’immigrazione e per ragioni di sicurezza di Stato. Quanto a Israele, terra promessa per qualcuno e di disperazione per altri, ha giustificato una serie di muri per la propria incolumità. Palestinesi e punti d’acqua da un lato e divieto di transito di migranti nel deserto del Sinai dall’altro. A Belfast, nell’Irlanda del Nord, il muro della pace separa cattolici e protestanti, unionisti e repubblicani, storie e tradizioni incompatibili. In Finlandia centinaia di chilometri di filo spinato impediscono la migrazione delle renne verso un altro regime politico. In Francia è a Calais che un muro protegge l’accesso al tunnel che congiunge il continente con il Regno Unito.
Il Marocco offre alla storia un vallo lungo centinaia di chilometri, con milioni di mine come segno di appropriazione di una parte del Sahara Occidentale. E la Spagna ha edificato barriere di muri e reti a protezione della sua sovranità su Ceuta e Melilla, entrambe in territorio marocchino. L’Arabia Saudita ha costruito centinaia di chilometri di muro al confine con l’Iraq e nell’isola di Cipro un muro separa il possedimento turco e quello greco. Tutti tra loro incompatibili, fino a formare un labirinto di chiodi.
Il muro numero 78 abbiamo il privilegio di possederlo nel Sahel. Invisibile e reale, pedina come un’ombra coloro che rifiutano di essere buttati tra gli scarti. Incompatibili col sistema di rapina del futuro e ostili ai crimini contro la storia si avventurano, come esodanti, sui confini armati del deserto che ne cancella le impronte. Un muro che si muove mano a mano che i migranti avanzano verso la terra altra, fino a costituire un mondo di esclusione. I “compatibili” si trovano per buona sorte dall’altra sponda, resi docili, come scrisse Etienne de la Boétie nel lontano 1576, da una vera e propria schiavitù volontaria.
Dello stesso muro numero 78 sono parte integrante le armi, i gruppi di mercenari e i grandi commercianti di droga che prosperano nel Sahel con l’avallo dei politici. L’incompatibilità dell’integrazione, nel mondo così concepito, trasforma soggetti liberi in scarti potenziali, per i quali si drizzano i muri mobili dei respingimenti al mittente via mare. Senza dare nell’occhio, gli incompatibili in seguito scartati scavano tunnel, gallerie, cunicoli e sentieri sotterranei da dove, irregolare, passa il mondo nuovo.