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SUDAN. In piazza contro al-Bashir anche gli accademici

7 gennaio 2018, Nena News
Continuano le proteste anti-governative nel Paese africano. Ieri circa 100 docenti sono stati bloccati per quasi 3 ore all’interno dell’università affinché non prendessero parte alle proteste contro il presidente sudanese. Tensione alta anche in altre aree del Paese.

Continuano le proteste nel Sudan contro il presidente Omar al-Bashir, così come continua la repressione delle autorità sudanesi: a circa 100 professori è stato ieri impedito di protestare fuori l’università di Khartoum. I docenti sono stati stati bloccati per quasi tre ore all’interno dell’edificio universitario. Peggio è capitato a otto di loro che sono stati invece arrestati. “Vogliamo che il presidente della repubblica si dimetta” recitava un cartello portato da un insegnante. Desiderio condiviso da tutti coloro che da oltre un mese scendono in piazza contro al-Bashir.
La tensione è stata altissima ieri anche in altre zone della capitale Khartoum: la polizia ha sparato gas lacrimogeni per disperdere i manifestanti che si stavano radunando per marciare alla volta del palazzo presidenziale al grido “Bashir dimettiti”. La protesta era stata convocata sabato dall’associazione dei professionisti sudanesi, che raggruppa dottori, insegnanti e ingegneri. Secondo quanto ha dichiarato un testimone all’Afp, lo stato di repressione che si vive ormai da settimane nel Paese è dimostrato dal fatto che “la polizia non permette ormai nemmeno il raduno di 10 persone”. Le proteste anti-governative, scoppiate lo scorso 19 dicembre dopo che il governo ha annunciato di aumentare il costo del pane, hanno provocato secondo fonti governative almeno 19 morti (tra di loro due poliziotti). Un numero però che non convince affatto Amnesty International che parla invece di 37 persone uccise.
Manifestazioni anti-Bashir si sono registrate anche nella città di Madani (sud est della capitale) dove i dimostranti sono scesi in piazza al grido di “pace, giustizia e libertà” e nel nord ad Atbar, la città dove si è registrata la prima protesta contro il presidente lo scorso mese.
Accanto alla mancata libertà, problema atavico in Sudan soprattutto da quando è salito al potere Bashir nel 1989, è però la crisi economica aggravatasi lo scorso anno ad aver spinto migliaia di persone a scendere in piazza. Il costo di alcuni beni, a partire dalle medicine, è più che raddoppiato e l’inflazione è pari al 70%. Ma l’aumento dei farmaci – alcune compagnie farmaceutiche locali non riescono a importare medicine a causa della mancanza di moneta estera – ha soltanto contribuito ad esacerbare gli animi, tesi da tempo per il costo elevato dei prodotti basilari. Di fronte al malcontento popolare, Bashir ha provato a rispondere politicamente sabato licenziando il ministro della salute Mohammed Abuzaid Mustafa e rimpiazzandolo, scrive l’agenzia statale Suna, con al-Khier al-Nour. Ma è soprattutto con la repressione delle forze di sicurezza che prova a silenziare le voci scomode.
A farne le spese sono anche i media. Lo sa bene la giornalista italiana Antonella Napoli (collaboratrice del Fatto Quotidiano e di Left) che ieri è stata fermata per alcune ore a Khartoum dove si era recata per seguire le proteste anti-governative. “Stavo facendo delle immagini, probabilmente ho ripreso qualcosa che non dovevo e mi hanno fermata” ha raccontato Napoli, fondatrice tra l’altro dell’onlus Italians for Darfur. Dopo alcune ore di fermo, la giornalista è stata però rilasciata: “Si è risolto tutto cancellando le cose che avevo filmato e con la promessa che non avrei più ripreso” ha spiegato. Immagine emblematica di un regime che, incapace di fermare le proteste, prova almeno a impedire che la notizia del malcontento popolare possa diffondersi e varcare i confini nazionali.